Memorie d’artista. Cinquant’anni dopo. Prima parte

Come è noto, Toponomastica femminile ha come obiettivo quello di riportare alla luce talenti femminili oggi dimenticati; per questo motivo la redazione ha selezionato alcune donne poco conosciute che si sono distinte nei campi più disparati, per celebrarle in occasione dell’anniversario della loro morte con una serie di articoli finalizzati a riscoprire il loro lavoro. Questo primo articolo che inaugura la serie, presenta cinque artiste, attive in varie discipline, dalla moda alla pittura, venute a mancare esattamente cinquant’anni fa.

Amy Nimr fotografata da Lee Miller, Il Cairo, 1937
Amy Nimr Anatomical Corpse 1940

Amy Nimr (Il Cairo, 9 agosto 1898 – Parigi, 24 gennaio 1974) è stata una scrittrice e pittrice egiziana. Grazie alla discendenza europea dei suoi genitori ha modo di studiare tra Londra e Parigi dove incontra gli artisti e le artiste del gruppo surrealista, con cui espone fin dal 1925. Il Surrealismo diviene una folgorante forma d’ispirazione, influenzando notevolmente la sua produzione pittorica che si popola presto di creature ibride o proteiformi.
Tornata in Egitto negli anni Trenta, entra a far parte del gruppo surrealista e marxista Art et Liberté, il cui manifesto Vive l’Art Dégéneré! del 1938 è una dichiarazione di libertà e indipendenza artistica dai regimi totalitari e un atto di solidarietà verso l’arte moderna tedesca in quel momento sotto attacco dai nazisti.
Tra le persone vicine al gruppo Art et Liberté occorre ricordare anche la fotografa americana Lee Miller (di cui Livia Capasso si è già occupata su questa rivista https://vitaminevaganti.com/2023/11/11/in-mostra-il-talento-di-lee-miller/), dal 1934 stabilitasi in Egitto, autrice del ritratto fotografico di Amy Nimr qui proposto.
In seguito alla tragica morte del figlio nel 1943, dilaniato dall’esplosione di una mina, e con la crisi di Suez del 1956 che comportò l’improvvisa partenza dall’Egitto, i dipinti di Nimr, già piuttosto bizzarri e fantasiosi, si fanno più cupi e tendenti all’astratto.

Emy Nimr Underwater skeleton 1942 opera esposta alla Biennale di Venezia del 2022

Recentemente due suoi lavori sono stati esposti all’edizione della Biennale di Venezia del 2022 curata da Cecilia Alemani, nella sezione La culla della strega dedicata alle tante presenze femminili, spesso trascurate, nel Surrealismo e Futurismo (qui il link per approfondire i lavori delle artiste presenti https://www.labiennale.org/it/arte/2022/la-culla-della-strega).

Anne Klein
Anne Klein, due sue creazioni

Anne Klein (New York, 3 agosto 1923 – 19 marzo 1974), stilista e imprenditrice, ha fondato nel 1968 la casa di moda che porta il suo nome, attiva ancora oggi. Inizialmente puntò sul vestiario sportivo, creando abiti comodi per il corpo femminile, ottenendo presto un discreto successo che le permise di diversificare la sua produzione e iniziare a disegnare capi per tutti i giorni ma anche scarpe e accessori.
La moda, spesso considerata un settore di poca importanza politica, è stata in realtà fondamentale nel processo di emancipazione femminile: abiti che non costringono il corpo, ma che gli regalano invece la libertà di movimento, hanno contribuito notevolmente al raggiungimento della parità dei sessi per esempio nelle discipline sportive, dove per questioni legate anche al pudore le donne non erano ammesse. Gonne lunghe e stratificate, rigidi bustini e complicate abbottonature obbligavano le donne a impiegare molto tempo per vestirsi, spesso con l’aiuto di una o più persone. La progressiva semplificazione del vestiario femminile ha accompagnato la contemporanea conquista dei diritti.
Seguendo le tendenze degli anni Settanta, il decennio delle rivendicazioni femministe, Anne Klein disegna capi pratici e versatili come minigonne e pantaloni a vita alta (foto5).
Il 28 novembre 1973 è l’unica stilista donna presente alla sfilata di beneficenza nota con il nome di Battaglia di Versailles, organizzata per raccogliere fondi per il restauro della Reggia di Versailles.

