Lo scandalo della felicità

«A volte una donna, dimenticata e taciuta, si “appella” a un’altra donna per prendere corpo e uscire dall’oblio. È un richiamo misterioso che, negli ultimi decenni, storiche, letterate, artiste hanno imparato a riconoscere e decifrare. Siamo una schiera che porta alla luce un incommensurabile patrimonio di vite celate per costruire, finalmente una genealogia femminile… avendo scelto di far parte di quell’esercito… mi sono imbattuta nella storia di Anna Valdina»: così leggiamo nella quarta di copertina de Lo scandalo della felicità. Storia della principessa Valdina di Palermo (VandA edizioni) di Pina Mandolfo. 
L’autrice è una donna eclettica: scrittrice, regista, sceneggiatrice e operatrice culturale è socia fondatrice della Sil (Società italiane letterate) e, come ha dichiarato, per lei riportare alla luce la storia delle donne è «un progetto di vita che non tradirò mai. Quando ho incontrato il femminismo sono diventata una donna consapevole, ho compreso come i canoni della cultura patriarcale con i quali ero stata educata avevano oscurato il genere femminile nella vita comune e nella cultura. Da allora in poi ho deciso che avrei lavorato sempre per mettere al mondo il soggetto donna attraverso i saperi, le pratiche e le competenze che negli anni ho acquisito e imparato ad usare». 

Lo scandalo della felicità racconta la storia vera, poco conosciuta, di Anna, una delle figlie del principe di Valdina, costretta alla monacazione forzata insieme alle altre sorelle. Aveva solo sette anni quando una mattina del 1642, arrivò a Palermo in carrozza per entrare in convento. All’inizio credeva fosse soltanto un distacco momentaneo dalla sua quotidianità e dai suoi affetti per essere istruita e acquisire un’educazione. Ma il 17 luglio del 1647 un’altra carrozza l’accompagnerà in un diverso monastero, quello delle Stimmate di San Francesco, detto anche Monastero delle Dame poiché esclusiva dimora di monache di clausura provenienti da nobili famiglie e quel luogo diventerà la sua prigione e il suo tormento per quasi tutta la sua vita. 
Anna, nonostante continuasse a ripetere che non aveva alcuna intenzione di diventare monaca, fu costretta a prendere i voti tra rabbia e disperazione nel settembre del 1651 assumendo il nome di Suor Maria Maddalena. Per cinquantadue lunghissimi anni si ribellò a quel destino con le parole, con gli atteggiamenti e con gli scritti con cui denunciava che era stata monacata con forza, che l’avevano privata della sua libertà con le minacce e che non voleva morire rinchiusa fra quelle quattro mura. Ostinata e disobbediente, nel 1692, dopo la morte del padre e del fratello, avviò il processo per l’annullamento della sua professione religiosa. Fu un percorso irto di ostacoli in cui la badessa per evitare lo scandalo scrisse anche al Sommo Pontefice, ma Anna ottenne ciò che desiderava: il 6 settembre del 1699 venne emessa la sentenza che così concludeva: «Il tribunale della Regia Monarchia, definito il giudizio, dichiara nel merito la nullità della professione religiosa di suor Anna Maddalena Valdina». Anna finalmente era libera, aveva vinto la sua lunga ed estenuante battaglia e il suo volto, ormai segnato da troppe lacrime e troppe rughe, rivide la luce del sole. Non godette a lungo di questa ritrovata libertà, infatti pochi anni dopo, il due agosto del 1702, lasciò la vita terrena. Morì comunque da donna libera. 
Nel romanzo storico di Pina Mandolfo, scritto con linguaggio chiaro e forbito al contempo, questa storia si intreccia mirabilmente con fatti e personaggi della Palermo di quei tempi. Viene descritta la città del Seicento nelle sue tante ombre e nelle poche luci. La lettura trasporta chi legge in un mondo complesso dove si stagliano nell’opulenza nobili indolenti indifferenti alla miseria diffusa, prelati e viceré corrotti. 
Viene evidenziata la millenaria misoginia che permeava, come un morbo terribile, i comportamenti familiari e le dinamiche del Potere. La sottomissione femminile si intreccia con la virtù dell’obbedienza, mentre la rara disobbedienza di alcune diventa persecuzione. Nel romanzo si respira l’aria di quei conventi di prigioniere forzate, pare quasi di sentire i loro lamenti e di vedere le loro lacrime. Tanta ingiustizia e tanto dolore che si mischiano al profumo dei dolci, ai canti e alle preghiere di quelle donne monacate a forza. Il silenzio dei monasteri che Anna Valdina squarcia con un grido di dignitosa ribellione che tante altre purtroppo non riescono neanche a scalfire. 

Abbiamo intervistato Pina Mandolfo. 

Anna Valdina è stata in fondo una disobbediente. Quanto è ancora necessario oggi, per una donna, disobbedire per affermare diritti e acquisire libertà? 
È la necessità per stare al mondo libera. Disobbedienza nel senso di imporre il proprio vissuto, la propria autodeterminazione, la propria libertà. Se questo si avverasse per tante donne sarebbe facile e possibile creare quella genealogia femminile imprevista dai canoni disciplinari. Impedita da una sudditanza creata dall’impianto potente della disparità di genere. Le protagoniste del mio romanzo sono le tante a cui dobbiamo appellarci e alle quali io mi appello, insieme a tante altre, più o meno note, per colmare la distanza tra noi e la cultura che ci è stata data. Esse sono nutrimento simbolico per il nostro sesso e la forza per procedere nel mondo. 

Dopo questa tua esperienza negli archivi, quanto ritieni essi siano fondamentali per ricostruire la Storia includendo la componente femminile? 
Io non sono un’archivista è questa è stata un’esperienza importante e fondamentale perché ho compreso quanto ancora ci sia da ricercare e portare alla luce della vita delle donne che sono precipitate nelle scorie della Storia. Creare con loro un legame con il nostro presente, costruire un canone collettivo che s’imponga nei canoni culturali e da lì nella vita comune. Un nuovo sapere che ci consenta anche di essere guida nel mondo. 

Un mondo che ancora risente del patriarcato? 
Sì. Un mondo che il patriarcato ci consegna sempre più alla deriva. Abbiamo raggiunto obiettivi impensabili anni fa, l’equivoco dell’emancipazione ci rende ancora soggette a discriminazione. Nel nostro privato sentiamo di avere raggiunto una autodeterminazione che troppo spesso non corrisponde al nostro stare al mondo. E se in molti Paesi le donne sono ancora assoggettate, non credo che nel mondo occidentale si viva la prossimità di ruoli di vera parità, pur nella nostra irriducibile differenza. Quella parità, come affermato precedentemente, che ci consenta di essere guida del mondo. Un mondo colpevole di discriminazione, violenze, stupri, femminicidi, per non parlare di guerre e azioni rovinose per il pianeta. Continueremo a lottare. E quella lotta che ha regalato esito felice alla protagonista de Lo scandalo della felicità, la assumo come simbolica per un esito simile per noi donne tutte che nell’oggi cerchiamo la strada scandalosa della vera democrazia: la felicità. 

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Articolo di Ester Rizzo

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Giornalista. Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, socia Sil, collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra editore ha curato il volume Le Mille. I primati delle donne. Autrice dei saggi: Camicette Bianche , Donne Disobbedienti , Il labirinto delle perdute e i romanzi storici Le ricamatrici e Trenta giorni e 100 lire, sempre per Navarra editore.

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