COSTITUZIONE LETTERARIA. ART. 10

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.


L’art. 10 ha una parola chiave al centro del suo dettato: straniero. È il principio fondamentale della nostra Carta che sancisce la tutela dello straniero in ragione non solo del fatto che si tratta di un essere umano (in combinato disposto con l’art. 3), ma perché siamo chiamati a rispettare i patti, i trattati e le norme del diritto internazionale. Dunque, dopo vent’anni di autarchica dittatura fascista, l’Italia si riconosce all’interno di un sistema di ampio respiro, i Padri e le Madri costituenti sanciscono che l’Italia ‘non è un’isola’ (parafrasando John Donne): infatti il primo comma dell’art. 10 pone l’attenzione proprio sul conformarsi alle norme del diritto internazionale.
Nel commento alla Costituzione della Fondazione Roberto Franceschi, in riferimento al comma 3, leggiamo: «Devono dunque essere garantiti loro [agli stranieri, N.d.R.] i diritti fondamentali, anzi, a quanti nel proprio Paese ne sono privi (perché vivono in una dittatura, in un contesto di guerra o di estrema povertà, in una società in cui la pari dignità delle persone non è riconosciuta, di diritto o di fatto) deve essere data la possibilità di vivere in Italia. Restano riservati ai cittadini i diritti “politici”, che derivano dall’appartenenza alla comunità italiana (si pensi al diritto di voto)».
La questione degli stranieri e — dunque — dei migranti nel nostro Paese è da sempre oggetto di accese arene politiche e mediatiche. Non occorre in questa sede ripercorrere tappe anche dolorose che hanno segnato la storia della nostra Repubblica in merito al mancato soccorso, accoglimento di stranieri o stragi di migranti sul nostro territorio. Quello che è sufficiente ribadire è che l’art. 10 dovrebbe essere il faro che illumina la strada in materia, perché — come sempre abbiamo avuto modo di evidenziare in questo percorso di Costituzione letteraria — il lessico e gli assunti della nostra Costituzione sono chiari e trasparenti e c’è davvero poco (in questo caso in particolare) da ‘quisquiliare’: a tutti coloro a cui sia impedito nel proprio paese l’esercizio delle libertà garantite nella nostra Costituzione, va riconosciuto il diritto di asilo e la possibilità di vedere tutelate quelle stesse libertà nel nostro Paese. Una politica seria che affronti in modo umano, giusto e non demagogico la realtà dei flussi migratori in un’epoca di guerre, cambiamenti climatici, diffusa povertà, non può che partire da questo principio.

Copertina Guidorizzi, Enea, lo straniero

Nella lingua latina — il cui studio è prezioso, mai smetterò di ribadirlo, perché ci restituisce il senso profondo delle parole e delle idee — la parola straniero corrisponde al vocabolo advĕna, da ad-venio, venire da fuori, sopraggiungere, dunque ‘colui che viene da fuori’. Enea era un advena che, fuggendo da una guerra nella quale vede morire la moglie, con il padre Anchise sulle spalle che perde durante il viaggio, giunge sulle sponde del Lazio e fonda Roma (si legga il bel libro di Giulio Guidorizzi Enea, lo straniero, edito da Einaudi). In greco viene usato il vocabolo xénos, l’ospite, derivato da ξενία(xenia), il dovere dell’ospitalità (per approfondire si legga il ricchissimo intervento di Alessandro Barbero all’interno della monumentale Storia della civiltà europea, curata da Umberto Eco, fruibile al link https://www.treccani.it/enciclopedia/l-idea-dello-straniero-in-italia_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/). Non è automatica né naturale, dunque, l’equazione linguistica straniero=nemico.
Per questa ottava tappa del nostro viaggio di interconnessione tra il dettato costituzionale e la letteratura, il libro che mi ritorna alla memoria è La frontiera di Alessandro Leogrande, opera non-fiction che ha vinto il premio Pozzale Luigi Russo 2016 ed è risultata finalista al premio Terzani.

