Il controllo dei corpi

Sui corpi umani in quanto costrutti descritti da apparati simbolici, indirizzati da ruoli, calati in relazioni, destinatari di risorse, si scontrano forze che tentano di estendere i loro domìni.
Il controllo dei corpi è una delle necessità eterne di ogni potere che aspiri ad essere assoluto. Con il controllo delle donne si garantisce la purezza della linea di discendenza, ritenuta essenziale per la vita comunitaria. Grazie alla sua virtualità di corpo riproduttivo il corpo femminile, inchiodato a quella sola funzione, si presenta come luogo privilegiato di convergenza e di incontro del biologico e dell’etico e quindi terreno di attenzione privilegiata da parte delle religioni, che non solo dettano prescrizioni alla sessualità ma augurano e celebrano la fertilità.
In passato la sterilità era maledizione, vergogna cui corrispondeva l’azzeramento di tutti i diritti. Le donne elevavano preghiere agli dei per poter avere figli. Se la donna si rivela infeconda il maschio del Vecchio Testamento si rivolge a una concubina o prende una seconda moglie, mentre la donna ripudiata prende tristemente atto della propria inferiorità. Il massimo favore che Geova concede è la fecondità inattesa in età avanzata: accade a Sara, a Rachele.
Oggi molto è cambiato: dal 1978 da noi le donne hanno ottenuto — faticoso traguardo — l’autodeterminazione. Non sono più soggette a scelte altrui, inchiodate a destini impossibili, obbligate ad andare all’estero per interrompere una gravidanza non voluta, o nei casi più dolorosi a ricorrere a una mammana o al fai-da-te, come le nostre nonne avvelenate da intrugli mortali o perforate da ferri da calza.
Si sono diffusi metodi contraccettivi sicuri, tra cui l’osteggiata “pillola del giorno dopo”. Nonostante però la legge consenta da quasi quattro anni in Italia l’aborto farmacologico in regime ambulatoriale (ovvero nei consultori), questo è possibile solo in tre Regioni, e la percentuale delle italiane che vi ricorre è ancora molto bassa rispetto a quella di Paesi come Francia e Gran Bretagna. Una risoluzione recentemente approvata a Bruxelles esorta i Paesi europei a depenalizzare completamente l’interruzione di gravidanza seguendo le linee guida dell’Oms del 2022 e a combattere gli ostacoli che ancora esistono. Non è un caso però che la questione riproduttiva riemerga periodicamente e si ponga ancora come cesura e come ossessione, elemento nodale e problema trasversale, a delineare tutte le timidezze e le contraddizioni irrisolte con cui l’etica, la politica e il diritto affrontano i corpi sessuati.
Non è irrilevante ricordare che tutte le questioni legate ai corpi, al loro diritto all’autodeterminazione (dall’aborto alla contraccezione alla fecondazione assistita) e all’irruzione sulla scena pubblica della sfera — sempre considerata privata — del sesso vengono dichiarate nel lessico politico “eticamente sensibili”: quasi temi di dubbia dimensione politica, ai confini tra norma e morale e nei fatti tra un timido Stato e una Chiesa assertiva, a testimonianza della fatica del diritto laico a prevedere soggetti non neutri, non disincarnati. Dai manifesti con foto di feti e scritte “mamma ti voglio bene” esposti negli ambulatori, all’ascolto obbligatorio del battito del cuore del feto, al numero soverchiante di obiettori di coscienza negli ospedali, le esperienze delle donne italiane che decidono di abortire in modo gratuito, sicuro e legale possono essere traumatiche: sottoposte a viaggi/calvari da un ospedale all’altro, male informate e male indirizzate, spesso vittime di giudizi sommari. 
La destra al governo non ha abrogato la legge 194 (non ancora?), ma ha imposto la norma che prevede la presenza di associazioni antiabortiste nei consultori. Le Regioni potranno avvalersi di queste associazioni come di fatto è già accaduto in alcune realtà (in Piemonte e nel Lazio, ad esempio) in forza di alcune delibere. Questa possibilità viene ora rafforzata da una legge nazionale approvata col voto di fiducia dai due rami del Parlamento e stranamente inserita tra i provvedimenti sostenuti dal Pnrr.
Le associazioni antiabortiste sono quelle che si autodefiniscono Pro life: in favore della vita. Bello: purché la vita stia a cuore sempre, e non solo quando non è ancora al mondo.
Noi ad esempio siamo Pro life per i bambini già nati perché non vengano sterminati nelle guerre, fatti saltare sulle mine, affamati e privati di medicine nei paesi poveri, annegati nel Mediterraneo, sfruttati dalle aziende del lusso e della tecnologia, usati come pusher dalle mafie, picchiati da padri violenti, orfani di femminicidi, violentati da pedofili… per loro non abbiamo mai sentito parole dalle organizzazioni Pro life e dai loro rappresentanti in Parlamento. Loro non li hanno mai visti.
Non li hanno mai visti le donne che cercano una contraccezione sicura e le ragazze che chiedono che venga introdotta l’educazione sessuale nelle scuole: anzi sanno che da sempre sono proprio i Pro life a bloccarla definendola “nefandezza”, con virulente campagne diffamatorie. Dal 1975 a oggi ci sono state 16 proposte di legge, tutte naufragate. Ogni volta in aula è bagarre.
L’Italia è uno degli ultimi Stati membri nell’Unione europea che non la prevedono come obbligatoria, eppure il diritto a ricevere un’educazione sessuale qualitativamente valida è stato elencato dall’Oms fra i diritti umani fondamentali.
La stragrande maggioranza degli adolescenti italiani si informa su internet, ma su questo le associazioni Pro life sorvolano. Le risposte, se non arrivano da figure di riferimento, vengono cercate da soli/e: eccola lì pronta, presente e gratuita, la pornografia commerciale: una macchina che macina miliardi, fiorente nel diffuso silenzio. Età media dell’accesso, dodici anni.
Occhio non vede, cuore non duole.

***

Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

Lascia un commento