Vite intrecciate, fili di speranza. Parte prima 

Riprendiamo da dove ci siamo lasciate/i, dall’articolo introduttivo del rapporto Interwoven Lives, Threads of Hope: Ending inequalities in sexual and reproductive health and rights (link articolo: https://vitaminevaganti.com/2024/07/20/interwoven-lives-threads-of-hope/), nel numero 280 di Vitamine vaganti. Durante le prossime settimane avremo l’occasione di approfondire questo volume, che racchiude informazioni e storie di donne riguardo la salute riproduttiva e sessuale; cominceremo con il primo capitolo, dal titolo significativo, A work in progress, che segna diversi punti salienti. 
A trent’anni dalla Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo (Icpd) forse i risultati che ci aspettavamo (e di cui avevamo bisogno) non erano questi. La situazione sanitaria mondiale, va segnalato, ha avuto un indiscusso miglioramento: ora si vive più a lungo e meglio, l’accesso a pratiche mediche è reso disponibile a un numero sempre crescente di persone, il rischio di morte a causa di malattie è diminuito. Purtroppo, però, non è ancora abbastanza. Il divario fra le diverse condizioni sanitarie presenti in tutto il pianeta sembra crescere, e questo è dovuto a disuguaglianze di genere, di provenienza geografica, e soprattutto a limitazioni politiche e sociali che impediscono ad alcuni gruppi di donne la piena libertà di decisione sul corpo. Questa disparità contribuisce all’ispessimento di barriere culturali che sistematicamente non solo allontanano il genere femminile da procedure sanitarie di base e necessarie, ma rallentano la conquista di tutti i diritti, da quello a un salario adeguato (quando alla donna è concesso provvedere economicamente al suo sostentamento, non dipendendo da forme di reddito maschili) a quello a una partecipazione alla vita politica e civile.  
A questo punto, cerchiamo di capire concretamente cosa è cambiato e proviamo a tracciare un sentiero su cui lavorare per migliorare. Secondo la stima di Who del 2023, nel periodo 2000-2020 le morti durante il parto sono diminuite del 34% e parallelamente, all’incirca nello stesso lasso di tempo, il numero di gestazioni indesiderate è sceso del 19%, anche grazie a un ricorso sempre maggiore (si attesta un incremento del 50%) all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg); uno dei segnali più incoraggianti riguarda la diminuzione di maternità in ragazze (nella fascia di età compresa fra i 15 e i 19 anni) che rende evidente la rilevanza di una corretta educazione sessuale fra le/i giovani. Dopotutto, resta impressionante il numero di donne e ragazze che non beneficiano di questi risultati: secondo l’United Nations Fund for Population Activities (Unfpa) — che ha fornito gran parte dei dati e delle statistiche per formulare il report — in 69 paesi la donna è soggetta a limitazioni nella scelta di questioni riguardo il suo corpo, un quarto di queste non ha la possibilità di rifiutare rapporti sessuali con il proprio partner e una su dieci non può assumere contraccettivi per decisioni che altre persone hanno preso per lei. 
Difatti, uno studio di Kanem del 2023 evidenzia che: «dopo decenni di progresso, recentemente si è assistito a una regressione in materia di diritti e salute riproduttiva e sessuale. Le organizzazioni di difesa hanno riportato che le restrizioni per l’accesso alla pratica dell’aborto hanno avuto un effetto a catena su altre situazioni ostili». Questo fenomeno, leggiamo, ha però una radice storica: il progresso, anche di diritti Lgbtqia+, ha subito diverse strette durante il corso del tempo a causa di forze politiche opposte e contrarie; dopotutto, non dobbiamo cedere alla rassegnazione: queste oscillazioni, seppur pericolose in quanto attentano alle libertà personali e individuali, non segnano la sconfitta dei movimenti progressisti, semplicemente rallentano la loro avanzata. Per quanto possa apparire consolante da un certo punto di vista, non possiamo smettere di lottare, anzi, le nostre azioni e le nostre proteste devono essere più vive e determinate che mai. Non dobbiamo farlo solo per noi stesse, agiamo anche per tutte le donne e le ragazze la cui voce non viene sistematicamente ascoltata.  