Copertina libro
Alessandro Leogrande

Leogrande è stato uno scrittore tarantino, morto prematuramente a soli quarant’anni, cha ha lasciato importanti libri d’inchiesta su tematiche sociali, è stato vicedirettore del mensile “Lo straniero”, ha collaborato con “il Corriere del Mezzogiorno”, “il Riformista”, “Saturno” (inserto culturale de “il Fatto Quotidiano”), Radio Tre.

Il libro si compone di ventinove capitoli che affrontano e descrivono con lucidità diversi eventi che rimandano ai modi di concepire la frontiera e alle figure che gravitano intorno a essa (trafficanti, poliziotti, soccorritori, mediatori, scafisti). Come rileva Albana Muco nella sua recensione per I raccomandati/Los recomendados/Les recommandés/Highly recommendedn. 22 – 11/2019 (riviste UniMi), «l’analisi dal carattere internazionale (avvenimenti tra gli altri relativi a Italia, Eritrea, Somalia, Grecia, Libia, Kurdistan, Afghanistan, Siria, Iran, Albania) e la narrazione dalla doppia dimensione (soggettiva-oggettiva, ovvero esperienze personali e dati/numeri obiettivi), rivelano l’intreccio tra passato e presente, tra cause ed effetti, tra confini e territori interetnici e sovranazionali in un mondo interconnesso e interdipendente, ma che non vuole andare alla radice dei problemi, un mondo in cui si pensa più a barriere e muri, a strategie di contenimenti, di respingimenti e blocchi navali che alle cause scatenanti, alla vita delle persone e a soluzioni umanitarie e definitive» (Alessandro Leogrande, La frontiera, di Albana Muco, in https://riviste.unimi.it/index.php/AMonline/article/view/12486/11743).
Leogrande (la cui opera invito a scoprire e riscoprire a partire da un denso e approfondito ricordo di Christian Raimo per “Internazionale”, fruibile al link https://www.internazionale.it/opinione/christian-raimo/2018/11/25/alessandro-leogrande-libri-articoli) racconta i naufragi e viaggi dei migranti verso l’Europa attraverso il metodo del reportage letterario, focalizzandosi sulle persone, sulle loro esperienze, sulle loro vite umane e le ragioni che spingono a partire, in un ricco e toccante caleidoscopio di storie. Il libro culmina con il tragico evento del naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013 a poche miglia dalle coste di Lampedusa, in cui 368 persone persero la vita.

Strage di Lampedusa

La frontiera è uno di quei libri che io definisco ‘necessari’, va letto per comprendere la complessità di processi che non possono essere affrontati dalla politica e dal dibattito pubblico con la logica della semplificazione da tifo da stadio o della demagogia populista, come assistiamo tristemente soprattutto negli ultimi anni, complice un impoverimento sempre maggiore della capacità di argomentazione e del livello culturale generale, soprattutto nel nostro Paese, a partire dallo stigma del victim blaming sulla pelle dei migranti, per cui “l’unica cosa che va affermata è che in determinate condizioni non devono partire”, che diventa ancor più inaccettabile quando a pronunciare tali affermazioni sia un rappresentante delle nostre istituzioni fondate sulla Costituzione: furono queste, infatti, le parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sulla strage di Steccato di Cutro, per il naufragio di un caicco partito dalla Turchia e carico di almeno 180 migranti, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, con un bilancio di 94 morti accertati. Leogrande scrive: «Chi accetta viaggi pericolosissimi in condizioni inumane, attraversando i confini che si frappongono lungo il suo sentiero, non lo fa perché votato al rischio o alla morte, ma perché scappa da condizioni ancora peggiori. O perché sulla sua pelle è stato edificato un mondo che gli appare inalterabile»; il business degli scafisti si è fatto imponente «quando le coste italiane sono diventate la porta per accedere all’Europa, e l’Europa ha provato a erigere una serie di muri davanti alle proprie frontiere» (p. 16). Ancora, «bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte. Sedersi per terra intorno a un fuoco e ascoltare le storie di chi ha voglia di raccontarle, come hanno fatto altri viaggiatori fin dalla notte dei tempi. Ascoltare dalla voce di chi ha oltrepassato i confini come essi sono fatti. […] Come sono fatte le barche. Come sono fatte le onde del mare. Come è fatto il buio della notte. Come sono fatte le luci che si accendono nell’oscurità. Quelle voci sono plasmate con la stessa pasta dei sogni. Si riempiono di rabbia e utopia, desiderio e paura, misericordia e furore» (pp. 313-314).
In un tempo che inneggia pesantemente alla morte tra guerre, malattie, povertà, violenza a ogni livello, occorre riscoprire l’humanitas e l’agape, perché al di fuori di questi orizzonti di senso il rischio è quello di perdersi in una disumanizzazione senza fine. Converrà, allora, tenere a mente il monito sempre attuale di Primo Levi: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager» (da Se questo è un uomo).

