La Maddalena di Artemisia a Napoli

Per la ricorrenza dei morti faccio sempre un salto a Napoli per salutare i miei cari che non ci sono più e ne approfitto per rivedere la città che amo per l’atmosfera che si respira camminando per le sue strade, la cordialità della gente che incontri, la ricchezza dei monumenti artistici che custodisce, la nostalgia che mi suscitano i ricordi della gioventù, e, perché no, anche per pizza, babà e sfogliatelle che come le mangi a Napoli non le mangi in nessun’altra città.
Guardando gli eventi e le mostre in corso in questo periodo, tra Andy Warhol e l’esperienza immersiva nelle opere di Banksy, mi ha attirato il ritorno a Napoli di un’opera di Artemisia Gentileschi, la Maddalena penitente, che fu dipinta in questa città tra il 1630 e il 1635, abbastanza lontano quindi dagli eventi drammatici che hanno caratterizzato la vita della pittrice.  Ora, dopo 400 anni, ritorna a Napoli, ed è esposta in una delle sale del Chiostro Maiolicato all’interno del Complesso Monumentale di Santa Chiara.

Manifesto della mostra “Artemisia Gentileschi – Un grande ritorno a Napoli”

Dal 19 luglio 2024 al 19 gennaio 2025 la mostra, curata da Costantino d’Orazio, realizzata grazie alla collaborazione tra la Provincia Napoletana del Ss. Cuore di Gesù dell’Ordine dei Frati Minori, il FEC (Fondo Edifici di Culto), Agape e Arthemisia, è la prima di un ricco programma espositivo di grandi mostre al Complesso di Santa Chiara. Pago il biglietto e mi metto in fila per entrare.
Attraverso velocemente il chiostro grande che ho visto tante volte, ma non stupisce mai di sorprendermi per le famose “riggiole” maiolicate che riprendono paesaggi e scene bucoliche napoletane e mi fiondo nella sala della Maddalena.

La Maddalena in mostra a S. Chiara

Vengo attratta subito dai toni prevalenti del giallo oro e del blu oltremarino su cui spicca il candore della camicia. La santa è raffigurata in un momento di travaglio interiore che la porta a rinunciare alla vanità, rappresentata dalla collana di perle. Il gesto è deciso, ma allo stesso tempo delicato: la mano non strappa la collana in maniera violenta, ma la prende con garbo ed eleganza. Alle spalle della Maddalena, su un tavolo, sono il vaso degli unguenti e altri gioielli che fuoriescono da una cesta, simboli della sua precedente esistenza.
La figura è vista da un punto ribassato, seduta, ed emerge dallo sfondo scuro. Si gira leggermente verso la sua sinistra, con un’espressione estatica, come se dialogasse con Dio, rendendogli grazie per il passaggio a una nuova vita virtuosa, sorretta dalla fede.
Avevo già visto un’altra Maddalena di Artemisia, quella di Palazzo Pitti a Firenze. La pittrice era solita replicare le sue opere su richiesta dei collezionisti, ma non le riproduceva mai in maniera identica; apportava sempre delle variazioni nelle proporzioni, nei dettagli e nei colori. La sua rappresentazione di Maria Maddalena passa attraverso la consapevolezza delle lotte che ha sostenuto e dei trionfi che riesce ad ottenere, aumentando la complessità delle interpretazioni.

Conversione della Maddalena, Palazzo Pitti – Firenze

Nella versione fiorentina la donna, che siede su una poltrona elegante, arricchita con importanti decori, appare come un’elegante dama aristocratica, indossa infatti un prezioso abito in seta gialla, dagli amplissimi panneggi, con una generosa scollatura. I capelli lunghi e mossi incorniciano il viso, un piede nudo spunta dal bordo inferiore dell’abito. Nella versione napoletana i colori e il chiaroscuro invece sono più intensi, e i toni caldi enfatizzano il pathos della scena.

