È cosa nota che, in Grecia, lo spazio del piacere non coincide con l’eros istituzionalizzato del matrimonio, finalizzato alla riproduzione. Il compito delle spose era quello di dare figli alla patria, mentre per i maschi non solo il matrimonio era considerato un obbligo, ma era addirittura multato chi non si congiungesse alla legittima consorte con quel minimo di frequenza atta a garantire la procreazione.
Come ci informa l’autore della celebre orazione Contro Neera, ogni onesto cittadino ateniese poteva affermare: «Abbiamo le etere per il piacere, le concubine per la cura quotidiana del corpo, le mogli per mettere al mondo figli legittimi e perché siano fedeli custodi della casa (alla lettera: di ciò che è dentro)». Se resta controversa la posizione della concubina — che vive in casa ed è quasi una seconda moglie, anche se figlie e figli da lei messi al mondo non sono automaticamente legittimati — abbiamo testimonianze più ampie su quella dell’etera, figura difficilmente comparabile alla cortigiana rinascimentale — cui è assimilata dalla traduzione corrente — e più vicina a quella delle moderne escort, ma che non ha un vero equivalente nel mondo contemporaneo.
L’etera si distingue dalla sposa legittima soprattutto per l’ambito in cui si muove. Mentre la moglie è confinata nello spazio domestico, e quello pubblico le è interdetto, l’etera occupa uno spazio che sta a metà tra pubblico e privato, quello del simposio, del banchetto, del convivio: uno spazio rigidamente codificato e ritualizzato, in cui uomini di condizione libera si riuniscono per discutere di politica e filosofia e consumare insieme cibo, vino e sesso. Chi non ha i mezzi per partecipare, versando una quota comune, a tali eventi conviviali, o per organizzarli in proprio, può goderne in cambio di servizi di vario genere; come i parassiti, che occupano gli interstizi dello spazio sociale, ma non ne sono del tutto esclusi, come accade ad altre categorie emarginate, anche se economicamente rilevanti, come contadini e pescatori. O come, appunto, le etere, che, ingaggiate per partecipare al simposio come musiciste e danzatrici, garantivano la disponibilità a prestazioni erotiche retribuite.
Parassiti e cortigiane, insieme a contadini e pescatori, sono i mittenti immaginari delle 123 lettere che costituiscono l’opera a noi giunta di Alcifrone, un retore di origine siriaca vissuto grosso modo nel II secolo d. C. Più o meno suo contemporaneo, Luciano di Samosata, anche lui retore con ambizioni filosofiche, dedicò alle etere quindici dei suoi Dialoghi, brevi sketch, probabilmente destinati alla recitazione, che mettono in scena, affidandole alle loro stesse voci, le relazioni tra le donne appartenenti a questa categoria. Benché la forma delle due operette sia diversa, simile ne è l’intento — l’intrattenimento — e il tipo di pubblico che ne è destinatario, mediamente colto e capace di cogliere i riferimenti a personaggi letterari e vicende del periodo classico, di cui epistole e dialoghi descrivono le usanze e la mentalità diffusa e persistente nel tempo. Ritornano frequentemente, in particolare, situazioni che ricordano le commedie di Menandro, con il quale i nostri autori condividono lo sguardo indulgente e ironico nei confronti dei vizi e dei difetti degli esseri umani, tutti scusabili, purché non mascherati dalla vanagloria.