Facciamolo iniziando da Duha, una giovane madre single di 28 anni che con la sua famiglia è scappata dalla guerra in Siria, e che ora vive nella provincia di Hatay, in Turchia. Nella storia riportata nel volume, scopriamo che Duha abita in una tenda, a causa di due violenti terremoti che si sono abbattuti sulla zona. Rimasta incinta poco dopo, si è ritrovata a dover vivere in condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie che le hanno causato un’infezione al tratto urinario: racconta, infatti, che il problema riguarda tantissime persone che si ritrovano senza dimora in seguito a questi disastri naturali e che la mancanza di acqua pulita porta a diversi tipi di infezioni. L’accesso alle strutture mediche e ospedaliere, garantito ai rifugiati e alle rifugiate siriani/e, era comunque instabile: molti dei centri erano a rischio crollo e altri ancora erano inagibili. Per fortuna, Duha è riuscita a ricevere cure dalla Dott. Eda Gülüm, che collabora con Hasuder, l’associazione che riunisce specialisti/e della pubblica sanità, e che aveva già avuto esperienze con le persone terremotate. Questo ente, assieme a Unfpa, ha provveduto all’assistenza natale e neonatale ai genitori bisognosi, fornendo non solo consulenze ma anche kit con l’essenziale per i bambini e le bambine; lo scopo di questi soggetti è colmare le mancanze di un sistema che svantaggia particolarmente la salute riproduttiva e sessuale (con conseguenze terribili per il genere femminile) e ciò avviene perché «nel mondo, il diritto all’assistenza sanitaria è articolato in diverse organizzazioni, ma talvolta l’accesso alle pratiche mediche è compromesso in alcuni territori colpiti da guerre o situazioni di crisi di diverso tipo». Gülüm spiega che è un’aggravante è anche la mancanza di strutture: in alcune zone l’ospedale più vicino dista venti minuti di auto ed è difficilmente raggiungibile per la scarsità di mezzi pubblici; le unità mobili come le ambulanze devono servire il territorio circostante e arrivare in punti distanti, spesso è difficoltoso e richiede tempo, e questo finisce per ricadere sull’efficacia del servizio prestato e incidere sul numero di autovetture disponibili per il soccorso. Questi fattori mettono in pericolo i futuri e le future nasciture/i ma anche la vita delle loro mamme: sempre Gülüm racconta la storia di Rama, una ragazza di 22 anni che viveva in tenda dopo il terremoto, come Duha; dopo aver raggiunto il centro medico di Hasuder, aveva scoperto di aver avuto un aborto spontaneo e ciò grazie all’aiuto della squadra mobile dell’associazione che l’ha portata al primo ospedale pubblico disponibile. L’intervento del team è stato provvidenziale: senza il suo aiuto, Rama avrebbe potuto rischiare la vita. Ad aggravare il quadro generale sono anche le gravidanze indesiderate che, però, le donne non hanno sempre la possibilità di interrompere, senza scordare le diverse infezioni e malattie che si trasmettono sessualmente: le falle del servizio sanitario locale vengono colmate da enti che cercano di mettere a disposizione personale pronto ad aiutare, e fra questi, nella provincia di Hatay, leggiamo la testimonianza dell’infermiera Ceylan Güzey che ci fa notare: «prima del terremoto, il lavoro sanitario (soprattutto quello sessuale e riproduttivo) rimaneva nella penombra, e poche persone vi si rivolgevano. Adesso anche gli uomini iniziano a comprendere l’importanza di questi temi, e hanno cominciato a vedere i contraccettivi come qualcosa di utile, anche per la loro salute».  
Forse ora, grazie a queste parole, è più facile credere alle affermazioni di Kanem che abbiamo riportato prima: per quanto vi siano forze restie al progresso, possiamo iniziare a pensare a un futuro dove le donne, e non solo, avranno piena libertà di decisione sul loro corpo e la possibilità di accedere a pratiche sanitarie sicure.

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Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.

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