Le sorelle preraffaellite. Una confraternita di muse, ispiratrici, pittrici 

La visita alla mostra Preraffaelliti. Rinascimento moderno, allestita nel Complesso San Domenico di Forlì, insieme ad altre amiche insegnanti, oltre a essere stata una piacevole occasione di svago, è stata anche un’opportunità formativa innovativa, in quanto ci ha consentito di osservare, sfruttando i nostri diversi punti di vista (letterario, artistico, pittorico e scientifico) un percorso eclettico, che unisce antico e moderno, come quello preraffaellita. 
La cospicua presenza di opere femminili è stata per me fonte di ispirazione per esplorare e riflettere sul ruolo femminile all’interno di una confraternita composta in origine solamente da giovani artisti ribelli inglesi, che uniscono il loro percorso con l’intento di opporsi al canone imposto loro dalla Royal Academy, per la quale l’arte italiana rinascimentale e, in particolare, quella di Raffaello e dei suoi seguaci, rappresentava una fonte di ispirazione unica e inimitabile. 

Locandina della mostra a Forlì 

L’epoca in cui nasce e si sviluppa il preraffaellismo coincide con il 1848, l’anno della cosiddetta “primavera dei popoli”, momento di fondamentale cesura non solo dal punto di vista politico, col collasso del sistema della Restaurazione e la diffusione su vasta scala di idee libertarie e d’indipendenza nazionale; ma anche sociale, con la nascita del movimento cartista inglese che rivendica maggiori diritti per le/i lavoratori, e artistico poiché quel ribellismo, tipico dei momenti di transizione, si diffonde anche nell’ambito delle arti e, in particolare, in Inghilterra. Da questo spirito di contestazione, nasce la Confraternita dei Preraffaelliti, composta inizialmente da sette giovani, James Collinson, William Holman Hunt, John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti, William Michael Rossetti, Frederic George Stephens e lo scultore Thomas Woolner, che rifiutano i canoni artistici dominanti per dedicarsi a quell’arte italiana, da loro considerata sincera e spontanea, precedente al raffaellismo. A sostenere la loro fiamma della passione per la cosiddetta arte primitiva italiana ci sono due scrittori, John Ruskin e Anna Jamenson: il primo valorizza la fedeltà alla natura e la missione civilizzatrice dell’arte primitiva, celebrando soprattutto le opere di Beato Angelico e di Giotto; la seconda, con le sue opere di carattere principalmente didascalico, fornisce importanti informazioni sulle vite degli artisti e sull’iconografia dell’arte sacra primitiva italiana. Naturalmente Ruskin e Jamenson sono solo due delle voci che all’epoca si occupano degli artisti primitivi italiani, e ne diffondono i principi in territorio inglese, dal momento che l’interesse per quel genere di arte stava aumentando in tutta Europa: nella parte orientale del continente aveva assunto in particolare un afflato di forte religiosità, non condiviso dalle e dai Preraffaelliti inglesi che optano, invece, per inglobare la lezione degli antichi maestri italiani nell’ampia gamma delle idee e degli interessi artistici moderni, proponendo quindi una fusione di antico e moderno reso in modo significativo dal titolo della mostra forlivese, che utilizza per l’appunto la definizione di “Rinascimento moderno”. Per comprendere appieno le e i Preraffaelliti è necessaria una premessa di carattere logistico: questi artisti erano in gran parte studenti della Royal Academy, o di altre scuole artistiche che le gravitavano attorno. Nello specifico, la Royal Academy aveva sede nella parte orientale di un edificio, la cui metà occidentale era stata, in precedenza, assegnata alla National Gallery. Qui, grazie soprattutto alla lungimiranza di sir Charles Eastlake, primo direttore della Royal Academy, e della moglie Elisabeth Rigby, brillante storica dell’arte, le collezioni presenti nel museo non si limitavano ai nomi più celebri del XVI e XVII secolo, ma a quelle di artisti più antichi come Duccio, i Lippi, del Pollaiolo, Paolo Uccello, Verrocchio, ma anche Cimabue, Beato Angelico, Giotto, Benozzo Gozzoli e Andrea Orcagna. Per giustificare la presenza di dipinti, che risultavano in contrasto con il gusto dominante, Eastlake e Rigby si affidano al principio della progressione cronologica nella storia dell’arte. Entrare in contatto con questi maestri dell’arte italiana, segna in modo indelebile i membri della Confraternita per i quali William Michael Rossetti nel 1899 avrebbe dichiarato: «La tempra di quei giovincelli […] era la tempra dei ribelli: volevano la rivolta e fecero la rivoluzione». Nella primavera del 1849, si tiene infatti la prima mostra dei Preraffaelliti. 
Nell’Inghilterra, fulcro di un grande impero globale e centro di una rivoluzione economica straordinaria che aveva stravolto il sistema sociale ed ecologico, le e i Preraffaelliti vengono considerati da alcuni critici come un movimento d’avanguardia fondato da giovani tra i 19 e i 23 anni, irrequieti e scandalosi, che organizzano una rivolta non solo nei confronti dell’estetica, ma anche di quelle che sono da loro considerate come le “imperfezioni del presente” e che li portano alla scelta di temi morali, religiosi, sociali e politici. Tra le caratteristiche più apprezzate delle e dei preraffaelliti sono da segnalare la luminosità, la forza emotiva, la brillantezza del colore ottenuta con una stesura a strati sottili e mediante l’utilizzo di colori moderni di fabbricazione sintetica, giustapposti per creare effetti di spiccata brillantezza. A rendere “ribelle” l’arte proposta dalle e dai pittori preraffaelliti c’è la fusione di spunti storici e moderni con l’arte primitiva italiana: ne è una testimonianza la Isabella di Millais, che trae ispirazione dalla novella di Boccaccio, Lisabetta da Messina, e che permetterà alla Confraternita di ottenere una delle prime collaborazioni per l’illustrazione del poema romantico del poeta inglese John Keats, a sua volta ispirato dal Decameron

