La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
Siamo giunti a conclusione del nostro percorso di rilettura dei principi fondamentali della Costituzione attraverso storie tratte dalla letteratura, nelle quali abbiamo visto incarnarsi i valori essenziali sottesi a tali principi.
L’ultimo articolo è dedicato alla bandiera nazionale, il tricolore. Leggiamo nel commento alla Costituzione della Fondazione Franceschi (che ci ha accompagnato per tutto l’arco dei nostri approfondimenti) che il tricolore è nato nel 1797 come bandiera della Repubblica cispadana e i colori non sono casuali: «il bianco e il rosso sono i colori dell’antico stemma comunale di Milano e verdi erano le uniformi della guardia civica della città». A suggerire l’adozione di una bandiera verde, bianca e rossa fu Giuseppe Compagnoni, noto appunto come il “Padre del Tricolore”.
Adottato poi con lo stemma dei Savoia dal Regno d’Italia, diventa la bandiera nazionale con l’eliminazione dello stemma contestualmente alla proclamazione della Repubblica, per decisione dell’Assemblea costituente, che opta per il tricolore puro, senza aggiunta di stemmi o simboli centrali.

A partire dal 1997, il 7 gennaio si celebra la “Giornata nazionale della bandiera” e con la Legge n. 22/98 è stato introdotto l’obbligo di esporre la bandiera italiana, insieme a quella dell’Unione Europea, all’esterno degli edifici pubblici.
Il tricolore non può essere strappato, bruciato, vilipeso: tale tutela è garantita dalla legge che punisce il reato di vilipendio alla bandiera (art. 292 del Codice penale), che consiste nel comportamento gratuitamente offensivo e fine a sé stesso che oltrepassa il legittimo esercizio della libertà di manifestazione del proprio pensiero, mostrando gratuito disprezzo verso l’idea di Stato che la bandiera nazionale rappresenta.
La bandiera è oggi presente come simbolo importante in molte manifestazioni (per esempio, durante le celebrazioni del 25 aprile o durante le competizioni sportive) e vederla issata ci trasmette sempre una certa emozione, considerando la storia che è dietro quel simbolo, una storia di conquista della libertà che va dal Risorgimento alla Resistenza. Dovevano averlo ben avvertito nell’Assemblea costituente al momento di approvare il testo dell’articolo: «perfino dall’arido linguaggio del verbale possiamo cogliere tutta l’emozione di quel momento. Presidente [Ruini] – Pongo ai voti la nuova formula proposta dalla Commissione: “La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni”. (È approvata. L’Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi. Vivissimi, generali, prolungati applausi)» (dal sito del Quirinale).
Se potessi reinterpretare il significato dei colori del nostro tricolore, direi che il verde è il colore della speranza che tanti italiani e italiane hanno saputo infondere con le loro azioni a chi li ha succeduti; il rosso è il colore della passione, dell’amore incondizionato per il nostro Paese, il bianco è il colore dell’inclusione, della gioia, della pace. Quando guardo il tricolore penso all’unità, penso alle/ai tanti giovani e giovanissimi che hanno dato letteralmente la loro vita per riunire sotto un’unica bandiera la nostra Italia, ma penso anche a tutte le sofferenze che il popolo italiano, soprattutto gli ultimi, i più poveri, i più diseredati, hanno dovuto vivere e attraversare da Nord a Sud.

Per questa decima e ultima tappa del nostro viaggio di interconnessione tra il dettato costituzionale e la letteratura, il libro che mi ritorna alla memoria è Italiana di Giuseppe Catozzella, dalla bellissima copertina rossa come il rosso della nostra bandiera. È la storia di Maria Oliverio che vive con la sua numerosa e poverissima famiglia a Casole, un piccolo paese in provincia di Cosenza: una storia di povertà che parte dalle origini, dal nonno di Maria, costretto a lavorare la terra della famiglia Morelli, diventando «braccianti, dipendenti dai capricci dei “cappelli”». Le donne di casa, invece, filano tessuti per la famiglia Gullo. La sorella maggiore di Maria, Teresa, è stata mandata a vivere con i conti Tommaso e Rosanna Morelli, cugini dei padroni di Biaggio Oliverio, papà di Maria, in virtù di un tremendo ricatto, tra i tanti che gli ultimi e i più poveri della terra sono sempre stati costretti a subire: la bambina è il prezzo per continuare a lavorare per don Donato Morelli, i cugini l’avrebbero educata e mantenuta fino al matrimonio e gli Oliverio avrebbero ricevuto in cambio ogni anno un maiale.
Ma un evento all’inizio del romanzo cambia tutte le carte in tavola del destino, soprattutto quello di Maria: i conti adottivi muoiono e Teresa viene rimandata a Casole con pochi soldi e in un contesto poverissimo, in cui la ragazzina non è abituata a vivere. Cresce, inoltre, in modo esponenziale il suo odio verso la sorella Maria, perché ritenuta responsabile della morte dei genitori adottivi, in quanto questi si erano recati a Napoli per contrattare anche l’adozione di Maria e uccisi in quel frangente durante la sommossa di giovani napoletani, scesi per le strade il 15 maggio 1848 in seguito al rifiuto di re Ferdinando II di Borbone di firmare la Costituzione liberale. Maria crescerà e diventerà sempre più consapevole di sé stessa e del mondo pregno di ingiustizie. Per cinque anni vive in montagna, nel bosco, con la zia Maddalena detta Terremoto, dal soprannome dato al marito, che si era dato alla macchia, di cui si diceva (secondo le leggende di paese) che fosse discendente «dei Carbonari della montagna, montanari che avevano combattuto contro l’occupazione dei francesi di Murat a fianco dell’esercito dei Borbone, e per questo si erano guadagnati il rispetto di tutti». Ma il re Borbone li aveva traditi, non concedendo la tanto agognata abolizione della schiavitù dei latifondi, e i Carbonari avevano così deciso di rimanere sulle montagne, da dove compivano azioni di guerriglia e rapina alle masserie dei nobili, distribuendo poi il bottino ai braccianti poveri e vessati.

