Questa volta il nostro intento non è una singola recensione, ma quello di presentare la produzione complessiva di una giovane narratrice cagliaritana, Vanessa Roggeri, che ha il merito di tratteggiare con sensibilità le figure femminili e di inquadrarle in contesti affascinanti, dal punto di vista storico e geografico.

Laureata in Relazioni internazionali ed editorialista del quotidiano La Nuova Sardegna, questa “sarda nuragica” (come ama definirsi) si è fatta conoscere con la sua opera prima Il cuore selvatico del ginepro (Garzanti, 2013) che si è imposta grazie al passaparola ed è stata per settimane in vetta alla classifica dei best seller.
Al centro della vicenda la travagliata vita di Ianetta, una bambina, e poi donna, che non ha nessuna colpa, se non quella di essere una coga, una creatura maledetta, una strega perché settima di sette figlie. Nata settimina e con minuscoli denti, ha un po’ di peluria e un accenno di coda, altri segni inequivocabili della sua condizione. Ci vorrà tutto l’amore di Lucia, la sorella maggiore bella e gentile, «un fiore rarissimo nato in pieno deserto», se non sarà abbandonata sotto la pioggia notturna del 31 ottobre 1880 e fatta morire; pur fra dubbi ed errori, negli anni emergerà la forza del loro legame destinato a sconfiggere quelle superstizioni ataviche, di cui parlano le leggende e i miti che alla scrittrice da piccola raccontava la nonna. Isolata e odiata nella sua stessa casa, Ianetta cresce come un gatto selvatico, ma è forte e salda come il tronco del ginepro che si piega, ma non si spezza ai venti impetuosi.


E ha pure un cuore, nascosto sotto la dura scorza, mentre familiari e paesani, accecati dai pregiudizi e dall’ignoranza, manifestano contro di lei una crudeltà senza pari. Di questo e di altro parla, in una intervista inserita in fondo al volume, l’autrice esordiente, orgogliosa delle proprie radici e giustamente felice per la realizzazione del suo sogno.
Due anni dopo Roggeri ha pubblicato Fiore di fulmine, presso Garzanti, e nel 2018 è uscito La cercatrice di corallo (Rizzoli), premio Grazia Deledda e premio Alghero Donna, dei quali daremo conto ampiamente.
Nel 2021 è stata la volta di Il battito dei ricordi e da pochi mesi di Il ladro di scarabei, entrambi per Rizzoli. Fiore di fulmine, ancora ambientato nella sua isola a partire dal giugno 1899, ha per protagonista Nora, una undicenne che vive un’esperienza quasi sovrumana: viene infatti colpita da un fulmine, che però non la uccide. Le rimane sulla pelle chiara un segno a forma di fiore: «un’impressionante infiorescenza rossastra si stagliava leggermente in rilievo sull’incarnato niveo come un delicatissimo ricamo di pizzo», su tutta la parte sinistra del corpo, ma riceve pure un dono inaspettato: la capacità di vedere i morti e quello che le persone comuni non riescono a vedere. È un dono che fa paura alla gente semplice e superstiziosa: ormai fa parte dei bidemortos, quindi non può rimanere a vivere nel suo villaggio e viene chiusa in un istituto per orfane, anche se lei orfana non è, avendo una madre e tre fratelli. Interessanti nel romanzo il riferimento all’attività mineraria, assai importante all’epoca per l’economia isolana, e nel dettaglio l’umile mestiere affidato alle mani piccole e veloci di donne, bambini e bambine, quello della selezione del materiale estratto che avveniva in edifici appositi detti “laverie”, oggi spesso visitabili insieme alle cavità sotterranee, rese agibili e sicure. Nora esce dall’istituto grazie a una ricca viscontessa dall’animo gentile e generoso, donna Trinez, che la accoglie nella sua villa dove la ragazzina trova due alleate nelle lavoratrici addette alla cura della famiglia, un po’ stramba in verità; da qui in poi la trama diviene tanto avvincente che è difficile abbandonare la lettura, in attesa di nuovi colpi di scena, fra sedute spiritiche, oscuri misteri e segreti celati. Si fanno spazio nella narrazione rimandi precisi alle usanze del tempo, sia nelle faccende domestiche sia nella vita esterna, per esempio si citano le coltivazioni di gelsi per l’allevamento dei bachi da seta e si vedono arrivare sui cavalli i baldanzosi “nevieri” che trasportano il ghiaccio dai paesi montani in città. Finalmente emerge anche l’abilità senza pari di Nora nella sublime arte del ricamo, un ricamo finissimo e delicato, con fili di seta e d’oro, che lei ha in testa ed esegue con mano sicura senza alcun disegno, con grande meraviglia della sua padrona. Ancora dunque un mondo di donne, e per le donne, aggiungerei, perché certo questi romanzi si adattano particolarmente al gusto e alla sensibilità di lettrici, più che di lettori.
Ci dobbiamo soffermare su un dettaglio: donna Trinez è diventato il nome fittizio di una eccezionale figura di imprenditrice sarda di cui abbiamo parlato su queste pagine (Vv n.83): Francesca Sulis Sanna (1716-1810) che nel sud dell’isola creò una manifattura raffinatissima; filantropa e benefattrice a favore delle giovani lavoranti, fu persino creatrice di accessori e abiti: una sua splendida realizzazione fu indossata da Caterina di Russia in posa in un ritratto ufficiale esposto all’Ermitage di San Pietroburgo! Nel romanzo la lasciamo mentre ritorna alla sua vecchia tenuta proprio con l’idea di ridar vita a quei gelseti e a quelle attività che potranno diventare preziose occasioni di emancipazione per le ragazze, Nora compresa, che avrà tuttavia un ruolo speciale.

