Della poesia delle donne e del mondo

Grace Paley nasce a New York nel 1922 e muore nel Vermont nel 2007. La sua famiglia, ebrea ucraina, era fuggita dalla Russia zarista dopo i moti del 1905 per rifugiarsi negli Stati Uniti, dove il padre aveva potuto continuare a svolgere la sua professione di medico. Grace, la più piccola di tre figli, fin da giovanissima si interessa di politica e prende pubblicamente posizioni molto diverse da quelle dei suoi genitori, fermamente anticomunisti. Nel secondo dopoguerra s’impegna per il diritto all’aborto e contro il militarismo crescente negli Stati Uniti, legandosi ai movimenti pacifisti e partecipando a numerose azioni di protesta che le valgono qualche settimana di carcere e la classificazione nei registri dell’Fbi come pericolosa comunista.
Benché non avesse mai conseguito una laurea, viene presto riconosciuta come una delle voci più significative nel mondo letterario, è eletta membro dell’Accademia di Arte e Letteratura e tiene corsi di scrittura in diverse università. La sua idea di fondo è che si debba educare fin dall’infanzia all’immaginazione e insegnare a leggere, scrivere e ascoltarsi l’un l’altra/o per capire la vita degli altri e delle altre e darsi da fare per renderla migliore.
La letteratura, come l’arte, è uno strumento di conoscenza e il suo ruolo è analogo a quello della giustizia: portare alla luce aspetti della realtà poco noti. Tra questi la vita delle donne.
Esponente riconosciuta del movimento pacifista, s’impegna per tutta la vita contro le guerre che continuano a insanguinare il mondo da quella in Vietnam a quella in Iraq ed è tra le promotrici di uno sciopero fiscale contro le tasse che le finanziano. Scrive poesie e racconti che le valgono l’Alloro dei poeti laureati, assegnato dalla Library of Congress (Biblioteca Nazionale). Il discorso che qui riportiamo quasi integralmente viene pronunciato in occasione di un convegno di studi nel 1986.

Per quanto ne so, ritengo che le guerre le facciano gli uomini. Che la guerra sia fatta da uomini. È cosa loro, un mondo loro e un mondo nel quale si fanno molto male. Ne soffrono atrocemente ma la fanno ugualmente. Come sono potuti arrivare a tanto? Mi ci sono voluti anni per capirlo. Perché quando ero bambina, io ero un bambino: come tante altre alle quali piace partecipare al gioco e trovarsi in mezzo all’azione ossia a qualche angolo di strada dove stanno i maschi. E lo capisco benissimo perché a quel tempo non mi interessava altro; non vedevo l’ora di crescere maschio per poter andare in guerra e dedicarmi a tutte le altre attività emozionanti dei maschi. E mi ci è voluta davvero una vita, la mia, per incominciare a cambiare un po’ idea, dopo un discreto numero di anni vissuti effettivamente durante la Seconda guerra mondiale. Ho vissuto parecchio in campi militari. Mi piaceva perché era emozionante e perché pareva di essere al centro della vita e perché c’erano tanti ragazzi uno dei quali, uno di questi ragazzi, era mio marito.
Ma procedendo nella mia personale esistenza e cominciando a leggere e pensare e vivere la mia vita dall’interno, e a scrivere, smisi di essere maschio. A un certo punto smisi di esserlo. Smisi di piacermi in quella veste. Smisi di volerlo essere. Pensai che fosse una vita tremenda, dura, una vita che mi avrebbe imposto comportamenti sentimenti passioni ed emozioni che non desideravo e che non mi piacevano affatto.
Intanto nello stesso periodo era anche successo che avevo incominciato a vivere in mezzo alle donne. Cioè naturalmente sono sempre vissuta tra le donne; tutti quanti, tutte le bambine vivono in mezzo a donne; tutte le ragazze della mia generazione e della mia cultura vivono in mezzo a madri sorelle zie, parecchie anche. Perciò c’ero sempre vissuta anch’io, ma non ci avevo mai pensato molto. Anzi mi ero detta: eccole qui, con le loro vite noiose, sedute intorno a un tavolo, mentre gli uomini giocano a carte e parlano a voce alta in un’altra stanza. Quella sì che è vita, giusto? E fu solo quando cominciai davvero a vivere in mezzo alle donne, vale a dire non prima di avere avuto figli, che mi interessai a quella vita con curiosità.

