L’alternativa francese. Quarta parte

Il 4 dicembre il governo francese è stato sfiduciato.
Questo governo era costituito dalla coalizione fra il partito che ha ottenuto meno voti e meno seggi (Les Républicains, LR – destra gollista) e la formazione che più è calata alle ultime elezioni legislative (Ensemble pour la République – coalizione di Macron, centro-destra), dunque non deteneva alcuna maggioranza parlamentare.
La deputata di La France Insoumise (LFI, sinistra) Clémence Guetté (eletta nella banlieue parigina, lei sì, superando la maggioranza assoluta già al primo turno) ha definito l’esecutivo «illegittimo, […] un’orda di reazionari» che «governa per effrazione», […] frutto di un atto di forza, di un tradimento e di una violenza contro la sovranità popolare».
https://www.youtube.com/watch?v=23yFUmDnkIc

Clémence Guetté

L’ex primo ministro Michel Barnier (LR) voleva dare al Paese una struttura liberista e autoritaria, ma ha dovuto far fronte a una larga coalizione di sinistra (il Nouveau Front Populaire), che godeva della maggioranza relativa all’Assemblée Nationale, e a un forte partito di estrema destra (il Rassemblement National, RN), che, pur non avendo mai parlato di tassare i grandi profitti, vorrebbe mostrarsi attento alle questioni sociali.
Il governo, insediatosi a settembre, stava preparando, a fatica, la legge finanziaria per il 2025, con un iter che rasenta l’assurdo. La finanziaria, presentata dal governo all’Assemblée Nationale, è stata fortemente modificata dalla sinistra (e, in parte minore, anche dall’estrema destra) tramite numerosissimi emendamenti che hanno eliminato gran parte dei tagli ai servizi sociali, fino a diventare una legge molto più progressista di quanto il governo avrebbe voluto. La coalizione di governo, insieme al Rassemblement National (che non è formalmente parte della coalizione al potere ma non la ostacola nemmeno), ha bocciato la legge modificata facendo approvare al Senato (organo non elettivo dove il partito Les Républicains detiene la maggioranza assoluta) la versione originale della legge, e imponendola all’Assemblée Nationale con l’articolo 49.3 della Costituzione (vedi articoli precedenti e link sottostante), certa del fatto che l’estrema destra non avrebbe votato la mozione di sfiducia richiesta dalla sinistra per l’ennesima forzatura istituzionale.

Michel Barnier

Per quanto grave, tutto ciò è poco sorprendente da parte di un esecutivo la cui nomina mostra il più totale disprezzo della volontà popolare e della legittimità istituzionale.
https://vitaminevaganti.com/2023/04/01/fotoreportage-dalla-francia-irriducibile/
E non mancano certo occasioni per dimostrare la noncuranza per la pluralità politica.
Nella democrazia francese, ogni partito ha diritto a una giornata parlamentare in cui, dalle 9 del mattino fino a mezzanotte, può proporre leggi all’Assemblée Nationale e farle discutere nell’emiciclo. Il 28 novembre, durante la giornata di La France Insoumise, abbiamo assistito a uno scandalo antidemocratico durato diverse ore. Il partito di Jean-Luc Mélenchon proponeva l’abrogazione dell’ultima riforma delle pensioni, un calmiere per affitti e bollette dell’elettricità e l’inserimento del concetto di consenso nella parte del codice penale che riguarda le violenze sessuali. Marine Le Pen ha dichiarato che il suo partito avrebbe votato l’abrogazione della pensione a 64 anni. Dunque, il Front Populaire e il Rassemblement National sarebbero riusciti ad annullare questa famigerata legge impopolare. Nel frattempo, una manifestazione fuori dall’Assemblée Nationale sosteneva la cancellazione della riforma. Per prolungare il dibattito oltre la mezzanotte e quindi impedire la votazione, la minoranza che sostiene il governo ha posto quasi mille emendamenti irrilevanti e ripetitivi (molti dei quali riguardavano il nome della legge o le virgole nel testo).
Già qualche settimana prima, durante la giornata parlamentare del Rassemblement National, era stata proposta l’abolizione della riforma delle pensioni dello scorso anno, ma la sinistra aveva votato contro per non contribuire a “normalizzare” il partito lepenista.
La grossa differenza tra le due proposte di abrogazione sta nel dove cercare i soldi per finanziare il sistema pensionistico: secondo il partito nazionalista e razzista, basterebbe tagliare i servizi medici per le persone straniere senza permesso di soggiorno, mentre secondo la sinistra bisogna tassare le rendite e i grandi profitti, idea che raccoglie l’ostilità dell’alta imprenditoria e delle multinazionali.

Di fronte a una schiacciante maggioranza, popolare e parlamentare, la reazione repubblicana e macronista è stata quella di impedire la votazione su una legge già varata senza voto.
Chi conosce la Storia francese, sa che, nel 1789, la Rivoluzione esplose perché il re non voleva lasciar esprimere i rappresentanti del popolo.