John Everett Millais, Isabella, 1849 

Ciò che colpisce Millais e che rende nella sua tela attraverso il gesto del calcio al cane da parte di uno dei fratelli di Isabella, sono le aspre contrapposizioni tra le classi sociali che, nella seconda metà dell’800, tormentano l’Inghilterra. Con questo quadro, il pittore inaugura il “modo preraffaellita” di dipingere, cioè utilizza una composizione irregolare in cui lo spazio pittorico risulta compresso, le figure sono realistiche e modellate su persone reali; il punto di fuga unico viene eliminato e sostituito con motivi angolari e macchie di colori. Tra le idee più rivoluzionarie del gruppo, c’è quella bene espressa da Dante Gabriel Rossetti: «l’arte non necessariamente progredisce nel tempo, ma semplicemente cambia», questo permette a lui e alle/ai suoi confratelli di cogliere nei primitivi italiani aspetti che si erano andati perdendo nell’interpretazione progressista dell’arte inglese, tipica di quel momento storico. Dante Gabriel Rossetti è l’agitatore del gruppo, è un’anima ribelle e disperata, che ama teatralizzare la propria esistenza a partire dal nome, ne anticipa, infatti, il terzo collocandolo in prima posizione con l’intenzione di legare la propria esistenza al culto di Alighieri, trasmessogli dal padre Gabriele, esule italiano e cultore della figura del sommo poeta fiorentino. Il Dante di Rossetti è sempre giovane e ispirato alla rappresentazione che ne fece Giotto nella cappella del Bargello a Firenze con cui il pittore inglese entra in contatto grazie al padre.  

Giotto, Ritratto di Dante tra gli eletti del Paradiso, 1334-1337, Cappella del Podestà, Palazzo del Bargello, Firenze 
Dante Gabriel Rossetti, Giotto Painting the Portrait of Dante (study for the figure of Dante), 1856-1858 

Di Alighieri, Rossetti predilige le opere giovanili, in particolare la Vita Nova, in cui l’amore viene analizzato nelle sue diverse forme fino a quello mistico che eleva oltre la sfera che più larga gira, condizione che probabilmente il pittore inglese raggiunse solo dopo il consumo alcool e laudano, di cui era dipendente. Comunque, non c’è Dante che si rispetti senza la presenza di una Beatrice e, nonostante Rossetti ne ebbe più d’una, bisogna riconoscere che quella che non dimenticò mai, fu una pittrice più brillante e talentuosa di lui. 