A Maria manca molto la scuola. Attraverso le sue parole, l’autore ci trasmette l’importanza cruciale dell’istruzione e anche la condizione di inferiorità delle donne: «per me la scuola era tutto, mi faceva credere che forse sarei diventata diversa da com’ero, migliore, che forse da grande sarei diventata una donna importante»; «L’unica consolazione la trovavo nei libri, la solitudine di quei mesi mi ha fatto capire che sono gli unici amici fidati che una donna possa avere, sempre che abbia la fortuna di imparare a leggere». Dopo cinque anni, la ragazza torna in paese perché zia Terremoto decide di raggiungere il marito su per le montagne. Ed è da questo punto della storia che si svolge, pagina dopo pagina, la narrazione vorticosa e appassionata del suo destino, dal momento in cui scopre che in lei abita «nel mezzo del più rigido degli inverni, un’invincibile estate».
Maria cresce, diventa sempre più intelligente e bella, sempre più consapevole della subalternità del suo sesso in un mondo contadino e patriarcale come quello del Sud. È toccante il modo in cui Catozzella sa dare voce a una donna, pur essendo lui uomo: non è mai stereotipato, usa sempre grande sensibilità e rispetto per le questioni che investono le donne: «[…] gli uomini per strada mi guardavano – prima con desiderio, subito dopo con curiosità – qualcuno ammiccava. Ero disgustata da quegli sguardi, e mi sentivo intrappolata. […] Presto avrei avuto figli, visto che adesso ero pronta e gli uomini sembravano non chiedermi altro, e i miei figli mi avrebbero trattenuta dal vivere libera come zia Terremoto, dal chiudere gli occhi e respirare il bosco e non pensare a nient’altro, dal cercare il sole vicino alle cime del Monte Scuro e del Curcio, dal bagnarmi nei laghi se mi andava, dal perdermi per le pietraie e i sentieri. Dal salvarmi dallo sfacelo del mondo e del Regno».

Maria deve rimboccarsi le maniche, lavorare, non può studiare, conosce l’amore e le sue contraddizioni e violenze. Incontra Pietro Monaco, un ragazzo dall’indole rivoluzionaria, che sogna la libertà e un mondo diverso da quello in cui è costretto a spaccarsi la schiena. Si innamorano e Pietro vuole sposarla, ma dovranno rimandare perché il ragazzo è chiamato a Napoli per la leva militare nell’esercito dei Borbone. Lì il giovane Monaco conosce diversi rivoluzionari, tra cui Carlo Pisacane, con il quale deve prendere parte a una missione e ne parla a Maria in una delle sue fugaci licenze. Ma lei è una ragazza realista e concreta, intravede prima di Pietro i limiti di quella battaglia patriottica: «Mi faceva paura, non avevo mai visto i suoi occhi accendersi di tanta esaltazione, non l’avevo mai visto avvampare per le sue stesse parole. Lo ascoltavo, ma non ho creduto a niente; come diceva papà, le cose da noi non sarebbero cambiate mai. La mia stessa vita, chiusa in quella stanza a tessere, lo dimostrava». Il 28 giugno 1857 Pietro partecipa alla tragica spedizione di Sapri, nel Cilento, restando miracolosamente vivo mentre gli amici muoiono. Torna, scosso, da Maria e la sposa, visibilmente deperito nel corpo ma non negli ideali: sull’onda della sua ammirazione per Garibaldi, si arruola al seguito dell’esercito piemontese. Ma le promesse fatte non saranno mantenute e i giovani che avevano combattuto al fianco dell’”eroe dei due mondi” verranno ricercati e perseguitati dall’esercito piemontese. Pietro e i suoi compagni si nasconderanno nelle montagne della Sila, dove Maria lo raggiungerà per cominciare la loro vita da briganti. Sui monti Maria diventa la brigantessa Ciccilla, l’unica donna della nostra storia che arriva a guidare una banda di briganti.

