Riscoprire Antonietta Brandeis e le sue opere rientra di diritto nella revisione in ottica di genere della storia dell’arte, e mette in evidenza l’importante ruolo, purtroppo misconosciuto, che le donne hanno svolto nel campo delle arti figurative già nel XIX secolo. Nelle sue opere sorprendono la cura meticolosa dei dettagli, la grande abilità nella resa della luce e dell’atmosfera delle città italiane, di Venezia soprattutto che fu la sua fonte di ispirazione, immortalata sulla tela dai luoghi più conosciuti fino ai canali più nascosti, ma anche di Firenze, di Bologna, di Verona, di Torino, di Napoli, di Roma, con i loro storici monumenti, le piazze, gli abitanti. La sua arte si colloca nel filone del Vedutismo, in quella grande tradizione che fa capo ad artisti come Canaletto e Guardi, ma, al contrario dei suoi predecessori, che avevano esaltato con un atteggiamento scientifico architetture maestose, Brandeis con un tocco personale e una sensibilità femminile ha rappresentato gli aspetti intimi delle città, cogliendo i riflessi della luce, delle architetture sull’acqua, e animando le sue scene con figurine, persone comuni che conferiscono alle sue opere un sapore di verità.




Antonietta Brandeis è nata il 13 gennaio 1848 a Miskowitz (oggi parte della Repubblica Ceca, allora sotto l’Impero Austro-ungarico), e ancora adolescente risulta allieva dell’artista praghese Karel Javůrek. Dopo la morte del padre, la madre, Giuseppina Dravhozvall, si risposò con il veneziano Giovanni Nobile Scaramella, e tutta la famiglia si trasferì a Venezia, dove Antonietta trascorse la maggior parte della sua vita; fu una delle prime studentesse a entrare, appena diciannovenne, nel 1867, nell’Accademia di Belle Arti di Venezia, aprendo la strada ad altre donne, e fu allieva dei pittori Michelangelo Grigoletti e Pompeo Molmenti, grazie ai quali perfezionò le sue abilità come paesaggista.
Bisogna ricordare che il diritto all’istruzione nelle belle arti fu concesso alle donne solo nel 1875, quando Brandeis aveva già terminato il suo corso di studi. Nell’Accademia Antonietta si distinse per il suo talento precoce, completando con profitto e negli anni il suo percorso didattico e ottenendo riconoscimenti e premi già durante gli studi. Fu una delle poche donne dell’epoca a eccellere nell’ambito del Vedutismo, un genere pittorico basato sulla rappresentazione realistica e dettagliata di paesaggi, soprattutto di vedute di città, anche se alcune fonti ricordano che, per potersi affermare, si firmasse “Antonio” Brandeis, e non accettò mai lodi pronunciate solamente per la sua appartenenza al genere femminile. Iniziò a esporre negli anni 1876-1877, presentando paesaggi veneziani, venduti a collezionisti stranieri.



Riuscì a conquistare una clientela internazionale, in particolare viaggiatori stranieri, soprattutto inglesi e tedeschi, che chiedevano souvenir artistici da portare a casa al ritorno del loro Grand Tour in Europa, attirati dalla resa quasi fotografica delle sue vedute, combinata con il fascino romantico dei luoghi ritratti. Per soddisfare la domanda della sua clientela Antonietta lavorò instancabilmente, lasciando una raccolta considerevole di opere, e replicò costantemente i suoi dipinti più popolari apportandovi minime variazioni. Il suo successo le consentì una vita agiata e indipendente, condizione abbastanza rara per un’artista dell’epoca.
Partecipò alle principali mostre italiane, a Venezia, Roma, Firenze, Torino, Milano. Nel 1880 si presentò all’Esposizione Internazionale di Melbourne con tre dipinti di ispirazione lagunare, e nel 1884 all’Esposizione generale Italiana di Torino, con un’opera raffigurante il Borgo medievale sulla parte più meridionale del Parco.

