Biennale 24. Anna Maria Maiolino e Nil Yalter

Alla 60ᵃ Esposizione Internazionale d’Arte veneziana due artiste hanno ricevuto Il Leone d’Oro alla carriera, Anna Maria Maiolino, artista brasiliana, italiana di nascita, e Nil Yalter, artista turca, residente a Parigi. Due donne che incarnano in pieno lo spirito di Stranieri Ovunque, che dà il titolo all’attuale edizione della Biennale.

Anna Maria Maiolino, nata a Scalea, in Calabria, nel 1942 da padre italiano e madre ecuadoriana, e brasiliana di formazione artistica, era sconosciuta in Italia e in Europa fino a qualche anno fa; il suo nome è cominciato a circolare negli ambienti artistici italiani a partire da una personale mostra tenuta nel 2015 al Castello di Rivoli, poi nel 2016 al Museo d’arte contemporanea di Ferrara (Biennale Donne-Silencio vivo) e, finalmente, nella grande retrospettiva al PAC di Milano nel 2019 O amor se faz revolucionário. Già nel 2010 aveva esposto diverse opere in una mostra a Londra e nel 2012 a Berkeley.

A dodici anni Anna Maria, la più giovane di dieci figli, parte per il Venezuela con la sua famiglia, storia comune a tanti calabresi che vedono nell’emigrazione una possibilità di miglioramento, storia di dolore per la nostalgia della propria terra e per un senso di straniamento in quella nuova, sconosciuta. Sentirsi senza radici, estranei rispetto alla cultura del Paese dove vivi, può portare all’emarginazione. Non è stato così per Anna Maria. Intanto studia alla Escuela de Artes Visuales Cristóbal Rojas di Caracas. A diciotto anni si trasferisce in Brasile, dove continua a studiare presso la Escola Nacional de Belas Artes, e scopre che l’arte per lei può essere rifugio e conforto. Entra in contatto con il gruppo della Nova Figuração, e nel 1967 espone i suoi lavori realizzati con la tecnica dell’incisione su legno alla mostra “Nova Objetividade Brasileira”.
È sposata, accudisce i suoi due figli e intanto lavora per una fabbrica di tessuti a Rio de Janeiro. Ma sono anche gli anni duri di un regime militare repressivo; Anna Maria si trasferisce con il marito e i due figli a New York, dove traendo ispirazione dal suo passato di operaia nella fabbrica tessile comincia a comporre usando fili e tele e apprende la tecnica di incisione su metallo.
Nel 1971 ritorna in Brasile, a San Paolo e avverte il bisogno di cercare un tipo di linguaggio più vicino al popolo; si accosta al movimento dell’Antropofagia, che, nel tentativo di rendersi indipendente dalla sudditanza culturale europea, sostiene la tesi per cui la storia del Brasile di “cannibalizzazione” sarebbe la sua più grande forza contro il dominio culturale postcoloniale europeo. Realizza xilografie, dove ritrae figure antropomorfe, spesso senza occhi e naso, ma solo con grandi bocche aperte. Anna rappresenta due silhouette che a bocca spalancata pronunciano, attraverso la tipica nuvola dei fumetti, il nome dell’artista. In Glu Glu Glu una sagoma bianca, con una grande bocca dentata, siede davanti a una tavola imbandita. Sotto al tavolo l’apparato digerente è già in azione.

Anna, Anna Maria Maiolino
Glu Glu Glu, Anna Maria Maiolino

Una delle sue opere più celebri, Por un fio del 1976, mostra la Maiolino seduta tra sua madre e sua figlia: tutte e tre hanno in bocca segmenti di corda che le uniscono, a sottolineare i legami familiari.

Por un fio, Anna Maria Maiolino

Un oggetto che diventerà fondamentale nell’iconografia di Anna Maria Maiolino è l’uovo dal quale nasce la vita, simbolo di fragilità, ma anche di resistenza. Nella performance Entrevidas (Tra le vite), realizzata a Rio de Janeiro nel 1981, l’artista sparge per terra centinaia di uova, ci cammina sopra e invita poi gli spettatori a fare lo stesso.
La sensazione è quella di precarietà e di necessità del controllo: un’opera nata nel clima di diffidenza e di incertezza suscitata dalla situazione politica.

Entrevidas (Tra le vite), Anna Maria Maiolino

All’inizio degli anni Novanta intraprende la lavorazione dell’argilla, che plasma per ore e ore, un lavoro manuale che lei stessa associa alle domeniche passate in casa con sua mamma a tirare la pasta per la numerosa famiglia. Al Pac di Milano nel 2019 esegue la performance “Al di là di”: due donne, una giovane, una anziana, tengono tra le mani un drappo rosso, terzo protagonista, una storia muta che racconta di ferite fisiche e psicologiche, ma anche del desiderio di abbracci, che confermano che ci può essere ancora un gesto d’amore.