Cora Sandel

Sara Cecilia Görvell Fabricius (Oslo, 20 dicembre 1880 – Uppsala, 3 aprile 1974) è il vero nome di Cora Sandel, pittrice e romanziera norvegese.
Dopo un periodo di apprendistato presso la pittrice Harriet Backer, considerata tra le figure più importanti dell’arte norvegese insieme a Edvard Munch, Cora Sandel si trasferisce nel 1906 a Parigi, dove resta per quindici anni, interrotti ogni tanto da qualche viaggio in Bretagna e a Firenze. A Parigi comincia a scrivere brevi racconti che riesce a pubblicare in Norvegia e che le permettono di sostenersi autonomamente.
La maternità la costringe purtroppo ad abbandonare la pittura, dipingere richiede uno spazio adatto e tranquillo non compatibile con le esigenze di un neonato, ma non rinuncia invece a scrivere: si rivela presto una scrittrice prolifica, concentrandosi principalmente su temi quali l’emancipazione femminile, la coscienza di classe, la sessualità, affrontati con una sensibilità sicuramente non comune per il periodo, tanto che Cora Sandel è oggi definita un’autrice protofemminista al pari di Virginia Woolf.
Scrive diverse trilogie di romanzi incentrate sulle peripezie delle sue protagoniste, tra le quali la più nota è la trilogia dedicata ad Alberte Selmer, pubblicata tra il 1926 e il 1939.
Il racconto, che risente delle vicende biografiche dell’autrice, passa in rassegna la vita di Alberte dall’infanzia all’età adulta, offrendo un fedele spaccato della Norvegia e dell’Europa a cavallo tra il XIX e il XX secolo: anche Alberte, infatti, lascia il suo piccolo paese natale in Norvegia per trasferirsi a Parigi dove si dedica alla scrittura e alla pittura.
Cora Sandel restituisce un ritratto autentico della caotica Parigi di quegli anni, senza idealizzarlo ma sottolineando con brutale onestà le condizioni difficili della vita precaria da artista: un esempio significativo è sicuramente la vicenda di Liesel, amica di Alberte, costretta dal compagno ad abortire perché impossibilitato a mantenere il figlio.
La sua attività di pittrice resta, invece, dimenticata e inedita per moltissimo tempo, Cora Sandel vede i suoi dipinti esposti per la prima volta solo all’età di 92 anni. Oggi molti dei suoi lavori, insieme a una grande quantità di altri oggetti personali, sono conservati al Perspektivet Museum e nella sede del comune di Tromsø, la cittadina in cui Cora Sandel ha trascorso l’adolescenza, donati dal figlio Erik Jönsson. Ciò ha permesso di riscoprire non solo i suoi romanzi ma anche la sua carriera di pittrice; i dipinti oggi esposti risalgono tutti al periodo parigino, sono principalmente ritratti, autoritratti e nature morte dai colori decisi tipici della corrente Espressionista europea, ma che risentono anche dell’osservazione attenta dei lavori di Paul Cézanne.

Cora Sandel Natura morta probabilmente incompiuta Liv Ramskjaer, Perspektivet Museum
Cora Sandel Autoritratto 1913 circa Liv Ramskjaer, Perspektivet Museum

Un’altra figura da riscoprire è sicuramente la pittrice Argentina Cerne (Trieste, 28 gennaio 1902 – Trieste, 6 aprile 1974).

1950-argentina-alrestauro-irma

Sebbene la pittura fosse una delle poche attività concesse alle donne agli inizi del Novecento, l’apprendimento per loro non era facile come invece accadeva per gli uomini; Argentina Cerne è, infatti, l’unica allieva a ottenere il permesso speciale dalla Scuola di Nudo di Trieste che frequentava per assistere alle lezioni in presenza di modelli maschili, suscitando ovviamente scandalo e polemiche.
Dopo gli studi si trasferisce da sola a Milano dove continua a dipingere e ha modo di imparare l’arte del restauro pittorico, che le consente di guadagnarsi l’indipendenza economica. Rimane nel capoluogo lombardo fino al 1943, quando i bombardamenti distruggono il suo studio, costringendola dunque a tornare a Trieste.
Si specializza in paesaggi, soprattutto marine, ricche nature morte floreali e qualche ritratto femminile.

Argentine Cerne, luminarie in porto, 1966
Argentina cerne, natura morte, 1940-43
Argentine Cerne, ritratto della sorella Alba, 1935

Dal 1950 al 1971 si trasferisce in Spagna, dove prosegue nel lavorare come restauratrice presso gli antiquari della Castiglia e a dipingere nel tempo libero, realizzando ritratti delle persone a lei vicine. Risulta purtroppo molto difficile ricostruire la carriera di un’artista come Argentina Cerne: molti suoi lavori sono rimasti in Spagna, una discreta quantità di opere conservata nel suo studio milanese è andata perduta, inoltre non potendo dedicare la totalità del suo tempo all’arte poiché impegnata nel lavoro e nella gestione della famiglia, non sempre è stata costante nel dipingere. Questo è un problema che si riscontra spesso nelle artiste che faticano ad affermarsi come professioniste, assente, o perlomeno molto più raro, quando si parla invece di uomini.
Recentemente alcuni suoi dipinti sono stati acquisiti dal Museo Revoltella di Trieste.
Questa prima carrellata di artiste si conclude con la pittrice e scultrice Lina Arpesani
(Milano, Aprile 1888 – Milano, 9 giugno 1974) formatasi nel clima vivace della
Milano prefuturista.
Fin dagli anni Dieci è molto attiva nel promuovere l’arte femminile a livello professionale, al pari di quella dei colleghi e non come semplice hobby domenicale da dilettanti, attraverso la partecipazione ad associazioni di sole donne come la Federazione artistica femminile italiana. Questa attività verrà proseguita anche negli anni Trenta con l’Associazione nazionale fascista donne artiste e laureate.

Lina Arpesani, autoritratto anni 10
Lina Arpesani, Venere mattutina, 1935

La sua produzione è piuttosto prolifica, Arpesani è sempre presente a ogni occasione espositiva milanese. Nel dopoguerra si dedica all’insegnamento di Plastica ornamentale all’Accademia di Brera e all’Istituto d’Arte di Napoli. Per chi volesse approfondire la vita e il lavoro di questa eccezionale artista, consigliamo l’articolo di Livia Capasso a lei dedicato che uscirà nel prossimo numero di Vitamine vaganti.

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Articolo di Cecilia Babolin

Studio storia dell’arte contemporanea ma mi interesso anche di museologia, femminismo e postcolonialismo. Dopo aver studiato a lungo l’arte sotto il regime fascista, mi sto dedicando al secondo Novecento, in particolare agli anni Sessanta e Settanta. Da poco ho cominciato a esplorare campi nuovi come l’architettura e il cinema sperimentale.

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