Venezia resta sicuramente la protagonista indiscussa dei suoi dipinti: Piazza San Marco, il Canal Grande, il Ponte di Rialto, il Ponte dei Sospiri, Palazzo Ducale, le vedute più note, ma anche la Venezia poco conosciuta, delle calli strette, dei piccoli canali, dove la gente semplice è impegnata in faccende quotidiane, scene sempre ritratte con una precisione fotografica, e un’attenzione particolare al variare della luce nelle diverse ore del giorno e nelle diverse condizioni meteorologiche. È la raffinatezza, la delicatezza con cui rende lo studio della realtà, la sua cifra stilistica, che riesce a trasformare il vero in una immagine poetica. Sono la luminosità intensa, l’aria tersa, i colori che predilige, quelli che meglio catturano la luce, l’azzurro dei cieli di Venezia, lo scintillio delle acque, il chiarore delle pietre degli edifici, il rosa e il grigio delle nuvole al tramonto.


Oltre a Venezia, Antonietta dipinse vedute anche di altre città italiane, soprattutto Firenze e Roma, che le offrirono nuovi spunti per ampliare il suo repertorio di vedute. L’attenzione ai dettagli architettonici e alla luce è la stessa, ma l’atmosfera si adatta ai diversi caratteri dei luoghi.




Nonostante fosse principalmente nota per le vedute urbane, la pittrice si cimentò anche in altri generi pittorici, tra cui scene di vita rurale, che trasmettono un senso di pace e serenità. Si dedicò anche alla pittura religiosa, come testimoniano una Madonna con Bambino nella sacrestia della cattedrale dell’isola di Curzola in Croazia e, nella stessa chiesa, una copia del pannello centrale del trittico di Giovanni Bellini di Santa Maria Gloriosa dei Frari di Venezia.




La pittrice, che nel 1897, a 49 anni, sposò il veneziano Antonio Zamboni, cavaliere e ufficiale della Corona italiana, dopo il matrimonio ridusse l’attività artistica. Tuttavia partecipò all’Esposizione Internazionale di Acquerellisti di Roma del 1906 ed espose nella Società Promotrice delle Belle Arti di Firenze tra il 1907 e il 1908. Antonio Zamboni morì l’11 marzo 1909, e da quel momento l’artista risiedette principalmente nella sua casa fiorentina di via Mannelli, dove morì il 20 marzo del 1926.

Un ritratto di Antonietta Brandeis, dipinto nel 1924 da Laura Capella, figlia della sua amata amica e collega Giulia Capella, è conservato nella Sala dei Benefattori agli Innocenti di Firenze. Vi appare come una signora distinta dai lineamenti che denotano un carattere forte e, come sappiamo dai suoi scritti, anche dotata di concretezza e spirito pratico.
Brandeis lasciò tutti i suoi lavori e i suoi beni alla fondazione fiorentina che si occupa degli orfani, l’Istituto degli Innocenti, tranne quattro quadri per i quali lasciò anche il denaro affinché fossero incorniciati e donati alla Galleria di Arte Moderna di Palazzo Pitti.
La Sala della Niobe agli Uffizi è uno di questi quattro dipinti, raffigura un’artista impegnata nella pittura dal vero nella sala della Niobe, una delle sale più famose della Galleria degli Uffizi. Il dipinto è una rappresentazione estremamente fedele della disposizione del locale, al momento, dove probabilmente l’artista trascorse del tempo per la sua esecuzione.

La maggioranza delle opere di Brandeis fu venduta in un’asta pubblica nel dicembre del 1926, ma l’Istituto degli Innocenti ancora conserva alcuni dipinti ad olio e numerosi acquerelli dell’artista. I suoi lavori si trovano in collezioni private in diverse parti del mondo, e sono custoditi al Museo Revoltella di Trieste, al Museo dell’Università della Virginia, nel Gloucester City Museum e nell’isola di Curzola, in Croazia.
In copertina: Venezia, Dogana e S. Maria della Salute, Antonietta Brandeis.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
