La società di massa è il prodotto dei mezzi di comunicazione di massa (cinema, giornali, tv e radio), i quali sono veicoli di informazioni e intrattenimento. Questi, grazie alla loro pervasività, divengono in breve tempo dei formidabili dispositivi mediali in grado di determinare atteggiamenti conformistici e un pensiero uniforme, il cosiddetto pensiero unico: condizioni ottimali per far attecchire e prosperare il modello consumistico.
Negli anni Quaranta la Scuola di Francoforte assunse una posizione fortemente critica nei confronti dell’industria dell’intrattenimento. Adorno — nella Dialettica dell’Illuminismo — definisce l’amusement, il divertimento, nient’altro che un’estensione del lavoro e lo è per due ragioni: in primo luogo il tempo libero è esso stesso una forma di meccanizzazione, giacché il riposo ciclico, scadenzato secondo turni, rigenerando l’operaio è necessario ai fini produttivi. In secondo luogo, il tempo del riposo è comunque impiegato per fruire di prodotti d’intrattenimento (film, soap opera, riviste), alimentando il circuito capitalista. Per questi motivi il tempo libero è funzionale al lavoro al punto da diventarne parte: una parte integrante.
Le produzioni cinematografiche della società di massa rispondono fedelmente alle aspettative del pubblico, tant’è che il genere e i passaggi della trama si identificano con facilità disarmante. L’ambientazione e l’epoca in cui si muovono i personaggi, i compiti che ciascuno di essi deve svolgere decretano sia la trama che il genere che le è proprio (drammatico, commedia, poliziesco, ecc). Stando alla tesi dei critici di Francoforte, la prevedibilità della trama risponde a tre esigenze: l’impegno cognitivo richiesto allo spettatore/trice deve essere minimo, cosicché questa passività dia luogo a reazioni emotive standardizzate in grado di soddisfarlo senza stancarlo. Inoltre, il lieto fine ha una funzione consolatoria precipua nella cultura di massa: insufflando energici refoli di speranza, si incoraggia l’ottimismo e la fiducia nel futuro, elementi vitali per la sopravvivenza dell’economia capitalista. Sostanzialmente l’industria della cultura di massa opera una forma di controllo sociale capillare, convertendo di volta in volta il lavoratore/trice in consumatore/trice e viceversa.
Il cinema degli anni Settanta si distanzia dagli stilemi precedenti e inaugura nuovi impianti narrativi e inedite forme estetiche; questa discontinuità trova le sue cause nell’urgenza socio-culturale che informa i registri creativi. Il Sessantotto aveva aperto una fase storica contrassegnata da un dilagante attivismo e una pervasiva militanza politica, marcando profonde tensioni sociali. Molti registi si incaricarono di sperimentare un nuovo linguaggio che potesse essere all’altezza della complessità storica. La società stava cambiando e il cinema con essa.
Il mutamento narrativo è evidente a partire dalle coordinate della trama: se in precedenza i personaggi erano all’interno di una composizione etica dicotomica del tipo buoni/cattivi, in quest’epoca l’individuazione del buono e cattivo risulta sfumata a favore dell’esplorazione di tutte le zone di grigio in cui l’animo umano giace spesso. Le dinamiche di identificazione subiscono una profonda rivoluzione, cosicché l’empatia del pubblico è slegata dalle condotte morali dei personaggi.
Dunque i modelli di successo e la virilità vengono meno: ora è la dimensione interiore del/della protagonista l’aspetto su cui si focalizza la narrazione. I registi dotano i loro personaggi di stati d’animo a valenza negativa (depressione, frustrazione, rabbia, impotenza, ecc.), gettando in faccia al pubblico una fotografia più realista, ma fino allora ignorata dal cinema, mettendo (provvisoriamente) fine alla malìa esercitata della vecchia “Holy-Wood” (legno sacro, ovvero bacchetta magica).
Questo fenomeno di contaminazione controculturale è definito Hollywood Renaissance. È una fase che attraversa parallelamente le altre produzioni cinematografiche statunitensi più generaliste da metà anni Sessanta fino all’inizio anni Ottanta. È in questo arco temporale che si impongono all’attenzione del grande pubblico autori come Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Roman Polański coi loro rispettivi film Arancia Meccanica (1971), Il Padrino (1972), Taxi Driver (1976), Rosemary’s Baby (1968). Un carosello di antieroi, scenari disincantati e spettacolari solitudini rivela un cambio epocale nel mondo della sceneggiatura.


