Cambiamo discorso. Immigrazione e sfruttamento

Giovedì 24 ottobre, l’incontro online del ciclo Cambiamo discorso-Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere, organizzato da Reti Culturali, affronterà un tema difficile e complesso: Tra sfruttamento, tratta e vulnerabilità: le donne nigeriane.

Come è ormai consuetudine consolidata e apprezzata, il sabato precedente il webinar rivolgiamo alcune domande alle relatrici dell’incontro, in questo mese Laura Gallio e Sandra Magliulo, attiviste e collaboratrici dell’associazione Free Woman, per conoscerle meglio in quel percorso personale e professionale che le ha condotte a occuparsi di questa terribile problematica, di cui sentiremo discutere.

Nelle scuole, di base e universitarie, che avete frequentato, avete incontrato attenzione e studio verso i fenomeni migratori e le tematiche delle discriminazioni ancora molto presenti nelle nostre società?
LG –
Purtroppo in ambito scolastico ho sempre riscontrato una scarsa attenzione ai temi delle migrazioni e delle discriminazioni; mi sono formata in modo autonomo attraverso le esperienze, specie quelle fatte all’estero, e la frequenza di corsi proposti dalle organizzazioni per cui ho lavorato, o scelti da me.
SM – No, al tempo non era frequente trovare percorsi specifici su queste tematiche all’interno del ciclo scolastico ordinario, la mia formazione è stata prevalentemente post-universitaria e/o legata a esperienze di volontariato in Italia e all’Estero. Per fortuna oggi è molto diverso, ci sono tante opportunità di approfondimento in ambito accademico.

Laura Gallio
Sandra Magliulo

Qual è il vostro ruolo all’interno dell’associazione Free Woman?
LG
– In Free Woman sono la coordinatrice dell’area tratta e sfruttamento (sessuale e lavorativo): mi occupo di gestire percorsi di assistenza e integrazione sociale di persone vittime di tratta, accolte in nostre strutture oppure in condizioni di maggiore autonomia; gestisco il drop-in, ossia lo sportello di bassa soglia che accoglie e orienta persone (uomini, donne, transgender) ai servizi sul territorio, facilitandone gli accessi e promuovendo azioni contro le discriminazioni; faccio unità di strada diurne e notturne finalizzate alla tutela della salute e, in seconda battuta, all’emersione dello sfruttamento sessuale, dell’accattonaggio forzato e dello sfruttamento lavorativo); intervengo, inoltre, su richiesta della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, così come se chiamata da enti gestori dei centri di accoglienza straordinaria per richiedenti asilo, o da operatori degli enti pubblici, o del privato sociale, che possano essere venuti in contatto con potenziali vittime di tratta e sfruttamento.
SM – Mi occupo prevalentemente di tratta e grave sfruttamento lavorativo attraverso l’implementazione di progetti specifici che hanno come obiettivo l’individuazione delle potenziali vittime, la formazione degli enti pubblici e del privato sociale, lo sviluppo di reti multi-agenzia e di procedure operative.

Prima di questa collaborazione, quali sono state le vostre esperienze riguardo l’immigrazione e lo sfruttamento delle donne straniere?
LG
– Ho iniziato a lavorare in questo ambito nel 1998, per un ente antitratta italiano che opera in Lombardia, assumendo nel tempo varie mansioni e svolgendo i compiti che ho già descritto.
SM – Opero in questo settore dal 2005, prima per il Consiglio Italiano per i rifugiati e poi per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ho avuto esperienze molto diversificate: in contesti emergenziali e di frontiera, come componente delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, nel monitoraggio delle strutture di accoglienza per i richiedenti PI, nell’implementazione dei meccanismi di referral per soggetti vulnerabili, tra cui le vittime di tratta e grave sfruttamento, contribuendo alla stesura delle linee guida della Commissione nazionale per il diritto d’Asilo. In particolare, su quest’ultimo aspetto nei territori in cui ho operato mi sono adoperata per la stipula di protocolli e l’elaborazione di procedure operative, al fine di promuovere e migliorare i meccanismi di identificazione e gli strumenti di tutela a supporto delle donne.

Ci potete parlare di alcuni casi concreti che facciano capire la difficoltà di operare in questi ambiti? C’è sufficiente supporto da parte delle istituzioni o lamentate carenze, se non indifferenza od ostacoli?
LG
– Ho una esperienza abbastanza lunga negli interventi a favore di donne dell’Africa Subsahariana e in particolare mi sono molto occupata di donne nigeriane. Per queste persone spesso è difficile instaurare un rapporto di fiducia con gli operatori dei servizi e degli enti, perché del sistema istituzionale italiano hanno solitamente visto il lato più duro, discriminatorio e repressivo; inoltre la distanza culturale porta a fraintendimenti ed errori di valutazione. Una persona che non ci guarda negli occhi è una persona infida, o sta applicando un codice culturale (mostrandoci così il suo rispetto) a cui non siamo abituati? In molti casi potrebbe esserci di aiuto la mediazione culturale, cioè l’opera di figure professionali che fanno da “ponte” tra le diverse lingue e culture. Ma in molti casi i servizi non si pongono il problema della mediazione, o pensano di poterne fare a meno.
Il problema della diversità culturale tocca tutti gli operatori e le operatrici, ma in qualche caso è più acuto. Penso si possa dire che in genere c’è poca formazione alla gestione della diversità tra chi opera in polizia, ad esempio. Del resto, questo tema della diversità può essere visto in termini culturali, per la provenienza da aree geografiche molto distanti dall’Italia, così come in termini di genere e orientamento sessuale. È noto, per fare un altro esempio, che le persone transgender faticano a trovare servizi adeguati alle loro esigenze.
SM – Una delle principali difficoltà nell’identificazione delle presunte vittime di tratta è il tempo che si ha a disposizione, in quanto è necessario costruire una relazione di fiducia con la donna per poterla allontanare dalla rete di sfruttamento. È necessario pertanto che ci siano operatrici/operatori formati e che le donne siano inserite in percorsi specifici. Purtroppo, la Nigeria è stata inserita tra i paesi considerati “sicuri”, per cui le persone che provengono da questo Stato vengono incanalate in procedure accelerate; questo comporta che, se non ci sono operatori/trici esperte e sensibili in frontiera, queste donne rischiano di uscire velocemente dai circuiti di accoglienza e diventare invisibili.

Ci complimentiamo con Laura Gallio e Sandra Magliulo per l’impegno costante in settori cruciali per la convivenza civile nelle nostre società e ringraziamo per il tempo che ci è stato dedicato.
Questo il link per effettuare la preiscrizione all’incontro online e ricevere poi le indicazioni per il collegamento: https://bit.ly/4eA8Uym
Qui si possono leggere tutte le precedenti conversazioni del ciclo.
Chi non potesse partecipare alla diretta dell’incontro online, potrà rivederlo (come tutti i precedenti) sulla pagina fb di Reti culturali.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

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