Dante Gabriel Rossetti, Beata Beatrix, 1864-1870

Amanti che diventano modelle o viceversa popolano il mondo femminile di Rossetti in cui non mancano anche pittrici e poete: è il caso di Elizabeth Siddal, compagna e poi moglie di Rossetti nel 1860. Lizzie, come viene chiamata, nasce a Londra nel 1829, in una famiglia non particolarmente benestante visto che lei e le tre sorelle lavorano come modiste in bottega, mentre il padre ha un negozio di coltelli nel centro della città. Non si conoscono con esattezza i dettagli, ma gli splendidi capelli rossi di Lizzie colpiscono il pittore Walter Howell Deverell, che la sceglie come modella e la introduce nel mondo dell’arte inglese in cui si sta affermando la Confraternita dei Preraffaelliti e per loro posa prima per William Hunt, poi per John Everett Millais e, infine, per l’uomo che segnerà per sempre la sua esistenza: Dante Gabriel Rossetti. 
La famosissima tela di Millais, Ofelia, uno dei manifesti del movimento, viene realizzata sottoponendo Lizzie a estenuanti sedute di posa nell’acqua di una vasca riscaldata da candele; a seguito di ciò la salute della giovane resta irrimediabilmente compromessa, costringendola a periodi di cura in luoghi lontani da Londra.  

John Everett Millais, Ophelia, 1851-1852 

Negli anni ’50, Lizzie si lega sentimentalmente a Dante Gabriel Rosetti che la elegge a propria musa, ma stimola anche in lei il desidero di perfezionare un talento artistico e letterario che è spesso stato ignorato dalla critica o comunque messo in ombra dalla tragica vicenda di cui è protagonista: le precarie condizioni di salute, la dipendenza dal laudano, il dolore insopportabile per i ripetuti tradimenti di Rossetti e per la morte, dopo un parto prematuro, della loro unica figlia, la conducono alla morte a soli 32 anni. Pur essendo nata all’interno del movimento preraffaellita, l’opera grafica, pittorica e letteraria di Siddal rivela anche originali rielaborazioni dell’agenda estetica e tematica del movimento. Protagoniste delle opere della pittrice sono soprattutto donne, spesso colte in momenti di ardore spirituale, angoscia amorosa e solitudine.  

Elizabeth Siddal, St. Cecilia, 1857 

Siddal, ad esempio, rappresenta Santa Cecilia mentre, inginocchiata, trascrive della musica in presenza di un angelo dalle sembianze femminili che reca uno strumento a corde in mano. Entrambe le figure indossano abiti lineari e spogli, che trasmettono l’immaterialità e la purezza dei loro corpi divini; l’impianto angolare della composizione rimanda alla struttura delle vetrate medievali, per le quali Lizzie nutriva una grande passione. Questa rappresentazione fa parte delle illustrazioni del poema del 1857 The Palace of art di Tennyson, di cui però è Rossetti ad accaparrarsi la commissione spesso facendo proprie le soluzioni estetiche di Siddal. Lavorare insieme è uno degli elementi che rende ancora più forte il loro legame, anche se il grande sostenitore della Confraternita, il critico Ruskin, fu sempre convinto della superiorità grafica della donna rispetto al compagno. Non solo l’arte, ma anche la poesia e la scrittura attraggono Lizzie che realizza anche raccolte poetiche, ma alcuni componimenti restano inediti e saranno sepolti con il suo corpo insieme a poesie a lei dedicate da Rossetti che, anni dopo, oberato dai debiti, riesumerà il corpo della moglie per procedere alla pubblicazione delle liriche a proprio nome. Nonostante i molteplici interessi e il successo della critica, infatti, il grave esaurimento nervoso compromette l’esistenza di Lizzie che, soprattutto dopo la morte prematura della figlia nello stesso periodo in cui Jane Morris partorisce una bambina, aumenta la sua dipendenza dal laudano, fino a morire per un’overdose. 
Jane Burden Morris (1839-1914) nasce a Oxford da una famiglia di modestissime origini; durante uno spettacolo teatrale viene notata da Rossetti che la convince a posare come modella e lo sarà anche per William Morris, di cui diventerà la moglie. Durante il fidanzamento, la giovane Jane riceve l’educazione che la povertà della sua famiglia non le aveva permesso e diventa un’acuta lettrice e pianista. La coppia Morris-Burden avrà due figlie, una delle quali partorita poco dopo la morte della neonata di Lizzie, e Jane sosterrà il marito nella sua poliedrica attività di pittore, designer, editore, poeta, nonché fondatore della Morris, Marshall, Faulkner & Co, un’azienda che mirava alla rinascita dell’artigianato nelle sue forme tradizionali, come la pittura su vetro e da carta da parati, come reazione colta di artisti e intellettuali all’industrializzazione del tardo Ottocento. Questo progetto la coinvolge in prima persona insieme alla moglie di Burne-Jones, Georgiana: Jane dirige infatti la sezione del ricamo, mentre Georgiana è impegnata nella pittura delle piastrelle. Dopo la morte di Lizzie, il legame tra Rossetti e Jane diventa sempre più stretto: lui la ritrae come la “donna gentile” che consola Dante dopo la morte di Beatrice nel dipinto La Donna della finestra. Alla base del ritratto, su una finta pergamena fissata al davanzale di pietra, è riportato il primo verso del sonetto XXXVI della Vita Nova in cui, con un chiasmo, Dante Alighieri descrive il viso della donna consolatrice con queste parole «Color d’amor e di pietà sembianti», cioè l’incarnato del viso rappresentato trasmette quel sentimento d’amore e di profonda compassione della donna per il lutto di Beatrice, per Alighieri, ma anche di Lizzie Siddal, per Rossetti, creando un gioco di rimandi e sovrapposizioni tra poesia, arte e vita veramente straordinario. 

