Poco più di un secolo fa, moriva a Fontainebleau, in Francia, una grande scrittrice neozelandese, Kathleen Beauchamp, meglio conosciuta come Katherine Mansfield (1888-1923). Aveva solo trentaquattro anni, quando già malata di tisi, dopo tanti tentativi di cura, aveva aderito alla scuola di George Ivanovic Gurdieff, un guru carismatico di origine greco-armena che aveva aperto una comunità agricolo—teosofica per lo sviluppo umano armonico. Anche per morire scelse un luogo alternativo, lontano dalla medicina ufficiale, forse stanca del suo corpo malato.
La sua fu una vita intensa, la morte arrivò quando il suo talento era appena sbocciato. Era nata in una famiglia dell’alta borghesia a Wellington, in Nuova Zelanda. Come lei stessa riferisce: «Incominciai la mia carriera letteraria scrivendo racconti brevi nella Nuova Zelanda. Avevo nove anni quando il mio primo tentativo venne pubblicato».
Si trasferì poi a Londra ai primi del Novecento per terminare gli studi. Tornò in Nuova Zelanda, ma la sua terra che tanto amava le stava stretta. Ritornò a Londra. Soggiornò anche in Francia e Germania. Riuscì a inserirsi autorevolmente nel quadro ricco della letteratura inglese tra le due guerre mondiali. Dopo un matrimonio sfortunato, sposò in seconde nozze il critico letterario John Middlleton Murry, anche lui scrittore, ma che non ebbe successo, ora completamente dimenticato dalla storia. A lui dobbiamo l’averci fatto conoscere le opere di Katherine Mansfield che raccolse e fece pubblicare.
«Non mi sento mai così a mio agio come quando stringo una matita in mano!» Questa la frase che più la rappresenta. Una donna nata per scrivere e determinata a farlo con l’urgenza di chi sa che ha poco tempo a disposizione. Scriveva racconti notte e giorno. Aveva paura di morire senza avere finito un racconto, come a dire che finché correva con la penna la morte non l’avrebbe fermata. Il paragone con Virginia Wolf è obbligatorio sia per la contemporaneità storica che per la genialità letteraria. «Strane le sorti di queste due grandi scrittrici, scrive Emilio Cecchi, e la sorte più buia, indecifrabile, non è quella della Wolf, piena di immagini e di sogni, benché minacciata e visitata dalla demenza; ma della Mansfield, tesa e vibrante come acciaio, nella spietata ricerca della realtà, della verità che la inducevano a sì cieca crudeltà verso sé stessa».
Katherine Mansfield fu una scrittrice di racconti di cui soltanto pochi furono pubblicati in vita. L’inizio del ventesimo secolo aveva visto le prime incrinature se non proprio la crisi del mondo borghese, minato dal pensiero marxista e dal nuovo pensiero psicoanalitico. La scrittrice, acuta ribelle, sentì i moti interiori di una classe venuta allo scoperto. È molto difficile parlare dell’enorme produzione letteraria della Mansfield. Scrisse tanti racconti: In una pensione tedesca, Preludio, Bliss, La festa in giardino, Il nido delle colombe forse sono quelli che mostrano meglio il suo stile, le tematiche a lei più care e tutto il suo mondo. Il libro di cui ci occupiamo si intitola Quaderno d’appunti. La sua prima edizione in lingua italiana è del 1941. La traduzione è di Elsa Morante sul testo inglese dell’edizione Constable a cura di John Middleton Murry, marito di Katherine Mansfield che ha scritto anche la nota introduttiva. L’opera ebbe diverse stesure. Il libro degli appunti (1905-1922) traduzione di Elsa Morante, Rizzoli, 1945. Ancora ristampato da Longanesi nel 1972. Successivamente col titolo Quaderno d’appunti, edizione Feltrinelli, 1979. Nel 2011 infine la casa editrice SE ha ripubblicato il libro con una nota biografica di Franca Cavagnoli e una appendice iconografica. Da rilevare nell’edizione Feltrinelli del 1979, il ritratto in copertina della Mansfield, eseguito da Estelle Rice, che stupisce per la sua modernità: la Mansdield è ritratta con la frangetta, taglio di capelli “alla garçonne” come si diceva allora. Il libro è una raccolta in ordine cronologico (dal 1905 al 1922) di pensieri sparsi, lettere e piccoli racconti della sua breve ma vibrante vita. Colpisce subito la profondità di analisi dei personaggi, dei paesaggi o degli oggetti che sembrano prendere vita e starci ancora accanto. «Era un giorno squisito. Uno di quei giorni così limpidi, così quieti e silenti, da farvi quasi sentire che la terra stessa si è fermata nello stupore della sua bellezza».
La scrittrice usa il linguaggio per sottolineare le emozioni umane, come se accendesse una luce proprio per illuminarne una parte, usa una tecnica che noi ora diremmo cinematografica. Fa uso dell’ironia in maniera sottile per prendere in giro la borghesia dell’epoca vittoriana, ma in fondo la finitezza della vita stessa e il dramma della morte. Riesce a darci spaccati di modernità anche riguardo alla condizione femminile come nel racconto breve della giovane che viaggia da sola in treno. La sua vita stessa fu un romanzo vissuto sulla pelle. Una giovane anticonformista che veniva dalla selvaggia Nuova Zelanda, una straniera. Riuscì a stupire un po’ tutti, con il suo caschetto corto, le gonne sopra il ginocchio e i tacchi alti. Non si sottrasse naturalmente a sperimentare l’amore, a volte molto doloroso che lasciò ferite profonde. Non perse tempo perché la vita le urlava dentro. Folgorata dall’incontro con Cechov, i suoi racconti brevi divennero carichi di forme innovative sia per la forma che per il contenuto. Non sempre fu capita, a volte fu temuta come sempre succede per le avanguardie artistiche. Perché dunque leggere oggi la Mansfield? Lo suggerisce anche la giovane scrittrice Giulia Caminito nel retro di copertina del libro Racconti di K.M. edizione Bur, 2023 «La scrittura di Katherine Mansfield restituisce, a cento anni di distanza, la sensibilità di una donna che coglieva le assurdità della borghesia e della vita femminile e non aveva paura di raccontare episodi divertenti e struggenti, tremendamente veri».

Katherine Mansfield
Quaderno d’appunti
Feltrinelli, Milano, 2012
pp. 208
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Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.