Durante le ultime settimane, Marine Le Pen, che già si vantava di avere in mano le redini del governo e di dettarne la linea, ha avanzato sempre più richieste. L’ultima di queste, riguardante la cancellazione dei servizi medici per le persone straniere, si è scontrata con l’ostilità di Ensemble pour la République, l’ala meno destrorsa della coalizione macronista; persino gli esponenti dei Républicains, non certo fautori dell’accoglienza, facevano notare il «rischio di epidemie tra i Francesi in caso di malattie non curate tra gli immigrati». Sottovalutata da Macron, che continua a sentirsi onnipotente nonostante le sconfitte, Marine Le Pen ha sbandierato la minaccia di far cadere il governo. Obbedendo a un presidente sordo, il primo ministro ha passato la finanziaria con l’articolo 49.3 della Costituzione.

Marine Le Pen

Di conseguenza, il 4 dicembre, la mozione di sfiducia proposta dal Front Populaire compatto è stata approvata anche con i voti del Rassemblement National. Il governo è caduto. La finanziaria liberista è stata bocciata.
È la seconda volta nella storia della V Repubblica: la prima era stata nel 1962 con la sfiducia dell’allora primo ministro e futuro presidente della Repubblica Georges Pompidou. È significativo il fatto che tra i votanti della mozione vi sia l’ex presidente della Repubblica François Hollande, segno di forte critica nei confronti della gestione statale del suo successore.

I rappresentanti della minoranza sconfitta si sono sgolati ad accusare la sinistra di irresponsabilità istituzionale e tacciare l’estrema destra di «alleanza con coloro che chiamano assassini i poliziotti e resistenti i terroristi». Dal lato opposto, la capagruppo LFI all’Assemblée Nationale, Mathilde Panot, risponde che «il solo sovrano è il popolo» e gli esponenti socialisti aggiungono che «oggi il potere è qui e non all’Eliseo». Chi rappresenta il popolo sovrano si è finalmente espresso in maniera inequivocabile contro un governo che negava i risultati elettorali. Forse i prossimi governi avranno più timore nel ricorrere all’articolo 49.3 (che stavolta è stato usato da Élisabeth Borne ben 12 volte in 11 mesi) e tratteranno il parlamento, e il popolo che esso rappresenta, come un soggetto degno di ascolto e rispetto e non come una banda indisciplinata da ridurre all’obbedienza.
In Francia, diversamente che in Italia, ripetere fino alla nausea che una legge «è per il bene del Paese» e invitare alla saggezza è sentita come retorica e non convince nessuno.

Mathilde Panot

Cosa succederà adesso?
La Costituzione prevede che l’Assemblée Nationale non possa essere sciolta due volte nello stesso anno (articolo 12).
«Resta una sola soluzione: chiediamo a Emmanuel Macron di andarsene» sostiene Mathilde Panot (LFI), ma Macron non intende ascoltare. Se la coalizione macronista Ensemble pour la République decidesse di tenere in conto quanto uscito dalle urne a luglio scorso, troverebbe un compromesso con il Front Populaire, nominando prima ministra Lucie Castets, e ammetterebbe che il popolo francese continua a non accettare la pensione a 64 anni.
Michel Barnier ha rassegnato le dimissioni. Secondo la Costituzione, il presidente della Repubblica può rinominare il primo ministro nonostante la sfiducia, sperando di riuscire a evitare nuove mozioni di sfiducia e facendo ulteriori concessioni all’estrema destra, poi indire altre elezioni legislative a luglio. Oppure può prendere tempo prima di nominare un nuovo governo e lasciare che l’esecutivo uscente, automaticamente in carica fino alla nomina del successivo, gestisca la finanziaria sotto forma di “affari correnti”, pur tenendo a mente che una legge bocciata attraverso la sfiducia non può essere ripresentata.
Un’altra ipotesi, la più probabile secondo Macron ma già fallita l’estate scorsa, è quella di spaccare il Front Populaire e convincere il Partito Socialista (PS) a sostenere un governo di coalizione con Ensemble e Les Républicains. Nonostante l’ostilità fra socialisti e insoumis, l’ipotesi è improbabile: la condizione socialista, su cui ormai il partito ha messo la faccia, sarebbe l’abolizione della riforma delle pensioni, cara a macronisti e repubblicani, e inoltre il sistema elettorale uninominale punirebbe il PS se accettasse tale coalizione.

Se Emmanuel Macron, responsabile di questa situazione di stallo, accettasse di dimettersi, la situazione si sbloccherebbe. Il presidente del Senato Gérald Larcher prenderebbe il suo posto fino alle nuove elezioni presidenziali. Non avendo concluso il secondo mandato consecutivo, Macron potrebbe candidarsi per un terzo e quarto mandato, ma sarebbe assai improbabile che venga rieletto, vista l’ostilità che ha accumulato su di sé, anche fra chi prima lo sosteneva. È bene ricordare che nel 1969 Charles de Gaulle si dimise dopo aver perso un referendum con il 48% dei voti, circa il triplo degli attuali consensi di Macron.

