«È cosa più maravigliosa, una figliuola, chiamata Diana, intaglia anch’ella tanto bene, che è cosa maravigliosa, et io che ho veduto lei, che è molto gentile e graziosa fanciulla, e l’opere sue che sono bellissime, ne sono restato stupefatto».

Se ci potesse essere una scala per misurare l’importanza di un’artista cinquecentesca, l’essere citata nell’edizione Giuntina delle Vite di Giorgio Vasari avrebbe un peso non indifferente e per Diana Mantuana o Mantovana “è cosa maravigliosa” esserci. Nella citazione precedente, la protagonista di questa biografia è per Vasari innanzitutto “molto gentile e graziosa fanciulla”, mentre, ad esempio, per Michelangelo l’artista e critico d’arte aretino non parla dell’aspetto fisico, ma ne descrive i meriti in campo artistico: per una donna, invece, il primo elemento di giudizio resta l’aspetto e poi eventualmente il merito per il proprio lavoro. Se l’occhio vuole la sua parte, in un’ottica di parità, ciò dovrebbe valere per tutti i generi e non solo per quello femminile. Vasari è però figlio della sua epoca, a cui si adatta senza neppure porsi il problema; va comunque riconosciuto il fatto di aver inserito, nelle sue Vite, Diana Mantuana, artista in grado di realizzare opere pregiate mediante l’incisione, nonostante per le donne dell’epoca fossero previste una serie di limitazioni, che potevano comprometterne la carriera.

Come vedremo, le restrizioni imposte in quanto donna le offrirono meno possibilità di emergere rispetto a quelle di un incisore del tempo, come il fratello Adamo, ad esempio. Andiamo però con ordine e cominciamo a raccontare la storia di quest’artista partendo dal suo nome. Diana Mantuana, nome utilizzato per firmare le opere, è conosciuta anche con gli appellativi Scultori e Ghisi. Il primo proviene dal padre, conosciuto come Giovan Battista Scultori per la professione esercitata; il secondo, invece, cioè Ghisi, è un errore in quanto in passato si era ritenuto che Diana avesse legami di parentela con tale Giorgio Ghisi, un incisore mantovano che era solito farsi chiamare Mantovano. Figlia d’arte di Giovan Battista Scultori, originario di Verona, e di Osanna da Acquanegra, nata nel 1547, Diana aveva assaporato il gusto dell’arte nella bottega del padre, a Mantova, dove era diventata sua apprendista. Secondo alcune ricostruzioni, l’uomo si era trasferito in quella città, diventando allievo di Giulio Romano e collaborando con lui nel cantiere di Palazzo Te per il quale aveva realizzato degli stucchi. Lo stesso Vasari definì «nuova e stravagante maniera» quella inaugurata da Giulio Romano a Mantova, contribuendo a delineare i caratteri di un nuovo modo di fare arte che, nei secoli XVII e XVIII, avrebbe assunto un’accezione negativa con il nome di Manierismo. Questa corrente artistica era connotata in ambito architettonico da un linguaggio più appariscente e articolato tendente al riutilizzo, in modo non ortodosso, degli elementi della tradizione classica mediante l’arricchimento degli elementi decorativi; in ambito scultoreo i corpi divennero più longilinei e si volle conferire loro maggiore dinamicità mediante il movimento; in ambito pittorico scomparvero la prospettiva centrale e l’ambientazione architettonica classicheggiante a favore di composizioni più libere e collocate in ambienti naturalistici; vennero, inoltre, introdotte nuove tonalità di colore come il rosa e il viola e la luce fu utilizzata sia per conferire tridimensionalità all’opera, sia per accentuarne i caratteri drammatici. Per quanto riguarda i soggetti, si riproposero quelli rinascimentali: scene sacre, scene mitologiche e ritratti in cui però al mezzobusto e alla posa di lato vennero preferite porzioni più ampie di corpo circondato di solito da sfondi cupi. Diana Mantuana viene considerata un’artista manierista proprio perché si formò in uno dei centri in cui tale corrente artistica ebbe successo, cioè la Mantova dei Gonzaga; inoltre, si cimentò in una tecnica che si era diffusa in Italia proprio tra Cinquecento e Seicento: l’incisione calcografica. Vasari stesso scrive che i figli di Giovan Battista Scultori divennero abili nella tecnica dell’incisione su lastre di rame utilizzando il bulino. Luogo e data di nascita dell’incisione calcografica italiana sono difficili da stabilire; è sempre Vasari a fornire informazioni fondamentali in merito, narrando che, intorno al 1450, gli orafi fiorentini realizzarono placche d’argento incise per la decorazione di vari oggetti. Pertanto, possiamo dire che la tecnica, di cui Diana Mantuana sarebbe diventata un’abile esecutrice, nacque nelle botteghe orafe di Firenze, venne successivamente trasferita in ambito artistico, indipendentemente dalla diffusione in Germania, dove emerge il lavoro di Dürer. A essere impiegato c’era sempre il bulino, strumento molto difficile da maneggiare per via dell’impugnatura necessaria tra indice e pollice, e che richiedeva pratica e precisione continue per poter sviluppare un segno pulito e funzionale all’immagine che si voleva creare. Le incisioni di Diana Mantuana sono perlopiù e realizzate proprio con il bulino e la medaglia di rame, qui sotto riportata e incisa con il suo volto, presenta sul retro l’immagine di questo strumento.
Nella bottega mantovana del padre, posta in contrada dell’Unicorno, Diana ricevette da lui lezioni private, durante le quali acquisì le nozioni fondamentali del disegno e dell’incisione: con il Rinascimento, si ebbe, infatti, un incremento del numero di donne che si accostavano alle arti grafiche, pur con una serie di limitazioni: era precluso loro lo studio dal vivo del corpo umano e, in merito al disegno, venivano impartite solo nozioni basilari, limitando notevolmente la possibilità di sviluppare un tratto deciso e un proprio stile; infine, nel caso dell’incisione, le artiste erano indirizzate alla produzione di traduzione, cioè all’imitazione di opere altrui. Il principale artista presente nelle incisioni di Diana Mantuana fu Giulio Romano come testimoniato dall’opera che segue e che raffigura Latona nell’atto di partorire i gemelli divini Apollo e Diana sull’isola di Delo. Confrontando l’incisione con il quadro da cui è tratta, si possono individuare delle variazioni relative allo sfondo dove l’incisora era solita modificare il paesaggio naturale originale.