Con i parassiti, le etere hanno in comune una condizione di subalternità e di dipendenza da colui che paga per loro, ma non di rado godono di un riconoscimento sociale che può raggiungere livelli altissimi. Il caso più noto è quello di Aspasia, l’etera amata da Pericle che, in barba alla legge da lui stesso voluta, ottenne per il figlio avuto da lei l’ambìto diritto di cittadinanza. Le etere erano in buona misura libere di scegliere la persona cui accompagnarsi, di lasciarla e di cambiare partner. Non erano rare le occasioni in cui i partecipanti al simposio si disputavano i favori di una citarista o una danzatrice particolarmente attraente, fino a scatenare vere e proprie risse. Era anche possibile che tra l’etera e il suo amante nascesse un sentimento d’amore duraturo, che tuttavia raramente si concludeva col matrimonio. Era dunque molto diversa la condizione dell’etera rispetto a quella delle prostitute, schiave che lavoravano nei bordelli al servizio del lenone che ne gestiva le attività. Anche se poteva capitare che un cliente decidesse di riscattare una prostituta di cui s’invaghiva e se la portasse a casa, per goderne in esclusiva o in compagnia di amici. Anche per le etere però erano le necessità economiche a determinare la scelta della professione, cui erano frequentemente le madri stesse ad avviare le figlie, quando gli eventi della vita le privassero di mezzi di sussistenza: «Hai visto, Corinna, non è poi così tremendo come pensavi, da ragazza diventare donna, ormai hai imparato, ed è stato con un bel ragazzo e come prima volta ci hai guadagnato una bella somma: ti compro una magnifica collana e ne avanzerà ancora. — Sì, mammina, la voglio con le pietre rosse e splendenti come il fuoco, come ce l’ha Filenide. — Certo, cara, ma prima ti devo spiegare come comportarti con gli uomini. Sai bene che non abbiamo altra risorsa: da quando è morto quel sant’uomo di tuo padre, non so come abbiamo fatto a campare. Quand’era vivo non ci faceva mancare niente; ma dopo che è morto prima ho dovuto vendere tutti i suoi strumenti di lavoro, poi mi sono messa a tessere. Così ho cresciuto te, l’unica speranza che mi restava, facendo il calcolo che all’età giusta avresti potuto mantenere me e avere tu stessa senza troppa fatica tutto quello che vuoi: gioielli, vestiti, serve… basta che ti accompagni con bei giovani e ti fai portare a feste e simposi, e ci vai a letto facendoti pagare. — Devo fare come Lira, la figlia di Dafnide? Ma lei è un’etera! — Beh, che c’è di terribile: sarai ricca come lei e avrai un sacco di amanti… Ma che fai, piangi? Non vedi quante ce ne sono di etere? Sono tantissime, tutti le cercano e loro fanno un sacco di soldi». Luciano, Dialoghi delle cortigiane, 6, Crobile e Corinna.
Seguono consigli dettagliati sul comportamento da tenere, perché le attrattive fisiche, più o meno naturali, non sono sufficienti e l’arte della seduzione richiede sensibilità e intelligenza: essere spiritosa e sorridente, ma non ridere troppo, parlare poco, bere e mangiare con moderazione, rivolgere le proprie attenzioni a uno soltanto, e, a letto, non essere fredde ma neppure troppo focose. Ma quando la povera Corinna chiede se gli uomini che pagano sono tutti belli come il primo che l’ha posseduta, la madre è costretta ad ammettere che ce ne saranno di brutti e di vecchi, e che anzi proprio questi sono i più pronti a pagare.
E se per caso la ragazza s’innamora di un bel giovane che la ricambia e le promette di sposarla, ma che è povero in canna e lo resterà fino a che il padre non tira le cuoia, la madre sarà pronta a consigliare alla figlia di indirizzare altrove le sue moine, perché con promesse e speranze non ci si compra niente.
Anche queste relazioni d’amore prezzolate non si sottraggono a stereotipi pericolosi e duri a morire, come quello che la gelosia e la violenza siano garanzia e prova del vero amore. Perciò una delle prime arti che le ragazze devono imparare è come provocare la gelosia della vittima prescelta: essa è lo strumento principale per far crescere il desiderio in un uomo e per tenerlo legato a sé a lungo. A qualunque costo, se ne vale la pena; cioè se si tratta di un amante ricco e generoso, disposto a fare regali cospicui, non solo somme di denaro, ma anche in abiti, gioielli e suppellettili preziose. Il costo può essere anche molto alto: l’amante geloso spesso è manesco, ma le botte sono segno sicuro che è innamorato. Un’etera esperta che fa il mestiere da vent’anni lo spiega a una appena diciottenne: «Ti pare, Criside, che si possa considerare innamorato uno che non si è mai mostrato geloso, non si è mai infuriato, non ti ha mai presa a schiaffi né strappato il vestito? — Perché, secondo te, Ampelide, sono queste le vere prove dell’amore? — Certo! Tutto il resto, baci, lacrime, giuramenti e visite frequenti vanno bene all’inizio, ma il vero fuoco che arde nasce dalla gelosia. Perciò, se Gorgia ti prende a schiaffi sii contenta e prega che si comporti sempre così. — Ma che dici? Dovrei essere contenta di prenderle sempre? Si è messo in testa che quel riccone sia il mio amante solo perché ne ho fatto il nome una volta. — Va benissimo, se pensa che tu possa suscitare il desiderio di un uomo danaroso, ti farà bei regali per non correre il rischio di essere superato. — Veramente per ora mi dà solo schiaffi e botte. — Tu fallo soffrire e vedrai che te li farà, i regali. Se s’infuria vuol dire che ti ama. Una volta che il mio amante pensava che la mia porta fosse chiusa perché in casa c’era un altro, stava per uccidermi. Alla fine mi ha regalato una somma enorme per avermi in esclusiva: è la gelosia il vero filtro d’amore». Ivi, 8, Ampelide e Criside.