Anna Maria Maiolino e Gaya Rachel durante la performance “Al di là di” nel 2019 al PAC di Milano

Nel Nucleo Contemporaneo alla Biennale d’arte 24 è esposta la sua installazione Indo e Vindo, cioè “Andando e Venendo”. È dentro un edificio (“Casetta Scaffali”) nel Giardino delle Vergini, che è alla fine dell’Arsenale, dopo lo spazio verde del Padiglione Italia. Appena si entra, colpisce tutta quella argilla, l’odore della terra, dei rami di pino, i trilli degli uccelli, i vocalizzi del filmato.
«Mi sono lasciata guidare dai miei sentimenti e dalla ricchezza della mia memoria. La bellezza del mio passato a Scalea, i ricordi della mia terra, della mia infanzia, gli odori e i sapori: questi sentimenti e queste memorie sono all’origine delle mie opere, sono le basi e le motivazioni da cui parto» (da una sua intervista a Francesco Santaniello su VeneziaNews/The Bag 2024).

Indo e Vindo (Andando e venendo), Anna Maria Maiolino

Nil Yalter (Il Cairo, 1938) è nata in Egitto da una famiglia turca, che si è trasferita a Istanbul, quando Nil aveva quattro anni; nella capitale turca impara a dipingere da autodidatta. A Parigi rimane coinvolta negli eventi del maggio 1968 e nel movimento di liberazione delle donne. Comincia a viaggiare, è in India, in Iran, incontra donne nomadi nell’Anatolia orientale, donne migranti. Col suo lavoro, che si tratti di video o fotografie, scultura o pittura, disegni o collage, indaga le condizioni di vita e di lavoro delle persone immigrate, approfondisce soprattutto quelle delle donne, lo scontro tra le culture, la reclusione fisica e mentale di chi vive in prigione, o in esilio, e riafferma l’importanza di un luogo di libertà che la società ha il dovere di assicurare.
Il suo lavoro recentemente riscoperto è stato oggetto di una retrospettiva all’Arter Space for Art (Istanbul) nel 2016 e di molte mostre personali, in particolare a Vienna nel 2014, a Londra nel 2015, a Metz nel 2016, ancora a Istanbul nel 2018. Per la sua prima mostra personale, nel 1973 al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Nil presentò una tenda a grandezza naturale ispirata a quelle dei popoli nomadi turchi, intitolata Topak-ev, una struttura in alluminio, rivestita con feltro e pelle di pecora, su cui aveva disegnato forme astratte e cucito passi da romanzi e poesie sulle condizioni di vita delle popolazioni nomadi in Turchia. Una riconfigurazione della sua Tenda insieme all’installazione Exile is a hard job Nil l’ha presentata per la sua prima partecipazione alla Biennale 2024.

Topak-ev, Nil Yalter

Tra le sue opere più innovative un video in bianco e nero del 1974 La Femme sans tête ou la Danse du ventre incentrato sulla pancia dell’artista mentre scrive intorno al suo ombelico un testo tratto da René Nelli che inneggia alla liberazione sessuale contro l’oggettivazione delle donne mediorientali. Yalter poi “attiva” il testo con la danza del ventre.

La Femme sans tête ou la Danse du ventre, Nil Yalter

Nello stesso anno realizza il film La Roquette, jail de femmes, con l’artista Judy Blum e la regista Nicole Croiset, che racconta le esperienze delle donne detenute. Oltre al film in bianco e nero il lavoro si compone anche di disegni, fotografie e registrazione integrale del racconto di Mimi, una ex-detenuta del carcere femminile La Roquette di Parigi prima che venisse chiuso e demolito.

La Roquette, jail de femmes, Nil Yalter, Judy Blum, Nicole Croiset

Nel video passano inquadrature di labbra in movimento e di mani che ripetutamente accarezzano oggetti banali come coperte, brocche o cappotti sullo sfondo del muro della prigione. Nel 2007 questo video è stato esposto da Cornelia Butler in “WACK! Art and the Feminist Revolution” presso il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, e sottratto all’oblio in cui giaceva, mai esposto, nella collezione del Fonds national d’art contemporain (FNAC) in Francia.

In Harem, del 1979, si dissolvono immagini frammentate di occhi, labbra, gambe, piedi e seni che appaiono prigioniere, confinate nei monitor. In uno scatto, l’artista tiene di traverso tra le gambe un monitor su cui appaiono labbra dipinte con denti.

Harem, Nil Yalter

Il video Rahime, Kurdish Woman from Turkey, del 1979, racconta della repressione della minoranza curda operata dal governo turco. L’installazione comprende una serie di disegni, un video e fotografie, che utilizzano il colore per oggetti secondari, come porte, cuscini, copriletti, mobili e pezzi di abbigliamento, mentre le teste e gli arti rimangono vuoti e privi di colore. Un ammasso di stracci, tinti di rosso, sporge da un collage fotografico, “stracci insanguinati” che alludono al delitto d’onore della figlia di Rahime da parte di uno dei suoi parenti, narrato nel video.

Rahime, Nil Yalter

Nel 2009 con Lapidation Nil ha realizzato un video sul tema della lapidazione, ispirandosi all’uccisione a Baghdad di una ragazza sciita giudicata colpevole di amare un ragazzo sunnita: nel video si vede l’artista stessa con una pietra in mano.

Lapidation, Nil Yalter

Nel 2018 Nil Yalter ha ricevuto il premio AWARE (Archives of Women Artists, Research and Exhibitions) alla carriera.

In copertina: foto di Anna Maria Maiolino e Nil Yalter.

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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, pubblicato da Nemapress nel 2021, una storia dell’arte tutta al femminile, dalla preistoria ai nostri giorni.

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