Dante Gabriel Rossetti, La Donna della finestra, 1870 

Nei primi anni ’70, il legame tra Jane e Rossetti è forte e profondo e questo getta William Morris in uno stato di profondo sconforto al punto da cercare consolazione in Georgiana Macdonald, moglie di Burne-Jones, anche lei, come vedremo tra poco, in un momento molto difficile della sua vita. Alla fine, la famiglia Morris si trasferisce dalla storica residenza di Kelmscott a Londra alla ricerca di serenità e coesione, qui Jane rimarrà vedova nel 1896, dopo aver avuto un’altra intensa relazione con il poeta e attivista Wilfrid Scawed Blunt, primo cittadino britannico a essere imprigionato per la libertà irlandese e convinto oppositore, dopo la sua esperienza diplomatica in Africa, della politica imperialista inglese in Sudan. 
Legata a Jane e a William Morris è Georgiana Macdonald (1840-1920), figlia di un pastore metodista. Attraverso il fratello Harry, conosce il giovane Edward Burne-Jones con cui si fidanza all’età di 15 anni, entrando in contatto con Morris e Rossetti, che ne fa un ritratto; di questi incontri lei dichiarerà: «Vorrei che fosse possibile spiegare l’impressione fatta su di me da giovane, la cui esperienza finora era stata del tutto lontana dall’arte, dal rapporto improvviso e intimo con coloro per i quali era il respiro della vita… Io mi sono sentita in presenza di una nuova religione».  

Dante Gabriel Rossetti, Disegno di Georgiana Burne Jones

 A partire dalla seconda metà degli anni ’50, la donna prende lezioni da Ford Madox Brown, un altro pittore di tendenze preraffaellite; poche sono le sue opere sopravvissute tra le quali una xilografia e un piccolo acquerello che rappresenta un uccello morto. 