Pillola di bellezza ri-costituente
Anno domini 2024. Migranti come pacchi postali.
«Verranno portati nel centro di accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Bari-Palese i 12 migranti pronti a partire a bordo di una motovedetta della Guardia costiera dal porto di Shengjin in Albania provenienti dalla nuova struttura di permanenza per il rimpatrio costruita da poco dall’Italia nel Paese delle Aquile, a Gjader.
A coordinare le procedure di ingresso nella struttura del capoluogo pugliese sarà la Prefettura»
(da https://www.adnkronos.com/cronaca/migranti-albania-tornano-in italia_4sSZqh05bu29mxcCUuaIqQ#google_vignette).
Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, intervenendo durante la trasmessione televisiva Tagadà, «ha sottolineato che “i giudici applicano le norme” e che l’Italia è “parte integrante” dell’ordinamento europeo. Ma al governo non sta bene e, mentre alcuni esponenti della maggioranza accusano i giudici di essere “pro-immigrati” e piegare le decisioni “alle loro convinzioni politiche”, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi annuncia il ricorso in Cassazione contro questi decreti perché “si nega il diritto del governo di attivare procedure accelerate”» (da https://www.editorialedomani.it/fatti/cpr-albania-governo-sconfitto-lager-migranti-tornano-italia-decisione-giudici-hthrvrmu). Appunto, procedure accelerate per pacchi postali.
Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes commenta: «”Soldi buttati a mare perché i dodici migranti torneranno tutti domani a Bari. Il centro torna ad essere vuoto ed era abbastanza ovvio che una procedura così accelerata, senza considerare tutti gli elementi della storia della persona, fosse impugnata da un tribunale, in questo caso quello di Roma”. L’esponente della Cei […] avanza l’ipotesi di danno erariale. “Lo spreco di risorse — osserva il presidente di Migrantes — potrebbe portare anche ad una valutazione di questo tipo. L’abitudine comincerebbe a diventare un po’ grave in un momento in cui a tutti sono richiesti sacrifici. Poco comprensibile è soprattutto il fatto di non prendersi a carico questa doverosa richiesta di asilo che alla luce dell’art. 10 della Costituzione noi dobbiamo fare sul nostro territorio”». Il paradosso è che proprio a Tirana, nel 2018, è stata intitolata una strada a Alessandro Leogrande, a un anno dalla sua scomparsa (https://bari.repubblica.it/cronaca/2018/09/07/news/via_leogrande_tirana-205830514/), in quella terra di Albania che nel 1991 vide fuggire i suoi figli e figlie da un paese dissestato verso Bari, verso l’Italia che, allora come ora, non riesce a realizzare il più genuino e giusto spirito della nostra Costituzione.

Albania 1991

Sacro è costruire una casa
e prevedere la camera
dei profughi.
Franco Arminio

In copertina: strage di Cutro.

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Articolo di Valeria Pilone

Già collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione.

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