La cercatrice di corallo è di nuovo una storia al femminile ambientata in Sardegna: la protagonista Regina, figlia illegittima di un corallaro, dotata di forte carattere e di un istinto straordinario nel cercare i preziosi rami di corallo in un mare sempre più avaro, e Dolores, rimasta vedova a causa dell’epidemia di influenza spagnola con sette figli maschi e una bambina piccolissima, Miracolina. Per una vecchia vicenda di eredità e di spartizione di terre, covano rancori e vendette reciproche fra le due famiglie e Fortunato, il cugino corallaro, non aiuta la donna e la sua numerosa prole ridotta in miseria. Regina, tuttavia, di nascosto, compie un atto generoso e consegna al giovane Achille pane e formaggio, ma pure un rametto di corallo come augurio di prosperità e, forse, gesto di amicizia. Dolores è una donna ignorante, ma non sprovveduta; in gioventù è stata una spigolatrice e il lavoro non la spaventa. Ora il suo obiettivo è fare soldi e crescere socialmente, agli occhi dei paesani di Borutta. Un evento accade ed è interessante per chi legge, a distanza di un secolo da quel tempo lontano, perché si scopre un’attività economica davvero particolare: la raccolta del guano dei pipistrelli, ottimo fertilizzante. Non contenta, la vedova riesce a mettere a frutto dei campi aridi e pietrosi, trasformandoli in distese di biondo grano. Ma un tarlo la rode: la sete di vendetta verso i parenti crudeli. Regina intanto cresce e la sua affinità con il mare si fa sempre più stretta, quasi fosse una sirena, mentre crea trappole per le aragoste e cerca avidamente un banco del rarissimo corallo bianco. Tante e avvincenti le pagine dedicate alla navigazione lungo la costa occidentale, da Alghero all’isola di San Pietro, all’equipaggio della “corallina” Medusa, ai metodi di pesca tradizionale del corallo rosso sardo, il più prezioso del Mediterraneo, utilizzando antichi strumenti e talvolta intervenendo in apnea, come fa la giovane nelle sue esplorazioni. Naturalmente il destino è in agguato, pronto a scompigliare i progetti di entrambe le famiglie, arricchendo l’una e impoverendo l’altra, finché avviene l’inevitabile incontro fra Regina e Achille che apre inediti scenari alla vicenda. Con abilità la scrittrice ci guida nello scavo dei sentimenti e nelle passioni, positive e negative, in grado di dare impulso alla narrazione, fra ampie descrizioni e brevi dialoghi. Nelle ultime pagine, quando ormai siamo nel 1931, troviamo Regina, libera e indipendente, con un nuovo mestiere nelle sue mani sapienti, quello di artigiana intagliatrice del corallo, divenuto una moda raffinata per le signore eleganti di tutta Europa, ma compare anche un’ulteriore figura femminile, la piccola Vida, a indicarci la strada del futuro. Da leggere assolutamente la nota storica che inquadra il tema della raccolta del corallo in Sardegna, spesso nel tempo passata a avidi imprenditori continentali, specie quelli di Torre del Greco, con la conseguenza di depredare le acque e di distruggere le colonie sui fondali con metodi messi al bando solo nel 1994.