Xilografia di Georgiana Burne Jones 
Georgiana Burne Jones, Uccello morto, 1857 

I primi anni di matrimonio sono per Georgiana molto intensi e stimolanti poiché collabora con il marito e i coniugi Morris a progetti di decorazione, poi però un’epidemia di scarlattina contratta durante la sua seconda gravidanza la costringe a un parto prematuro a cui segue la morte del neonato, infettatosi a sua volta. Seguono anni molto difficili anche per la carriera di Burne-Jones che dà scandalo per una relazione con la sua modella. Durante questo periodo, Georgiana trova appoggio e conforto in William Morris, a sua volta in crisi con Jane, al punto che lui arriverà a chiedere a Georgiana di lasciare il marito, cosa che lei non farà, standogli vicino fino alla morte e, successivamente, occupandosi personalmente della stesura e della pubblicazione delle sue memorie. 
Se la vicenda personale di Lizzie, Jane e Georgiana non permette, per differenti motivi, di portare a compimento il loro percorso artistico, relegandole spesso al ruolo di mogli, modelle, amanti, un destino diverso avrà Mary Evelyn Pickering (1855-1919), conosciuta artisticamente come Evelyn De Morgan, con il cognome del marito, anch’egli pittore preraffaellita. 
Tra le e gli artisti che lavorano a Firenze nel tardo ‘800, De Morgan è una delle pittrici più originali, contribuendo all’affermazione di un rinnovato interesse per l’arte italiana e, insieme alla modella e pittrice di origini greche Marie Spartali Stillman, viene inserita in quella che è stata definita come Pre-Raphaelite Sisterhood. Dopo aver vinto le resistenze della famiglia, appartenente all’alta borghesia inglese, Evelyn riesce a entrare nella Slade School of Fine Art, che le permette di misurarsi con soggetto classici, dai quali si discosta grazie all’influenza dello zio, John Roddam Spencer Stanhope, pittore preraffaellita, che la incoraggia ad allontanarsi dal tradizionalismo della Slade per creare un proprio stile personale, che affina grazie soprattutto ai ripetuti viaggi in Italia, promossi dallo zio. 
È interessante notare che il viaggio per Evelyn rappresenti qualcosa di straordinario non solo perché le permette di visitare città come Pisa, Roma, Assisi, Perugia e Firenze, ma anche perché era veramente insolito per l’epoca che donne britanniche viaggiassero non accompagnate in un Paese straniero. La curiosità e gli stimoli offerti da questa esperienza sono determinanti per la giovane pittrice che sviluppa un vero e proprio culto per Sandro Botticelli. La nascita di Venere è per lei un modello a cui ispirare le sue figure mistiche della mitologia, ritratte nel classico e con abiti ricchi di morbidi e ondeggianti drappeggi. Oltre all’arte di Botticelli, un ruolo determinante nella produzione di De Morgan è da attribuire allo spiritismo, di cui è cultrice e che conferisce alle sue figure femminili un marcato misticismo. 
Tra le donne di De Morgan, raffigurate nella loro bellezza e posa botticelliana, mi ha colpito molto il dipinto Medea, in cui l’abile maga, figlia del re della Colchide, si aggira per le sale di un palazzo greco con in mano una pozione da lei appena realizzata per vendicarsi di Giasone, l’eroe del vello d’oro, che l’ha ripudiata per potersi sposare con la principessa corinzia Glauce. La pozione verrà cosparsa sul peplo e sul diadema che Medea invierà in dono alla principessa rivale e che ne provocherà la morte. Non solo, la vendetta si chiude con l’uccisione dei figli che Medea ha avuto da Giasone per gettarlo ancora di più nella più assoluta disperazione. Attraverso la figura di una donna strega figlicida, Evelyn De Morgan, sostenitrice dei diritti delle donne ed esponente del suffragismo a partire dal 1889, esprime le ansie che il pubblico britannico nutre, alle fine dell’800, nei confronti dell’emancipazione femminile.  

Evelyn De Morgan, Medea, 1889

Un altro soggetto significativo nel percorso femminista di De Morgan è Ariadne in Naxos in cui l’artista ritrae Arianna nel momento dell’abbandono di Teseo, esprimendo la disperazione della donna, ma anche la sua forza e la sua indipendenza: se l’avesse raffigurata insieme a Teseo avrebbe rappresentato una vittima; con Bacco, una preda. L’essere da sola al centro della scena è il modo con cui la pittrice mette in discussione lo stereotipo delle donne screditate per le loro conquiste e relegate nei ruoli di mogli e madri. 

Evelyn De Morgan, Ariadne in Naxos, 1877

Artiste, relegate spesso al ruolo di modelle, mogli, amanti, che uniscono l’amore per l’arte italiana ai temi “caldi” dell’epoca in cui vivono; attraverso le donne da loro dipinte oppure attraverso i loro volti immortalati nei quadri dei confratelli, esprimono misticismo ed emancipazione, amore e comprensione, spesso donati piuttosto che ricevuti. Nei loro volti, resi eterni dall’arte, si può cogliere il tentativo irrisolto di rappresentare il mistero, l’incomprensibile, l’indicibile che si cela nell’essenza femminile e che è tanto più affascinante quanto più è sospeso tra ideale e reale, tra finzione artistica e vita vissuta, tra cielo e terra. 

In copertina: scorcio della stazione di Forlì. 

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Articolo di Alice Vergnaghi

Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.

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