La ricamatrice Maria, forse badessa di sicuro artista

Il termine ricamo deriva dall’arabo raqam, ossia disegno, segno; si realizzava con il lavoro ad ago, impiegando filati di seta, di cotone, di lino, fili d’oro e d’argento, talvolta inserendo pietre preziose e perle. Il genere artistico del ricamo è stata un’espressione in cui le donne hanno avuto un posto significativo fin dai secoli più antichi, grazie al loro tradizionale legame con i mestieri della filatura e della tessitura e al fatto che la perizia nel ricamare è stata a lungo considerata un tratto fondante dell’educazione e della formazione femminile.

Francesco Del Cossa, Il Trionfo di Minerva, part., 1468-1470, affresco, Ferrara, Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi

Dalla creatività, dall’abilità e dalla pazienza di numerose donne sono nati bellissimi e delicati ricami, straordinarie opere d’arte che spesso servivano a impreziosire gli arredi ecclesiastici e i paramenti sacri dei prelati. Moltissime di queste artiste — perché così dobbiamo considerarle — sono però rimaste nascoste nelle pieghe del tempo trascorso e poche sono riuscite a vincere il buio dell’anonimato. Il loro contributo allo sviluppo della storia dell’arte non è facilmente ricostruibile perché molti dei manufatti sono andati perduti, opere troppo fragili e soggette all’usura dei secoli, più delle pagine miniate di un manoscritto. Alcuni nomi sono però giunti fino a noi e uno di questi è quello di Maria, abile ricamatrice vissuta in Catalogna nel X secolo, che con l’ago ha scritto il proprio nome sull’orlo della Stola di San Narciso, conservata nella chiesa di San Feliu a Girona.

Maria, La Stola di San Narciso, part., X secolo

Un atto forte e determinato il suo, nel quale si può leggere tutta la consapevolezza di sé e la fierezza per il lavoro svolto; un gesto audace per l’epoca, capace di sfidare il tempo e i limiti della propria condizione femminile, di porla tra le prime protagoniste nella genealogia dell’arte tessile dell’Europa occidentale.

Girona, La chiesa di San Feliu

Le ricamatrici più abili sono state molto spesso donne aristocratiche o monache, quest’ultime figlie comunque di famiglie facoltose e di rango che, proprio per l’appartenenza a classi privilegiate, potevano perfezionare ed esprimere il proprio talento restando lontane dalle incombenze quotidiane e dalle necessità della vita familiare. Erano donne benestanti, quando non ricche, la cui raffinata cultura trovava adeguata espressione nei manufatti realizzati.
Anche se Maria ha voluto “firmare” con il suo nome la Stola di San Narciso, su di lei si hanno poche informazioni e più che i riferimenti documentali sono le ipotesi, a volte affascinanti, a prevalere. Una di queste cerca di assegnarle un ruolo di prestigio all’interno della comunità monastica di Santa Maria de les Puelles di Girona, convento probabilmente sorto in seguito al lascito testamentario della viscontessa Riquilda di Narbonne, figlia di Wifredo II conte di Barcellona e di Garsenda, che nel 962 destinò parte dei suoi beni affinché, nel giro di due anni, venisse costruito a Girona un monastero in onore di Santa Maria; trent’anni dopo un suo cugino, il conte Borrell II di Barcellona, con un lascito in favore del convento di Santa Maria de les Puelles, attestò che la comunità monastica era effettivamente sorta. La storia del monastero femminile non durò molto, già conclusa nel secondo decennio del secolo successivo. Un segno però è restato ed è particolarmente intrigante: una lastra sepolcrale, risalente al X secolo, in cui si ricorda la badessa Maria «di venerabile ricordo, che si è impegnata ogni giorno della sua vita in sante opere e nei comandamenti; perseverante, assolutamente, nelle elemosine, molto devota alle memorie e orazioni dei santi, conservando con cura estrema la regola del monastero, rimane nella verginità di Dio». Questo fu inciso sulla lastra tombale in ricordo della badessa Maria, devota nella preghiera e solerte nell’aiuto al prossimo, pia e consacrata per la vita a Dio. E se la badessa e l’abile maestra del ricamo della Stola di San Narciso fossero la stessa persona? L’ipotesi non ha trovato fino a oggi conferme certe, ma neanche decise smentite.
Maria era valente nel ricamo, tanto da essere definita la “brodadora exquisida” (la squisita ricamatrice), ed era anche una donna colta: infatti sulla Stola di San Narciso, recuperata nel 1936 all’interno del sarcofago del Santo, compaiono sia un frammento appartenente alle Laudi, intonate nelle cerimonie di incoronazione dei sovrani carolingi, che la benedizione episcopale impartita al termine di una funzione sacra; oltre al nome, sull’orlo della stola si legge la frase: «… amice, Maria me fecit; qui ista stola portaverit super se ora pro me si Deum abead a[tiutorem] (amico, Maria mi fece, chi porterà questa stola su di sé, interceda per me affinché Dio mi aiuti)». La formula “Maria me fecit”, tradizionalmente utilizzata per indicare un atto artistico e creativo, apre all’interessante ipotesi che la “brodadora exquisida” non abbia solo concepito la stola ma abbia anche patrocinato la sua realizzazione, esprimendo attraverso di essa un’offerta sacra e spirituale a Dio. Se i ricami erano considerati utili strumenti per l’espressione della fede e la comunicazione di essa verso le comunità religiose e il mondo dei/delle fedeli, allora la badessa Maria va considerata come una figura ben più complessa della semplice esecutrice di un’opera.

Le parti che compongono la Stola di San Narciso, X secolo, Girona, Chiesa di San Feliu

La stola è formata da tre pezzi di stoffa bianca contornati da bordi con iscrizioni bianche su sfondo rosso.

La raffigurazione di Maria, X secolo

Nella parte centrale della fascia più estesa è collocata la raffigurazione a ricamo della Madonna in posizione frontale, con la veste d’oro e la scritta «Ora pro nobis»; alle estremità di una delle parti corte sono applicati due ricami trapezoidali raffiguranti la scena del martirio di San Lorenzo e del battesimo di Cristo, immagini caratterizzate dall’uso di colori vividi.

Il martirio di San Lorenzo, X secolo

Il lino e la seta sono i tessuti prevalenti della stola, i cui ricami sono stati eseguiti con filo bianco, rosso, blu e oro su taffetà di lino bianco.

Il battesimo di Cristo nel fiume Giordano, X sec.

Un lavoro di grande perizia e pazienza quello della “brodadora exquisida” Maria e, come quello di tantissime altre ricamatrici rimaste anonime, eseguito nel silenzio delle mura conventuali, con le spalle e il capo chini sul telaio che teneva ferma e distesa la stoffa; il gesto di infilare l’ago e tirare il filo, ripetuto migliaia di volte, avveniva al baluginio delle candele o alla poca luce proveniente da piccole finestre, con gli occhi ben fissi sul proprio lavoro, attenti a dar forma e colore all’inesprimibile, all’intangibile, al divino. Un’orazione intensa e profonda fatta di piccoli punti.

Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese.

***

Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

Lascia un commento