Il mondo delle etere è descritto con le caratteristiche di una piccola società di donne legate dalla condivisione di intenti e ambizioni e da un forte livello di comunicazione, una sorta di associazione professionale femminile, in cui si sperimenta un’intera gamma di comportamenti e di emozioni: solidarietà, cooperazione, amicizia, ma anche rivalità, emulazione, invidia. E a volte anche relazioni amorose, descritte sempre con garbo e ironia, seppure in modo esplicito: «Cose curiose ho sentito sul tuo conto, Leena, che Megilla di Lesbo, quella ricca signora ti ama come un uomo e che fate l’amore, non so in che modo, tra voi. Come è possibile? Ma stai arrossendo… è la verità? — È vero, però me ne vergogno un po’, sono cose strane. — Ma che cosa fate quando state insieme? — Che dire, si tratta di una donna molto virile. — Non sarà mica una di quelle di Lesbo, con la faccia da maschi, che non vogliono prenderlo e si accostano alle donne come i maschi… raccontami tutto, come hai provato a farlo la prima volta, come ti sei lasciata convincere e che cosa è successo dopo. — Megilla e Demonassa, ricchissima anche lei, avevano organizzato una bevuta in compagnia e mi hanno ingaggiata per suonare la cetra. Io ho suonato, si è fatto tardi, loro erano un po’ sbronze e Megilla mi ha detto: dai, Leena, facciamoci una bella dormita, dormi con noi, stenditi qui, in mezzo. E hanno cominciato a baciarmi come fanno gli uomini, e mi stringevano e mi palpavano le tette. Megilla mi dava anche dei morsi. Dopo un po’ era calda ed eccitata e si è tolta la parrucca ed era rapata a zero, come gli atleti più tosti e virili. E mi dice: “Hai mai visto, Leena, un giovanotto così bello?” “Io veramente non vedo nessun giovanotto” “E dai, Leena, non farmi più femmina di quello che sono! io in verità mi chiamo Megillo e da tempo ho sposato Demonassa che è mia moglie” “Ma hai anche quell’affare che hanno i maschi? No, quello non ce l’ho, ma non ne ho bisogno. Vedrai, faccio l’amore in un modo speciale, che dà un godimento ancora più dolce” “Non sarai mica un ermafrodito, che ha le parti di ambedue i sessi?” “Ma no! io sono proprio un uomo, in tutto e per tutto. Sono nata tale e quale a voi altre donne, ma è il modo di pensare e il desiderio e tutto il resto che è di uomo. Prova a stare con me e vedrai che non sono affatto da meno degli altri maschi”. Io mi sono fatta pregare e poi ci sono stata, ma prima mi sono fatta regalare una collana preziosa e dei vestiti finissimi». Ivi, 5, Clonario e Leena.
Dall’insieme emerge un quadro abbastanza completo dei modi in cui veniva vissuta la sessualità da parte di uomini e donne di varia condizione sociale e nel contempo del giudizio che si dava dei diversi comportamenti. A partire dalla pederastia, che nel mondo greco era una pratica non solo ammessa, ma addirittura considerata utile allo sviluppo e alla formazione degli adolescenti, pur nei confini di regole codificate.
Le protagoniste dei nostri dialoghi, per assicurarsi l’amore, e i doni, di giovani appena adulti, a volte si trovano a competere con uomini anziani, cui i padri li affidano perché vengano educati, ma che sono sospettati di approfittarne sessualmente: al lettore antico non sfuggivano le allusioni ai dialoghi di Platone e alla distinzione che il filosofo fa di due tipi di Eros, quello posto sotto l’egida di Afrodite Urania, in cui la dimensione fisica e quella spirituale sono strettamente connesse e quello governato da Afrodite Pandemia, la dea dell’amore “volgare”, che si limita a coinvolgere la sfera del corpo.
In copertina: fondo di una kylix dipinta da Eufronio attorno al 490 a.C., che rappresenta una suonatrice di lira nell’atto di spogliarsi in un simposio.
Foto: Image Asset Management / Age Fotostock.
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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.
