Le Baccanti di Euripide raccontano, dunque, come le donne, liberate dai ceppi delle istituzioni che le vogliono relegate in casa, e tornate in contatto, o addirittura in simbiosi, con il mondo naturale, ritrovino uno stato di benessere e riscoprano la loro potenza: quella potenza insita nella peculiarità del corpo femminile, in grado di dare la vita e di nutrire ogni essere vivente. Ma non basta che un’unica donna si ribelli all’ordine che la vuole schiava di regole ideate dai maschi, detentori unici del potere in seno alla collettività: Medea, Fedra, Antigone e le altre pagano duramente la loro scelta. Solo se le donne tutte insieme decidono di infrangere quel patto, quel contratto sociale, che in qualche modo hanno sempre accettato docilmente, saranno in grado di cambiare il mondo e modificare le relazioni tra gli esseri umani nella direzione della condivisione e della solidarietà.
Tocca a un poeta comico, Aristofane, il più famoso e, paradossalmente, il più conservatore, fantasticare di un mondo nuovo in cui siano le donne a fissare le regole e votare le leggi: un mondo alla rovescia. Abbiamo già raccontato come il poeta, in una commedia rappresentata negli ultimi anni del V secolo, immagini che le donne, alleandosi sotto la guida di Lisistrata, riescano a concludere quella pace che, dopo decenni di scontri sanguinosi tra Atene e Sparta, sembra tanto più impossibile quanto più è desiderata da chi ne paga giornalmente il prezzo.
Circa un decennio più tardi — siamo tra il 393 e il 392 a. C. — lo stesso Aristofane mette in scena con le Ecclesiazuse, una commedia (nota anche come Le donne all’assemblea o Le donne al parlamento) in cui immagina che le donne si organizzino per avere la maggioranza nell’assemblea, l’organo legislativo del parlamento ateniese, dal quale nella realtà erano ovviamente escluse. Per riuscirci, sotto la guida di Prassagora, molte mogli rubano mantelli e scarpe ai mariti addormentati, indossano lunghe barbe finte e si recano prima dell’alba sulla Pnice, la collina su cui si svolgeva l’assemblea, in modo di trovarsi in gran numero sul luogo, quando gli araldi chiuderanno simbolicamente le porte — spruzzando vernice addosso ai convenuti — perché si dia inizio alla discussione e alle deliberazioni. E visto che la cosa può andare per le lunghe e le donne di tempo ne hanno sempre pochissimo, qualcuna si porterà dietro la lana da cardare per non rimanere con le mani in mano durante l’assemblea: «Mentre lavoro non sentirò mica peggio per questo… i bambini sono praticamente nudi», Aristofane, Ecclesiazuse.
Il piano va a buon fine, grazie all’arte oratoria di Prassagora, che veste i panni di suo marito e ne imita la voce: «Io dico che bisogna affidare il governo alle donne: già le utilizziamo in casa come amministratrici e tesoriere. Vi dimostrerò, cittadini, che si comportano in modo molto migliore, di noi uomini. Per cominciare, loro tingono la lana nell’acqua calda, come si è sempre fatto: non se lo sognano di fare esperimenti, come fanno gli Ateniesi. Stanno a casa e cucinano, come ai bei tempi; portano carichi in testa, come ai bei tempi; festeggiano le Tesmoforie — feste tradizionali per sole donne —, come ai bei tempi. Cuociono focacce, come ai bei tempi. Rompono le scatole agli uomini, come ai bei tempi. Fanno entrare in casa l’amante, come ai bei tempi. Vanno in giro a fare compere, come ai bei tempi. Amano il vino puro, come ai bei tempi. Godono a fare sesso, come ai bei tempi. Perciò, non perdiamoci in chiacchiere e affidiamo loro la città, senza stare a chiederci che cosa faranno. Lasciamole governare. Ci basti riflettere su questo: sono madri e faranno di tutto per salvare la vita dei nostri soldati. E poi, chi, più di una madre, sarà capace di occuparsi degli approvvigionamenti? La donna è bravissima a procurarsi denaro e, una volta al potere, non si farà mai ingannare: è troppo abituata a ingannare lei stessa. Mi fermo qui, ma potrei continuare a lungo. Datemi retta e avrete una vita felice». La misoginia sottesa a questo discorso e la sfiducia per tutto ciò che è nuovo, in assoluta sintonia con le ben note posizioni conservatrici di Aristofane, non impediscono al poeta di riconoscere alle donne capacità che sarebbero di grande utilità nella gestione del potere. Agli spettatori del tempo non sfuggiva il messaggio implicito: le abbiamo provate tutte, le cose vanno talmente male che peggio di così non può andare, non ci resta che quest’ultimo tentativo…
Si fa per ridere, sulla scena, ovviamente.
Presa la decisione, l’assemblea, su proposta delle donne, decreta una trasformazione radicale nella gestione delle risorse di qualunque genere: saranno messe tutte in comune. In un’inedita forma di comunismo ante litteram, viene abolita ogni forma di proprietà privata. Di conseguenza verranno meno l’avidità e la brama di potere e l’abitudine di usare mezzi illeciti per possedere qualcosa più di un altro; e insieme l’invidia, le denunce, i contrasti.