Qualora nessuna soluzione funzionasse, si prospetterebbe una scappatoia inquietante.
L’articolo 16 della Costituzione autorizza il presidente della Repubblica ad assumere su di sé poteri straordinari «nel caso in cui le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità del suo territorio o l’esecuzione dei suoi impegni internazionali siano minacciati in maniera grave e immediata e il funzionamento regolare dei poteri pubblici sia interrotto». Macron potrebbe prendere tali «misure necessarie» sotto il controllo del Consiglio Costituzionale, che deve consultare prima di attivare quest’articolo, e «per un periodo limitato» (ma la Costituzione non specifica una data di scadenza). L’unico ricorso alla suddetta misura avvenne nel 1958, sotto Charles de Gaulle, durante la guerra che condusse all’indipendenza dell’Algeria. Sarebbe un ulteriore scandalo se Macron dichiarasse uno stato di emergenza, previsto per situazioni militari estremamente gravi, solo perché incapace di “domare” un parlamento, quindi un popolo, a lui ostile.
In vista delle future elezioni presidenziali, bisogna sperare che la sinistra riesca a unirsi con un programma di compromesso superando i protagonismi individuali, magari con Lucie Castets come candidata comune. Per quanto carismatico, è improbabile che Jean-Luc Mélenchon, detestato dal mondo sionista e da quello imprenditoriale, sconfigga l’estrema destra al secondo turno.
Alle successive elezioni legislative, che non possono avere luogo prima di luglio 2025, l’unico dato certo è il drastico, ulteriore e forse definitivo calo di Macron e in generale dei partiti liberisti.

Lucie Castets

Il 5 dicembre, in un discorso all’insegna dell’ambiguità, Emmanuel Macron ha rifiutato l’ipotesi delle dimissioni e parlato di un «governo di interesse nazionale con la collaborazione di tutte le forze parlamentari che vorranno partecipare lasciando da parte gli estremismi»: tra le righe, si legge la speranza che il Partito Socialista tradisca il Front Popoulaire e accetti incondizionatamente le richieste del centrodestra.
Neanche l’ombra, da parte del presidente, di un riconoscimento della propria ennesima sconfitta, la quarta consecutiva da giugno. In un delirio di ipocrisia, ha annunciato che «l’estrema sinistra e l’estrema destra si sono unite in un fronte antirepubblicano», dimenticandosi del fronte repubblicano contro l’estrema destra che si è compattato con la sua partecipazione e che egli stesso ha tradito nominando un governo complice dell’estrema destra sotto un primo ministro frutto dell’unico partito che a tale fronte non ha voluto partecipare. Il concetto di “arco repubblicano”, che secondo chiunque è costituito da tutti i partiti tranne l’ex Front National, prevede invece, secondo Macron, anche l’esclusione de La France Insoumise, trattata alla pari del Rassemblement National dall’unico presidente che ha accettato di collaborare con quest’ultimo.
Niente di chiaro su chi occuperà Matignon (il palazzo del capo del governo), nome che sarà proposto entro qualche giorno ma dovrà sopravvivere alle ulteriori mozioni di sfiducia. Nessun cambio di rotta in vista, se non quello di varare una «legge speciale» per applicare l’economia liberista del 2024 all’inizio del 2025 e poi scrivere una finanziaria con calma a gennaio. Resta da capire chi, secondo Macron, sarà disposto ad approvare questa legge speciale quasi identica a quella già bocciata.
https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2024/12/05/adresse-aux-francais-5

Emmanuel Macron

L’altro elemento chiave del futuro è l’abolizione della riforma delle pensioni, tema che è ormai centrale in qualunque discorso e dibattito. È una riforma frutto di una doppia violenza: quella istituzionale, che ha ripetutamente impedito il dibattito e la votazione, e quella della polizia, che ha soffocato le enormi proteste. Senza queste violenze, la riforma non avrebbe mai avuto luogo. Con il sistema elettorale uninominale, ogni deputato o deputata è personalmente responsabile delle proprie scelte e azioni, pena la non rielezione: è per questa paura che, quando il 16 marzo 2023 l’allora prima ministra Élisabeth Borne ha passato la riforma con l’articolo 49.3 i deputati LR hanno chiesto il voto segreto sulla successiva mozione di sfiducia, ed è per questo meccanismo che le elezioni del 30 giugno e del 7 luglio 2024 hanno visto crollare i due schieramenti che avevano sostenuto la riforma e lievitare i due che l’avevano osteggiata. Più che l’illegittimità del governo stesso, è questa riforma che ha portato a un evento storico come la sfiducia a un governo.
L’unica via democratica per sbloccare questa situazione di stallo è abrogare quella riforma. Che sia con un referendum popolare o con una votazione parlamentare, che ci vogliano dieci mesi o dieci anni, questa riforma deve scomparire. Solo così si potrà ritrovare un consenso verso le istituzioni repubblicane. Altrimenti non si uscirà dalla tensione e ogni decisione sarà frutto di ulteriori atti di forza.

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.

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