Quante volte ci è capitato di entrare in un supermercato e vedere lunghi corridoi di scaffali pieni di prodotti imbustati in plastica? O entrare nel reparto ortofrutta e trovare alimenti incartati singolarmente?
La presenza di imballaggi dannosi per l’ambiente è un problema che non possiamo più ignorare: secondo un’indagine di Greenpeace e ilfattoquotidiano.it: «I supermercati italiani, con la loro dipendenza dal monouso, non solo contribuiscono all’inquinamento dei mari e del pianeta, ma alimentano la domanda di idrocarburi da cui si produce la plastica, aggravando la crisi climatica»; questa pratica, quindi, si rivela insostenibile per un mondo allo stremo e, soprattutto, nociva per gli ecosistemi in quanto questo materiale è presente in maniera massiva nell’industria alimentare: il rischio, tragicamente diventato realtà, è quello che venga dispersa nell’ambiente e non correttamente riciclata. National Geographic riporta che il 59% dei rifiuti prodotti in Europa proviene da questa sostanza ma l’obiettivo sarebbe quello di recuperarne almeno il 55%: secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Italia è al secondo posto in Europa per la raccolta di rifiuti plastici (pari a 1,7 tonnellate), un valore che risulta tuttavia in crescita; di tutti questi scarti, però, solo il 55,6% (1,26 tonnellate) è avviato al riciclo: questo non significa che la metà degli imballaggi di scarto inizia un altro ciclo di vita, bensì ci indica solo la quantità che entra nello stabilimento (ovvero 2,3 tonnellate circa) e non tutta subisce il processo: di conseguenza il valore dell’Italia non raggiunge neanche il minimo stabilito dall’Ue.

Proprio l’Ue, tenendo in considerazione gli effetti del monouso, ha emesso una disposizione nel 2019 che ha come obiettivo la diminuzione di questi scarti, in favore di alternative più sostenibili. Nel dettaglio, la Direttiva (Ue) 2019/904 del Parlamento europeo e del Consiglio, nota anche come Direttiva Sup (Single-Use Plastics), è stata adottata per affrontare l’incidenza di oggetti di plastica monouso sull’ambiente, in particolare sull’inquinamento marino, promuovendo «una transizione verso un’economia circolare in tutta l’Unione europea (Unione) attraverso l’introduzione di una combinazione di misure per i prodotti contemplati dalla Direttiva, in particolare, garantendo che gli articoli monouso per i quali esistono alternative disponibili e a costi abbordabili non possano essere immessi sul mercato». L’obiettivo è quello di ridurne il consumo e l’impatto, con particolare attenzione verso alcune categorie; viene infatti vietato il commercio di alcuni di questi, specialmente in ambito alimentare: posate (forchette, coltelli, cucchiai e bacchette), piatti, cannucce e bastoncini, contenitori per alimenti e bevande in polistirene sono solo alcuni dei dispositivi coinvolti nel procedimento; insieme a questi, ci sono alcuni realizzati in plastica oxo-degradabile, un tipo di materiale che contiene additivi specifici che promuovono la sua frammentazione in piccole particelle quando esposta a condizioni ambientali come luce solare, calore e ossigeno, che accelerano il processo di deterioramento: questo significa che, invece di deteriorarsi completamente in composti innocui come acqua e anidride carbonica, la oxo-degradabile spesso si frammenta in microplastiche con il rischio che queste particelle possono persistere nell’ambiente e avere impatti negativi sugli ecosistemi e sulla salute umana.
Vi è un’ulteriore problematica: la plastica non è compostabile in modo sicuro e non si degrada completamente nei normali impianti di compostaggio, con la possibilità di contaminare i flussi di riciclo delle plastiche tradizionali, rendendo i procedimenti più difficili e ostici. Questi processi, infatti, devono seguire dei parametri estremamente rigorosi e una separazione errata delle componenti comporterebbe diversi disguidi: questo materiale spesso non può essere facilmente distinto da quelle tradizionali nei flussi di rifiuti poiché, se viene mischiato con altre di queste, danneggerebbe il lotto riciclato. Gli additivi che fanno parte di questa sostanza, se presenti in altri composti, possono influenzare negativamente le proprietà dei nuovi prodotti, rendendoli meno resistenti e durevoli, riducendone il valore e l’utilizzabilità. Di conseguenza, risulta necessario che tutto venga correttamente smistato, per permettere di dare una vita nuova a oggetti già utilizzati: ciò significa che, per ottenere questi risultati, le diverse parti siano separate e sottoposte a processi diversi, aumentando notevolmente i costi dell’impianto; nonostante ciò, non è comunque possibile escludere fattori di contaminazione riducendo l’efficienza e la redditività degli impianti di riciclaggio.

Le conseguenze economiche sono sicuramente rilevanti, ma veniamo a quelle ambientali: se non regolamentata a dovere, la oxo-degradabile può avere — anzi, ha avuto — un impatto estremamente dannoso per il pianeta; una motivazione è la sua denominazione, che trae facilmente in inganno: l’aggettivo degradabile, infatti, restituisce un’idea sbagliata sulla sostenibilità del prodotto e incentiva chi lo usa a non smistarlo correttamente o, addirittura, a gettarlo in natura o per strada, in quanto “compostabile”.
Difatti, EconomiaCircolare.com fornisce alcuni dati utili per comprendere che ancora non si fa abbastanza per contrastare questo fenomeno nonostante i numerosi provvedimenti, dal divieto Direttiva (Ue) 2015/720 del 29 aprile 2015 sulla diminuzione delle buste di plastica, a quella numero 904 del 2019, che abbiamo già incontrato: si stima, grazie ai dati inseriti nel Plastic Waste Makers Index 2023, realizzato dall’organizzazione filantropica Minderoo Foundation, che «nonostante la crescente consapevolezza dei consumatori, l’attenzione delle aziende e la regolamentazione, nel 2021 sono stati generati altri 6 milioni di tonnellate di rifiuti rispetto al 2019, ancora quasi interamente realizzati con materie prime vergini a base di combustibili fossili». Questo report fornisce un’analisi dettagliata della crisi globale dei rifiuti plastici, con un focus particolare sui monouso e i loro impatti ambientali: si attesta che più del 30% del totale sia costituito da imballaggi usa e getta che, dopo essere stati utilizzati, vengono gettati via e, in particolar modo, sacchetti e posate risultano ancora gli oggetti più sfruttati.
A questo punto, quanto risultano efficaci le disposizioni emanate dai diversi organi governativi, fra cui quello europeo? La Direttiva del 2019, che bandiva dal mercato un’ampia categoria di prodotti di questa sostanza e incoraggiava gli Stati membri dell’Unione ad adottare misure per una transizione verso alternative più sostenibili, può essere considerata efficace in alcune aree di intervento: come abbiamo visto, ha aumentato la consapevolezza tra i consumatori riguardo l’impatto ambientale dell’usa e getta e le opzioni di smaltimento corretto, permettendo un miglioramento della raccolta; dopotutto, la sfida non può ancora dirsi vinta: i rapporti sui dati fanno emergere che «la crescita della plastica monouso prodotta dal 2019 al 2021 da polimeri vergini è stata 15 volte superiore a quella da materie prime riciclate»; nonostante questo sia un procedimento che contribuirebbe al miglioramento della crisi climatica, purtroppo non ha ancora a suo favore una legislazione adatta e deve ancora fare i conti con una richiesta ancora esagerata.
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Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.