Da questo testo ricaviamo notizie di grande interesse sulle modalità con cui si realizzava quella democrazia diretta, cui ancora il mondo occidentale si ispira. Scopriamo, tra l’altro, che in quegli anni gli aventi diritto al voto erano circa trentamila e che venivano retribuiti con tre oboli per la loro partecipazione all’assemblea: una somma discreta, che spingeva anche i più pigri a saltar fuori dal letto all’alba per assicurarsela, a prescindere dagli argomenti in discussione. Come sapremo dal dialogo tra due cittadini, rimasti a bocca asciutta perché arrivati troppo tardi, in questo caso all’ordine del giorno c’era addirittura la salvezza dello stato e, come sempre, ciascuno dei presenti poteva suggerire la strategia che gli paresse più opportuna e sottoporla al voto dell’assemblea. Uno dei due, di nome Cremete, pur senza aver potuto partecipare, ha assistito dall’esterno e risponde alle domande dell’amico rimasto sotto le coperte. Racconta che, dopo alcune proposte risibili, si era alzato «un bel ragazzo, con la pelle bianca, e aveva cominciato a dire che bisognava affidare il governo della città alle donne. Subito la massa dei ciabattini aveva cominciato ad applaudire e a urlare che aveva ragione. Invece i contadini mugugnavano». Il particolare della pelle chiara che ha colpito il narratore rivela agli spettatori la folta presenza delle donne che, travestite da uomini, vengono scambiate per una massa di ciabattini: l’unica categoria di lavoratori che, esercitando il mestiere in casa, come le donne, non si abbronzava, come chi lavorava nei campi. Cremete ripete i motivi che quello strano oratore ha portato a sostegno della sua proposta, elencando tutte le virtù femminili che tornerebbero utili nel governo della città: la donna è accorta, abile a far soldi e capace di mantenere un segreto, quando ne va del bene dello stato. Ma soprattutto «le donne si prestano tra loro vestiti, gioielli, coppe e anche soldi, fidandosi l’una dell’altra, senza bisogno di testimoni e restituiscono tutto, senza cercare di imbrogliare. Poi non fanno la spia, non citano in tribunale i concittadini con accuse di ogni tipo sperando di guadagnarci e, soprattutto, non cospirano contro la democrazia».
Perciò l proposta è passata e il governo è stato affidato alle donne. In fondo i due sono abbastanza soddisfatti: non dovranno più preoccuparsi di mantenere la famiglia. Decidono dunque di accettare le deliberazioni e obbedire; o almeno far finta di obbedire, in attesa di vedere che cosa succede.
Ma c’è un rischio: che le donne, tutte, anche quelle vecchie e brutte pretendano continuamente prestazioni sessuali: la lussuria delle donne è un luogo comune che torna ossessivamente in tutte le commedie, insieme al vizio dell’ubriachezza, conseguenza dell’abitudine attribuita al solo genere femminile, di bere vino puro — e non annacquato, come risulta fosse usanza nei simposi maschili.
Nella seconda parte della commedia, assistiamo alle conseguenze del nuovo corso, non tutte gradevoli. Uno dei problemi principali da risolvere è come fare in modo che si continui a lavorare, una volta svanito l’incentivo dell’arricchimento personale. Il progetto mostra le prime contraddizioni: i lavori più duri, come il lavoro dei campi, nel nuovo ordine saranno svolti dagli schiavi. Ma neppure per scherzo Aristofane riesce a immaginare che le mansioni tipicamente femminili, come la tessitura, non continuino a essere a carico delle donne. Così pure la preparazione del cibo e l’organizzazione dei pasti. Si mangerà tutti insieme, sotto i portici o negli spazi tradizionalmente occupati dai tribunali, che non avranno più ragione di esistere, visto che le cause intentate continuamente da un cittadino contro un altro avevano sempre un movente economico: «Perché si dovrebbero fare le cause?» «per esempio, se un debitore nega il suo debito» «E il denaro il creditore da chi l’avrebbe preso, se tutto è in comune? «E non ci saranno più ladri?» «Chi ruberebbe ciò che gli appartiene? […] tutti avranno di che vivere. E se, ciò nonostante, qualcuno avrà cattive intenzioni, sarà la vittima stessa a consegnargli il mantello: che interesse avrebbe a resistere se può recarsi al deposito e scegliersene uno migliore?» «E gli uomini non giocheranno più a dadi?» «E che cosa si giocherebbero?». Ma il sogno più grande di Prassagora è distruggere quelle mura domestiche che tengono prigioniere le donne e rompere l’isolamento: «Voglio fare della città una sola casa, abbattendo le pareti, in modo che si possa passare liberamente dall’una all’altra».
Dal punto di vista della vita delle donne, l’obiettivo è rompere l’isolamento, sconfinare; e mettere in discussione la casalinghitudine, che assimilano — due millenni e mezzo prima di Clara Sereni — alla negritudine. E insieme rivendicare il diritto al piacere: le puttane smetteranno di esercitare, perché tutte le donne, indipendentemente dall’età e dalla forma fisica, possano godere del “fiore dei giovani”.
Ma come si fa a convincere un bel ragazzo a soddisfare le voglie di una vecchia?
In copertina: affresco raffigurante tre donne, 1700-1400 a.C., circa; palazzo di Cnosso.
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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.