Oltre ai soggetti mitologici, Diana si dedicò anche a quelli sacri, trasferendo le opere di grandi artisti come nel caso dell’incisione che segue, sempre a bulino, in cui utilizzò La consegna delle chiavi di Raffaello Sanzio, reinterpretando liberamente lo sfondo.


Un altro settore di grande interesse per l’incisora e per lei fonte di ispirazione furono le opere di statuaria antica che ebbe modo di studiare quando si trasferì a Roma. Qui sotto abbiamo un esempio raffigurante Ercole con le mele d’oro.

Come detto in precedenza, alla fase artistica mantovana, seguì quella romana; il trasferimento fu dovuto probabilmente al matrimonio contratto nel 1567 con Francesco da Volterra (detto anche Francesco Cipriani), un architetto che lavorava per la potentissima famiglia romana dei Caetani e che ottenne, nel 1579, la cittadinanza di Volterra; questo giustifica la presenza della firma Diana Mantuana civis volterrana in alcune opere a partire dagli anni Ottanta. A Roma, Diana Mantuana raggiunse la maturità artistica e le sue incisioni ottennero importanti consensi che le permisero di avvicinarsi alla corte papale e di ottenere, il 5 giugno 1575, da parte del papa Gregorio XIII, il privilegio di firmare le proprie lastre, detenendone quindi la proprietà intellettuale e materiale, e di distribuire in modo esclusivo per 10 anni le proprie incisioni: Diana Mantuana fu la prima artista nella storia dell’arte femminile italiana a cui venne concessa questa possibilità.
Già da ciò, si deduce quanto l’incisora avesse compreso l’importanza di tutelare il proprio lavoro affinché potesse fruttarle il necessario per vivere, non avendo altre entrate che la propria attività e le commesse del marito, anch’esse legate alla capacità di far apprezzare e pubblicizzarne l’opera. Pure nell’ambito della visibilità di Francesco, Diana si dimostrò molto abile incidendo e diffondendo i disegni architettonici del marito che, grazie a ciò, vide un aumento di incarichi. La coppia risiedeva in via Della Scrofa ed ebbe un figlio nel 1577 a cui venne dato il nome del nonno materno: Giovanni Battista.
Da non dimenticare nell’aprile del 1580, l’ingresso nell’Accademia dei virtuosi del Pantheon a cui fu consentito l’accesso alle artiste, ma sempre con restrizioni: il ruolo delle donne era limitato, infatti, ad attività sociali ed era permesso loro di esporre solo nel giorno di san Giuseppe. Nonostante alle artiste del tempo fossero imposte limitazioni sia nella formazione che nell’esercizio della propria attività, Diana Mantuana seppe sfruttare il proprio talento per far diventare l’incisione una professione, anche femminile, riconosciuta attraverso la tutela della proprietà intellettuale e la vendita in esclusiva delle opere.
Uno dei lavori più interessanti di quest’artista è, a mio giudizio, il Lunario, un almanacco inciso, realizzato in collaborazione con il primo marito e che è unico nella sua produzione.

Le ultime incisioni di Diana Mantuana risalgono al 1588, non conosciamo tuttavia i motivi della sospensione dell’attività artistica; alcuni critici hanno pensato a una grave forma di artrosi, ma altri non condividono quest’ipotesi dal momento che lavori come La visitazione del 1588 presentano tratti ancora molto decisi e ciò rende improbabile una malattia degenerativa come l’artrosi.

Probabilmente smise di incidere per il raggiunto benessere economico del marito, morto nel 1594; due anni dopo Diana sposò un altro architetto, Giulio Pelosi, con cui si trasferì in via del Corso. La morte la colse il 5 aprile 1612.
Un ringraziamento speciale per la preziosa consulenza alla Prof.ssa Elena Amoriello, docente di Discipline pittoriche presso il Liceo Artistico “Callisto Piazza” di Lodi, anch’essa incisora e responsabile del laboratorio calcografico del medesimo Istituto in cui insegna e tramanda questa forma d’arte preziosa e antica.
Qui la traduzione in francese.
***
Articolo di Alice Vernaghi

Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.