Il cambio di passo è dovuto anche alla pervasività della tv, la quale è stata un mezzo di intrattenimento in aperta competizione con il cinema. La sua rapida diffusione e il relativo ampliarsi delle ore di programmazione ha richiesto un costante implemento di contenuti video, sicché le major cinematografiche vendettero i loro contenuti ai network televisivi per fronteggiare l’erosione degli incassi nelle sale cinematografiche. Tuttavia, il depauperamento degli archivi aveva generato il bisogno di ampliare il pubblico, includendo fasce d’età più giovani. La ridefinizione progressiva dei cànoni censorî permette di estendere la visione dei film considerati scabrosi alle nuove generazioni, associando a certi limiti di età la possibilità di essere accompagnati da adulti.
La metamorfosi sociale con la sua rivoluzione sessuale contribuisce ad abbattere quei tabù che, come uno steccato, contenevano il perimetro morale della società tradizionale. Scene di sesso esplicito, relazioni interrazziali, il mitologema dell’antieroe e l’assenza di un lieto fine sono gli aspetti convogliati da nuove prospettive sociali ed espressive.
Registi e sceneggiatori (nella Nuova Hollywood i due spesso coincidono) fanno capitolare le vecchie linee di demarcazione tra personaggi positivi e negativi: laddove il mainstream aveva rappresentato le autorità come figure positive, nella Hollywood Renaissance, la rappresentazione del poliziotto, del militare e dell’istituzione in generale si pone sovente in una connotazione morale negativa. Questa formula rivela l’atmosfera di contestazione che la politica interna ed estera statunitense stava raccogliendo in questi decenni: da un lato le istanze razziali saranno accolte de iure con il Civil Rights Act (1964) e il Voting Rights Act (1965), ma saranno effettive solo a distanza di anni di conflitti civili; dall’altro affiorava una crescente insofferenza nei confronti della ventennale guerra in Vietnam.
Indovina chi viene a cena e La calda notte dell’ispettore Tibbs (entrambi del 1967) sono esempi di come la società statunitense, benché effettivamente multiculturale, mantenesse una sua disposizione razzista che sempre più andava a indebolirsi a vantaggio di nuove configurazioni familiari e sociali. La coppia multietnica Joey e John e l’ispettore afroamericano Virgil Tibbs sono esemplari di questo mutamento. Sul fronte bellico Taxi Driver (1976), Il cacciatore (1978), Apocalypse Now (1979) offrono una prospettiva che si smarca dalla retorica del patriottismo: in seno alla guerra le obsolete coordinate di Bene-Male perdono di significato e le promesse di gloria lasciano il posto a sentimenti stranianti e uno strascico di sangue.
In questo itinerario polemico, non è risparmiato neppure il sistema dei mass media: Quinto potere (1976) si propone di indagare il sistema televisivo, il potere che esso esercita e i cinici meccanismi che lo mantengono, fino a rappresentare il parossistico cortocircuito tra populismo e corruzione morale.
Anche la condizione femminile è incanalata in questi modelli narrativi. Non torno a casa stasera (1969), Una moglie (1974), Una donna tutta sola (1978): qui le tre protagoniste sono incastonate in una realtà sociale che solo se forzata può offrir loro nuove opportunità di realizzazione. Le donne, in questo contesto, rimangono di fronte alla macchina da presa: sono attrici, soggetti rappresentati, ma non divengono ancora soggetti rappresentanti, ovvero autrici cinematografiche. Si tratta comunque di un tornante storico significativo: in primo luogo perché in queste pellicole emerge un (possibile) punto di vista femminile che, disarticolato dal logorio quotidiano e da una società in costruzione, procede per tentativi irrazionali costituendosi come soggetto. Ne consegue che l’iconografia femminile della diva, oggetto di ammirazione e venerazione, lascia spazio a fisionomie meno standardizzate che esaltano l’imperfezione come parte imprescindibile di un’unicità perfetta. Così Meryl Streep, Mia Farrow, Liza Minnelli, Barbra Streisand escono dagli stereotipi classici e definiscono un’immagine di bellezza indissociabile dal carisma.


La fine della Hollywood Renaissance coincide con il fallimento della United Artists che, per la realizzazione del film I cancelli del cielo (1980), stanziò 44 milioni di dollari incassandone soltanto 3. Tuttavia, la bancarotta di questa casa di produzione non è la causa del tramonto di questo fenomeno controculturale, è semmai l’effetto di altre contingenze. Negli anni Ottanta la componente sociale è completamente consumata da altri valori, quali edonismo e individualismo. Il cinema si muove all’interno di queste spinte. La possibilità di un ritorno a produzioni autoriali sfuma a beneficio di produzioni con trame meno impegnate e commercialmente più appetibili. È il grande recupero delle strutture narrative passate: le collaudate formule di protagonista e antagonista disegnate all’interno di geometrie manichee si adeguano perfettamente a generi di sempre maggior successo quali avventura e azione.
La realtà modulare di Hollywood rimuove i residui di un’epoca che sente ormai lontana. Gli ideali di giustizia si ricompongono secondo schemi precostituiti, per cui buoni e cattivi sono quei binari solidi ed efficienti sui quali fila liscia la trama. La complessità espressiva si ritira, la militanza sociale pure, è qui che trova terreno fertile l’intrattenimento più disimpegnato.
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Articolo di Sathya Cucco

Studiosa di filosofia e comunicazione, uso la conoscenza come compagna di vita.

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Il precedente commento per favore ignoratelo. Volevo solo dire che questo articolo mi piace anche di più, parlando di film che ho molto amato, anche se, negli anni, certi giudizi tendono un po’ a cambiare, vuoi per il tempo che passa o le idee che cambiano…
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