Il doppio standard è il meccanismo che fa sì che lo stesso comportamento venga valutato in maniera diversa a seconda di chi lo mette in atto. Eventi simili, valutazioni differenti. Ipocrita? Certo. In molti casi è inavvertito, ma non per questo è meno grave.
La società cambia, le mentalità si evolvono, le generazioni si emancipano… solo fino a un certo punto: quel punto che chiamiamo patriarcato e che fa comodo definire ormai morto. È un morto che parla, che pensa, che agisce. Non mette in discussione assunti millenari. Ha ancora un impatto importante sulle nostre vite e trova nella sessualità il suo campo privilegiato.
La liberazione sessuale ha contribuito a stemperare molte disparità ma manca ancora troppo alla piena uguaglianza. Le tracce del vecchio schema di pensiero sono ancora riconoscibili e attive.
Le donne di oggi ricercano l’autonomia sessuale e una sessualità più piena e libera, affrancata dagli obblighi tradizionali: desiderano ricevere piacere, non solo procurarlo. Questo sconcerta i maschi, li destabilizza.
Il fatto che la sessualità sia ormai sganciata dai vincoli della riproduzione e legata a dimensioni espressive avrebbe dovuto imprimere una svolta radicale all’immaginario, ma così non è stato: esso è più lento a mutare delle leggi e dello stesso costume, soprattutto per uomini che non siano più in grado di disporre di codici sedimentati e testati ma non siano riusciti a costruirne altri. Medici, sacerdoti, politici, datori di lavoro, talora le donne stesse appaiono nelle vesti di produttori di norme allorché si richiamano alla diversa “natura” maschile e femminile per legittimare differenze di ruolo e di comportamento: per ragioni di comodità, per ragioni di paura.
Molti studi recenti documentano le molestie e l’angoscia vissute dalle adolescenti contemporanee bollate con termini dispregiativi dai coetanei quando si discostano dal copione tradizionale della maschilità e della femminilità.
Come chiamano una donna che fa sesso con chi le pare? E un uomo?
Il marchio d’infamia riservato al femminile è ancora e sempre quello connesso alla mercificazione del corpo nel rapporto sessuale. Non importa se è una nazista, una razzista, una truffatrice, una ladra, un’ignorante. L’insulto principe, l’improperio che infallibilmente le verrà rivolto, universalmente riconosciuto e socialmente trasversale, sarà sempre lo stesso, nei suoi molteplici sinonimi.
Perché contro le donne gli insulti sessuali sono sempre pronti? In questo modo si (ri) mettono al posto più basso della catena di potere; si ribadisce che, anche se la modernità talvolta si deve piegare ad annetterle in luoghi diversi dalla cucina e dalla camera da letto, sempre lì dovrebbero stare, come pretendono millenni di cultura patriarcale.
Un uomo, di conseguenza, viene screditato denigrando le “sue” donne e il loro “onore”. L’epiteto figlio di puttana, quanto è comune e diffuso? Figlio di gigolò non l’ho mai sentito, e nemmeno figlio di ruffiano. Figuriamoci figlio di evasore fiscale.
Cornuto, gridano all’arbitro migliaia di voci in coro.
E il vocabolario? Donna onesta = casta, pura; uomo onesto = retto, probo.
‘Casanova’ e ‘dongiovanni’, come ‘latin lover’, sono apprezzamenti positivi, ‘satiro’ o ‘stallone’ o il siciliano ‘fimminaro’ comprendono una carica ammiccante di ammirazione, ‘gigolò’ suggerisce eleganza. Perfino l’orrido ‘sciupafemmine’ per molti è un essere invidiabile: un vero uomo.
Al vertice della piramide dei valori imposti alle donne c’è stata per contrasto la verginità, sigillo da esibire come un trofeo che può esser “preso”, “rubato”, “perso”, “donato”. Per secoli l’onore di una donna l’ha aggrappata a questo bene supremo, che andava difeso a costo della vita.
Se sei donna e ti riprendono in comportamenti privati, “te la sei cercata”. È la frase tipo della violenza secondaria, l’abbiamo ripetuto mille volte… ma il revenge porn, la nuova dinamica che espone una malcapitata al pubblico ludibrio, è considerato dai ragazzi una conseguenza giusta.
Se sei presidente del consiglio e ti concedi in privato “cene eleganti” diventi un eroe nazionale. Se sei un ragazzo e hai molte esperienze sessuali sei figo. La vecchia mentalità venatoria che fa vivere ai maschi i rapporti come tacche in più sul calcio della pistola si insinua tra le giovani generazioni come triste fenomeno di ritorno.
Collezionarne il maggior numero possibile appare funzionale a elevare il proprio status all’interno del gruppo, favorendo la propria identificazione con il modello egemone di mascolinità e il conseguente ottenimento dell’ammirazione dei pari.
Il modello predatorio dell’esuberante pulsione incontrollabile, del testosterone incontenibile, è ancora ben vivo non solo nei detti popolari ma nelle coscienze. Facendosi interprete di una moralità ambigua d’altronde la Chiesa, che aveva da sempre condannato come peccaminosa la fornicazione, aveva però provveduto a elaborare, a partire dal IV secolo e sulla scorta degli insegnamenti dei padri del cristianesimo, la teoria del male minore, sostenendo che la prostituzione era necessaria per il buon funzionamento della società e per la salvaguardia del pudore delle mogli perbene. Peccadillos, peccati veniali.
L’uomo è cacciatore … ce lo ricorda oggi un Consorzio di produttori di salami. «È naturale”», dicono i miei studenti, che vivono contemporaneamente nella postmodernità e nell’età della pietra. Quanto sono indulgenti nei confronti dei maschi stupratori, quante attenuanti concedono? «Sono solo ragazzi», «hanno fatto una stupidaggine».
Catcalling, sexual harassment online, cyber flashing, doxxing, stealthing, cyberstalking, zoombombing? Canali contemporanei per maschi in calore, ma la vecchia metafora del cacciatore ritorna inesorabilmente in ogni discorso in cui si voglia giustificare l’accanimento sessuale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento, la frustrazione di chi si vede sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco di ruolo, gli impone un rifiuto netto e non previsto.
Perfino nei tribunali a una donna violentata si chiede conto dell’abbigliamento. Nessuno mai domanda a un uomo rapinato come mai andasse in giro con un orologio costoso al polso.
Se in una pubblicità lei è sdraiata sul letto sembra sia che non aspetti altro che qualcuno le salti addosso. Se lui è sdraiato sul letto vuol provare se il materasso è comodo.
La stampa, la tv si comportano di conseguenza, quando titolano «Baby squillo ai Parioli», anziché «Pedofili insospettabili ai Parioli».
Caro ministro dell’istruzione, cari avversari del cosiddetto gender, possiamo educare al rispetto della libertà altrui senza considerare in che modo differenziato maschi e femmine si relazionano al possesso nella relazione intima, o senza parlare della doppia morale e del doppio standard?
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Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.
