Giunti/e al termine del report dell’Unfpa Vite intrecciate, fili di speranza leggiamo una storia che racchiude quanto abbiamo approfondito negli ultimi mesi. A Panama le donne Ngäbe, della comarca Ngäbe Buglé, sono le protagoniste di un’importante rivoluzione sul loro territorio: nelle remote montagne della regione, la mancanza di strade praticabili spinge molte donne a partorire in casa, un fattore che incide pesantemente sui tassi di mortalità neonatale. Per arginare questo fenomeno, l’Associazione delle Donne Ngäbe ha creato strutture come la Casa Materna de San Félix, offrendo assistenza sanitaria essenziale per il parto; fondata negli anni ’90, l’associazione ha rapidamente ampliato il suo focus sulla salute materna, collaborando con il Ministero della Salute e l’Unfpa, una collaborazione che ha permesso alle donne di accedere a contraccettivi, migliorare la nutrizione infantile e a creare progetti di pianificazione famigliare, avviando un ciclo virtuoso di autonomia riproduttiva, riduzione della povertà e sviluppo comunitario. Negli ultimi trent’anni, le donne Ngäbe sono state protagoniste di significativi progressi: ad oggi si stima che circa 8 donne su 10 prendono decisioni autonome sulla contraccezione. Gertrudis Sire, presidente dell’Associazione delle Donne Ngäbe, afferma però che il machismo e la discriminazione rimangono ostacoli importanti che spesso limitano l’accesso tempestivo alle cure mediche: grandi assenti in questo movimento sono infatti gli uomini che non partecipano attivamente al cambiamento ma ostacolano comunque le decisioni in merito all’assistenza sanitaria, che dovrebbero spettare in prima linea alle donne. Per questo, figure come Eira Carrera lavorano per educare le donne sui loro diritti, inclusa la possibilità di rifiutare rapporti sessuali non desiderati: esempi come quello di Eneida, che pianifica il terzo figlio con il pieno sostegno del partner, dimostrano i risultati raggiunti e la fiducia crescente delle donne nel rivendicare la propria autonomia.
È in questo senso che agiscono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals o Sdg) il cui intento è garantire l’accesso universale a servizi di salute sessuale e riproduttiva fra cui contraccezione, assistenza al parto, trattamento per l’Hiv, educazione sessuale e supporto per gestire la violenza di genere. La copertura sanitaria universale, prevista dall’Sdg 3.8, mira a fornire servizi di qualità senza discriminazioni o rischi, ma persistono lacune che colpiscono soprattutto le persone più vulnerabili. Alcuni paesi hanno fatto passi in avanti rimarchevoli: fra questi il Perù, che ha ridotto la mortalità infantile e neonatale grazie a un programma di bilancio; lo Zambia, invece, ha avviato nel 2020 un piano di copertura medica che comprende servizi contraccettivi. Tuttavia, per essere davvero universale, l’assistenza sanitaria dovrebbe includere anche migranti irregolari, lavoratori/lavoratici temporanei/e e rifugiati/e, evitando così esclusioni aggravate dai crescenti flussi migratori. Come più volte è stato sottolineato, garantire questo diritto offre certamente vantaggi per la salute pubblica ma i risvolti economici sono altrettanto rilevanti. La Thailandia, che estende la copertura medica anche ai/alle migranti irregolari, ha ottenuto risultati migliori rispetto a paesi come Norvegia e Stati Uniti: includere le popolazioni emarginate è essenziale per raggiungere gli Sdg e soprattutto per ridurre i costi complessivi del sistema medico. La questione dei costi rimane però centrale, in particolar modo per i paesi in via di sviluppo, molti dei quali presentano alti livelli di debito internazionale a causa dell’inflazione e della pandemia ― la quale ha rafforzato la convinzione che la copertura sanitaria universale sia essenziale ― che hanno portato pesanti tassi di interesse sulla sanità in ben 48 Paesi. Forme innovative di finanziamento, come i bond sovrani legati a obiettivi specifici, potrebbero rendere la copertura universale accessibile.