Il che ci riporta alla scrittura: A come siamo arrivate a scrivere e a pensare alla scrittura. Personalmente mi sono ritrovata a pensare da scrittrice perché avevo cominciato a vivere in mezzo alle donne; e la cosa sensazionale è che non le conoscevo, non sapevo chi fossero, mentre avrei dovuto, con tutte le zie che avevo. Eppure non le conoscevo e questa, secondo me, è l’origine vera di tanta letteratura. La letteratura non nasce da ciò che sappiamo, ma da ciò che non sappiamo, ciò che ci incuriosisce, che ci ossessiona e che vogliamo conoscere. Io mi facevo delle domande su quelle vite ed erano quelle le vite che trovavo interessanti. E quando ho cominciato a scrivere ho subito capito, anche perché le mie letture e le mie riflessioni intorno ai trent’anni venivano dopo un periodo di letteratura molto maschile, ho subito capito come la roba che scrivevo fosse insignificante stupida e noiosa, domestica, poco interessante.
Tuttavia ho incominciato a capire di non poter fare altro. Mi sono detta: ok, questo è il mio limite, il mio interesse profondo, la vita delle donne, perciò è proprio questo che devo fare, non posso farne a meno. Diranno tutti che è insignificante, che non vale niente, che è una noia e così via. Non succede niente di clamoroso anche se dopo un po’ qualche vicenda clamorosa scappa fuori. E allora? che altro posso fare?

Ci chiediamo se l’arte abbia a che fare con l’etica. Poi alcune di queste parole io nemmeno le capisco, ma capisco il significato di parole più semplici come giustizia e secondo me è una delle cose con cui l’arte ha a che fare è la giustizia. Ciò di cui l’arte si occupa, vale a dire ciò di cui si occupa la Giustizia, è fare luce su quello che non conosciamo, stanare ciò che sta sotto il sasso, nascosto. Penso che così si senta che incominciamo a scrivere. Poco fa parlavo con un nativo americano che diceva di avere la sensazione di fare proprio questo: scostare il sasso all’ingresso di una grotta in pieno deserto, scostarlo e dire: Devo illuminare questo buio e aggiungere quello che trovo al peso della vita dell’esperienza umana.
Ecco cos’è la Giustizia e cos’è l’arte, quel tipo di Giustizia e quel genere di esperienza. Quanto a me, mi sono detta: Sono stanca dei libri che leggo. Ce ne sono di belli, di emozionanti, ma la verità è che ormai li abbiamo letti. Chi sarà mai questo Henry Miller? A me nemmeno si rivolge, la mia vita non sarà più interessante grazie a lui, la sua esistenza forse.

E così ho cominciato a capire. Questione di fortuna, di orgoglio o qualcosa del genere. O solo il non riuscire ad accettare affronti rivolti a me e alla mia gente: donne, ebrei ecc. Perfino in Shakespeare mi hanno sempre fatto male. Perciò non sapevo esattamente cosa avrei fatto, ma mi stavo preparando a farlo e lo feci. Dissi: sono quelle vite che voglio aggiungere all’equilibrio dell’esistenza umana. L’altro giorno ci hanno lanciato l’accusa di essere dei predestinati. In un certo senso sarebbe giusto perché no? il mondo fa schifo. Ho 61 anni e tre quarti e ho visto cose tremende al tempo della depressione e sono convinta che la gente stesse peggio durante il maccartismo. Voglio buttare anche questo sul fuoco, ossia che la vita di tutti i giorni, le paure quotidiane degli americani erano peggio allora che adesso. Ma i fatti oggettivi del mondo attualmente sono più atroci che mai e lo sappiamo tutti e tutte, come negarlo, ed è anche vero che è difficilissimo guardare negli occhi i nostri figli/e e terrificante guardare negli occhi i/le nipoti. Come posso guardare in faccia mia nipote mentre dico: ascolta, vedrai che la nonna non permetterà che succeda. Dobbiamo invece affrontare la realtà, noi e loro, come dovemmo affrontare in passato verità molto meno spaventose.