Allestimento della mostra presso il Complesso monumentale di Santa Chiara
Allestimento della mostra presso il Complesso monumentale di Santa Chiara

Passo poi a leggere le informazioni presenti nella sala sui pannelli esplicativi e apprendo che finora questo dipinto era stato conservato in collezioni private e negli ultimi cento anni era a Beirut nella collezione Sursock.
Il quadro era arrivato a Milano nel 2021 per la grande mostra “Le signore dell’arte” a Palazzo Reale, visibilmente segnato da tagli, buchi e fratture che hanno richiesto un intervento urgente di messa in sicurezza prima del trasporto aereo da Beirut a Milano. Restaurato a mostra chiusa, il quadro, attribuito ad Artemisia solo nel 1996 in una tesi di dottorato di Gregory Buchakjian, discussa alla Sorbona di Parigi, fa parte della collezione privata di Roderick Cochrane, ultimo erede della famiglia Sursock, custodita tra gli arredi di epoca ottomana di Palazzo Sursock. L’attribuzione è stata poi confermata da Riccardo Lattuada, uno dei massimi esperti della Gentileschi.
Il Palazzo della famiglia Sursock costruito nel 1860 in stile veneziano era a Beirut il principale museo d’arte, grazie al suo proprietario, Nicolas Sursock, che nel 1961 lo aveva regalato alla città perché diventasse un centro d’arte e di cultura. Danneggiato pesantemente dall’esplosione del 4 agosto 2020, restaurato grazie a collaborazioni internazionali, ha riaperto le sue sale dopo tre anni. L’esplosione fu causata probabilmente dal nitrato di ammonio confiscato dal Rhosus, una nave da carico abbandonata e depositato nel porto senza misure di sicurezza. Altre fonti addebitano l’esplosione ai lavori in un magazzino di fuochi d’artificio. Comunque nel porto c’erano vari magazzini che contenevano esplosivi e sostanze chimiche tra cui nitrati, fertilizzanti ed esplosivi.  Morirono in quel disastro più di 200 persone e tante famiglie rimasero senza casa.

Palazzo Sursock, Beirut

Anche la Maddalena fu danneggiata, ma grazie a un lungo e accurato restauro dovuto all’intervento di Arthemisia, azienda leader nell’allestimento di mostre d’arte a livello internazionale, è tornata oggi agli antichi splendori, mostrando tutte le caratteristiche che l’arte della Gentileschi prese nel lungo periodo trascorso dall’artista a Napoli dove visse dal 1630 fino alla morte avvenuta nel 1654.
Dopo i dieci anni trascorsi a Roma, Artemisia arriva a Napoli nel 1630, in un periodo in cui la città per la sua vivacità culturale è uno dei principali centri artistici d’Europa. Vi arriva con la figlia Prudenzia, ed è già un’artista affermata, richiamata da numerosi collezionisti appassionati dell’arte di Caravaggio, tra cui il Viceré di Napoli, Fernando Afán de Rivera, Duca di Alcalá, che nel 1629 aveva acquistato tre dipinti della pittrice. Il fratello Francesco ha sostituito il marito Pierantonio nella gestione della bottega. Galileo Galilei e il nobile messinese don Antonio Ruffo diventano suoi consiglieri e mediatori. Viene accolta in contesti in cui le donne avevano ancora grande difficoltà a entrare perché si percepiva notevole la sua capacità innovativa. A Napoli Artemisia rielabora il suo naturalismo caravaggesco, tipico delle sue prime opere, adattandolo alle tendenze locali, caratterizzate da un maggiore dinamismo e teatralità. Continua a rappresentare figure femminili determinate e forti, come Giuditta e Lucrezia, in composizioni sempre più complesse e dinamiche. Si dedica anche a opere di grandi dimensioni e collabora a progetti decorativi, tra cui il soffitto della cattedrale di Pozzuoli. Il periodo napoletano rappresentò quindi una fase di grande maturità per Artemisia Gentileschi, in cui il suo stile si arricchì di elementi barocchi senza perdere l’intensità e la profondità psicologica che caratterizzavano le sue opere precedenti.
Se si esclude la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare con suo padre Orazio alla corte di re Carlo I, Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà una grande quantità di opere, sostenuta dai numerosi clienti che acquistano i suoi dipinti.
Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio.
Si è fatto tardi, devo uscire, magari vado da Sorbillo a mangiare una pizza prima di tornare a Roma.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.

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