La vicenda di Maria Oliverio viene ricostruita dall’autore dopo un attento studio dei documenti degli archivi, in una perfetta e armonica coesistenza tra romanzo e realtà. In Italiana scorri le pagine e ti riscopri a rincorrere Maria, corri nei boschi della Sila, corri tra le montagne, corri pagina dopo pagina dietro l’afflato di libertà che animano Ciccilla e la banda del marito Pietro Monaco, quasi immaginandoli sventolare il tricolore come simbolo di libertà e di uguaglianza, quella stessa uguaglianza formale e sostanziale che verrà sancita dalla Costituzione cento anni dopo. E scopri che la Storia di morantiana memoria non è stata ancora raccontata nella sua interezza e secondo punti di vista più ampi: la Storia che spesso conosciamo e studiamo è la Storia dei vincitori, mai quella dei vinti e vinte. Uno dei tanti meriti di questo libro è proprio quello di farci ascoltare la voce di una donna umile, un’ultima della società, che apparentemente perde, ma apre strade che ancora oggi hanno bisogno di essere battute. Lo stesso Catozzella, in occasione dell’uscita del libro, ha dichiarato: «È la storia di una donna che trova dentro di sé il coraggio per liberarsi […] Mia nonna in più occasioni mi ha raccontato le vicende di questa ava che insieme a suo marito aveva combattuto nella guerra civile italiana, come brigantessa. Sono storie a cui ho cominciato a interessarmi sin da piccolo e che poi, pian piano, ho studiato sempre di più. E ho scoperto che riguarda noi tutti, il passato di noi italiani, il rapporto mai risolto veramente tra il Nord e il Sud, ce lo portiamo dentro e dietro, è una delle tare del nostro Paese» (intervista del 12/02/21 per Mondadori, reperibile al link https://www.youtube.com/watch?v=KT4ykRQtOdQ).
La nostra storia nazionale e il processo che ha portato all’unificazione del 1861 hanno lati oscuri che non ci permettono, ancora oggi, di indentificarci in una tradizione epica comune e in sentimenti patriottici univoci, come avviene per altri Paesi. Mi ritornano alla mente le parole dello storico Paolo Viola: «Ma la grande tragedia della guerra civile fu vissuta nel mezzogiorno continentale, fra Calabria, Basilicata e Campania: là dove sessant’anni prima si era reclutato l’esercito “sanfedista” che aveva abbattuto la “Repubblica partenopea”. Intere popolazioni contadine presero le armi contro lo Stato unitario. Con una definizione riduttiva, questa insurrezione fu definita “brigantaggio”. Ma richiese l’intervento massiccio dell’esercito e si concluse dopo anni con un bilancio di migliaia e migliaia di morti e province intere devastate. […] il nuovo Stato nasceva con un’eredità di lacerazioni estremamente profonde. Il tempo avrebbe sanato molto lentamente e solo in piccola parte questi gravissimi squilibri» (Paolo Viola, Storia moderna e contemporanea. L’Ottocento, volume terzo, Einaudi, Torino, 2000, p. 152). L’insurrezione ha implicato l’uso della violenza, come tutte le rivoluzioni: a chi grida allo scandalo ancora oggi, la storia di Maria Oliverio ricorda che la violenza genera sempre altra violenza e nel popolo oppresso non nasce mai spontaneamente dal nulla.
Per chi è nato nel Sud del nostro Paese, leggere Italiana significa fare un viaggio alla riscoperta delle radici di quella «faglia tra Nord e Sud» di cui noi, emigrati al Nord, siamo «esito». Leggere Italiana aiuta a trovare quel senso di comune appartenenza a un destino che, a distanza di un secolo e mezzo, per noi non si è ancora pienamente compiuto ma che è chiaramente delineato nella Costituzione.

Pillola di bellezza ri-costituente
Giugno 2024: in Parlamento si discute la Legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Le opposizioni dai loro banchi sventolano le bandiere tricolore in nome dell’unità del paese, minata da una legge che è stata già soprannominata Spacca Italia.
Novembre 2024: la Corte Costituzionale boccia l’impianto della Legge Calderoli (https://www.ilsole24ore.com/art/consulta-illegittime-alcune-disposizioni-legge-sull-autonomia-differenziata-AG207u8). Uno degli aspetti più critici rilevati dalla Corte riguarda la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ovvero l’insieme di servizi fondamentali — dalla sanità all’istruzione, dal welfare ai trasporti — che lo Stato deve garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La legge Calderoli prevedeva che questi livelli venissero definiti dal governo attraverso una delega legislativa, ma secondo la Corte questa delega è stata conferita «senza idonei criteri direttivi», finendo così per svuotare «il ruolo costituzionale del parlamento». I giudici hanno anche bocciato il sistema che permetterebbe di aggiornare i Lep attraverso un decreto del presidente del Consiglio, disposizione che darebbe all’esecutivo un potere eccessivo su una materia delicata per i diritti dei cittadini e delle cittadine.
Sventoliamo più che mai il tricolore della speranza.
Viva il tricolore, Viva la Repubblica, Viva l’Italia una e antifascista!
Noi siamo da secoli
calpesti, derisi
perché non siam Popolo,
perché siam divisi:
raccolgaci un’unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
***
Articolo di Valeria Pilone

Già collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione.