Se parlo della vita delle donne e del mio interesse al riguardo e del mio perseguire tale interesse e del mio scriverne sempre, senza più chiedermi se possa rivelarsi interessante o no, e dello scoprire per caso che in effetti è interessante e utile alle persone, allora devo parlare anche di che cosa è la fantasia. La parola fantasia per come ci viene passata da bambini ha a che fare con l’immaginazione fiabesca. Si dice: oh, quel bambino ha tanta fantasia, è un bambino intelligente, si è immaginato tutti quegli orchi con i folletti e così via. La verità ― naturalmente quando dico la verità intendo una parte della verità ― il fatto insomma è che forse al giorno d’oggi abbiamo bisogno di immaginare la realtà. È su questo che crollano i nostri leader e noi stesse/i: dobbiamo riuscire a immaginare la vita di altre persone. Perciò gli uomini, che a volte si incazzano parecchio con me, anche se alcuni di loro mi piacciono molto, gli uomini devono riuscire a immaginare la vita delle donne, di ogni tipo di donne, delle loro figlie ad esempio, la vita che conducono le loro figlie. I bianchi devono riuscire a immaginare la realtà, non le invenzioni ma la realtà delle persone di colore. Immaginarla, immaginare davvero quella realtà e comprenderla; dobbiamo riuscire a immaginare cosa accade oggi in Centro America, in Libano, in Sudafrica. Dobbiamo pensarci per davvero, immaginarlo e richiamarlo alla memoria, non solo parlarne, perché il rischio è che a furia di parlarne si perdano completamente di vista le cose. Se invece si pensa in termini di vita della gente, bisogna davvero continuare a immaginare. È necessario riuscire a immaginarla quella vita, e se si comincia a immaginarla, allora si scopre che la differenza è enorme. C’è enorme differenza tra la mia vita, le mie idee, i miei sentimenti, quello che mi procura gioia, emozione, nausea, disgusto, repulsione e ciò che a tantissimi bambini maschi e uomini adulti è stato consegnato come gioioso, emozionante ed eccitante e questa storia inizia sin dall’inizio, da palette e secchielli per così dire. Comincia proprio lì, agli esordi dell’infanzia.
Personalmente sono felice di costatare che tra i miei figli e i loro figli le cose cominciano a cambiare e così pure tra molti giovani uomini. Il pensiero che alcuni di questi giovani abbiano ascoltato e siano riusciti a immaginare la vita delle loro figlie, desiderando per loro qualcosa di diverso. Ecco che cos’è l’immaginazione.

Perciò sono queste le cose alle quali ho pensato tanto come scrittrice sia viaggiando sola nel mondo, sia seduta alla scrivania. E voglio leggervi questo brano, voglio concludere così il tema in questione: ha a che fare con il mondo e con gli artisti e con la domanda su quale sia la responsabilità di chi scrive, ammesso che ne abbia. Io ho pensato che ogni essere umano ne ha molta di responsabilità, perciò ne hanno anche gli artisti, i poeti, perché non dovrebbero. Ma questo è responsabilità del mondo.

È responsabilità del mondo permettere al poeta di essere poeta.

È responsabilità del poeta essere donna.

È responsabilità dei poeti mettersi agli angoli delle strade a distribuire volantini scritti meravigliosamente e anche volantini che si fa fatica a guardare per la forza della loro retorica.

È responsabilità del poeta essere pigro, perdere tempo e fare profezie.

È responsabilità del poeta non pagare le tasse di guerra.

È responsabilità del poeta entrare e uscire da torri d’avorio, bilocali sulla Avenue C, campi di grano saraceno e accampamenti militari.

È responsabilità del poeta maschio essere donna.

È responsabilità del poeta femmina essere donna.

È responsabilità del poeta dire la verità al potente, come affermano i quaccheri.

È responsabilità del poeta imparare la verità da chi non ha potere.

È responsabilità del poeta ripetere sempre non esiste libertà senza giustizia, vale a dire giustizia economica e giustizia in amore.

È responsabilità del poeta cantare inni e poemi sulla musica di ogni melodia originale tradizionale.

È responsabilità dei poeti ascoltare ogni diceria e diffonderla come i narratori diffondono la storia della vita.

Non esiste libertà senza paura e senza audacia. Non esiste libertà a meno che terra e aria e acqua sopravvivano e con loro sopravvivono i bambini.

È responsabilità del poeta essere donna, non perdere d’occhio il mondo e gridare come fece Cassandra, ma per farci ascoltare questa volta.

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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.

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