Il battito dei ricordi rappresenta una autentica sorpresa perché la scrittrice ci immerge in una situazione totalmente nuova, all’interno della sua produzione; siamo infatti in Andalusia nel 2015 e al centro troviamo, narrato in gran parte in prima persona da Isabel, un fenomeno ai limiti del paranormale, che viene studiato da un celebre neuropsichiatra italiano, il dottor Pellegrini. Per un grave incidente Javier, industriale in campo vinicolo, suo felice sposo e padre di Luz, dopo il coma è sprofondato in un mondo diverso, non riconosce i suoi cari, parla varie lingue mescolandole fra loro e ha ricordi confusi, interpretati dal medico come quelli di un “reminiscente”, ovvero di una persona che appartiene al passato, un passato vero, reale, di cui si trovano precisi riscontri, non fantasie malate. Ciò che è ancor più sorprendente è che quasi contemporaneamente una giovane francese, Florence, sta vivendo una situazione simile e le due storie combaciano. Visto il genere del romanzo, ci dobbiamo fermare, perché la vicenda si fa sempre più complessa e avvincente, nel portarci avanti e indietro nel tempo e nello spazio, con precisi riferimenti artistici e storici, e un inatteso flash sul 17 agosto 2017 (cosa accadde a Barcellona, ricordate?), a dimostrazione della felice inventiva dell’autrice.

Roggeri ritorna a narrare della sua Sardegna con Il ladro di scarabei, il romanzo appena pubblicato, per il quale la critica sta usando convincenti parole di elogio e facendo paragoni con l’opera immortale di Grazia Deledda. Qui, infatti, al centro della storia non ci sono tanto l’ingegner Dejana o Costantino Lua, detto Antino, e neppure le figure femminili: Elsa, Agnesa, Asmara, «che ha un soffio di deserto dentro»; piuttosto è intorno alla montagna che ha alla base la cava calcarea e al vertice la villa padronale che ruota la trama. Come ha scritto efficacemente Giancristiano Desiderio (Corriere della Sera, 13-7-24), si tratta di «una montagna incantata che ha dentro di sè i vivi e i morti e che da sempre, da millenni, dà la vita e dà la morte. […] è insieme oro e fango, vita e morte, ricchezza e povertà» intorno a cui «girano i sentimenti dei padroni e dei servi e le voglie di Antino». Lo sfondo è ancora una volta delineato con sapienza e permette all’autrice di tratteggiare il contesto storico che va dagli anni Venti alla Seconda guerra mondiale fino al dopoguerra, comprendendo dunque l’epoca fascista con le sue contraddizioni e con i sentimenti controversi dell’ingegnere Italo, antifascista nel profondo dell’animo.
Con questa carrellata attraverso i cinque romanzi di Vanessa Roggeri speriamo di aver fornito sufficienti stimoli alla lettura, una lettura che non deluderà, ma anzi creerà nuove aspettative per il futuro, aprendo lo sguardo su un mondo affascinante e magico su cui non ci si stanca di indagare, ma pure ― come abbiamo visto ― riservando chissà quali sorprese nel trattare passioni e sentimenti universali.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