Oltre a misure di contrasto tangibili, come l’ampliamento dei fondi per le cure mediche, c’è l’impellente bisogno che tali questioni raggiungano anche una dimensione culturale e sociale. Rammentare alle persone di prendersi cura della propria salute è altrettanto importante quanto garantire assistenza sanitaria universale e completa, soprattutto per i gruppi marginalizzati, inclusi i/le giovani: con l’avanzare delle tecnologie e il cambiamento dei profili demografici, questa necessità diventerà sempre più rilevante. Uno strumento fondamentale per ampliare la conoscenza sulle questioni riproduttive è l’educazione sessuale approfondita, i cui benefici sono stati affrontati nel Capitolo 4 del report. Questa forma di educazione non solo offre ritorni individuali e sociali in termini di salute, istruzione e produttività, ma può anche rafforzare l’identità di comunità stigmatizzate: le ricerche presentate nello studio rendono evidente che un’educazione sessuale di qualità, appropriata per l’età e basata sui diritti, può aumentare il senso di autodeterminazione, autonomia e uguaglianza nei/nelle giovani, soprattutto di gruppi non pienamente accettati socialmente. Nonostante i numerosi benefici, il supporto per l’educazione sessuale completa è diminuito negli ultimi anni. L’assenza di informazioni affidabili rischia di creare società incapaci di affrontare le sfide future: per garantire che anche le persone più svantaggiate possano beneficiare di questi interventi, è indispensabile fornire informazioni sanitarie chiare e corrette, sostituendo quelle obsolete, parziali o mendaci. Tuttavia, il cambiamento richiede anche un’azione sulle dinamiche di potere: politiche istituzionali, atteggiamenti socioculturali e norme giuridiche continuano a perpetuare disuguaglianze in tutto il mondo.
Un mutamento però è possibile e sempre più vicino: secondo il World Economic Forum (2023) quest’anno rappresenterà un traguardo per le elezioni, con oltre 2 miliardi di elettori ed elettrici pronti a recarsi alle urne in più di 50 paesi. Il voto è importante perché, come evidenzia questo rapporto, lo è anche la rappresentanza dei gruppi più svantaggiati: per questo l’Sdg 5.5.1 ― che misura anche la proporzione di seggi occupati da donne nei parlamenti nazionali e nei governi locali ― va tenuto fortemente in considerazione nei programmi politici. E mentre le elezioni e l’advocacy pubblica sono strumenti necessari per porre fine alla marginalizzazione, è anche necessario riconoscere che questi strumenti semplicemente non esistono in troppi Paesi: in questi casi, organismi internazionali come le diverse agenzie delle Nazioni Unite hanno il compito di intervenire e sottolineare che l’adozione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è obbligatoria per tutti gli Stati membri, prodotta con l’accordo di quegli stessi governi, e deve essere perseguita.
Questi interventi sono inderogabili e le voci delle rivendicazioni diventano ogni giorno più forti: invece di rispondere con allarme e repressione, accogliere le diverse richieste con apertura e collaborazione porterebbe un cambiamento utile tanto per la popolazione quanto per lo Stato (con la riduzione, ad esempio, dei costi di sanità pubblica). Il mondo è cambiato, gli standard sono più elevati, così è anche la nostra capacità di progettare e dare risposte. Alla fine, il raggiungimento degli obiettivi più ambiziosi del mondo significherà poco se non insistiamo sui Paesi, sulle comunità che vengono sistematicamente spinte indietro. Ma tutte e tutti noi possiamo essere capaci di una visione più egualitaria, che riconosca la dignità e il valore di ogni individuo, una visione che ribadisca che garantire i diritti di tutte le persone significa assicurare i diritti di ciascuna persona.
Dopotutto, il tessuto dell’umanità è vasto e bellissimo, ma è forte solo quanto il suo filo più fragile.
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Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.
