Dura poco la Belle Époque, una quarantina di anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, ma è un periodo euforico, caratterizzato da ottimismo e fiducia nel progresso: fioriscono le arti, l’industria è in espansione, le automobili, i treni, i transatlantici riducono le distanze tra popoli. Eccezionali scoperte scientifiche, come l’elettricità, le comunicazioni radio, la chimica e la medicina, migliorano la qualità della vita. La fotografia, il cinema, il ballo e lo sport offrono svago e divertimento per tutti. Le città si illuminano, si arricchiscono di stazioni, teatri, biblioteche, sedi espositive. Nascono le moderne capitali. L’umanità sembra avviarsi verso un futuro di pace e prosperità, che attende però solo la trionfante borghesia, mentre permane la disuguaglianza rispetto alla miseria dei lavoratori delle città e delle campagne. Poi la prima guerra mondiale spazzerà via tutto.
Parigi è in questo periodo un modello di civiltà, il centro dell’arte contemporanea, meta agognata da tutti gli artisti del tempo, per i quali la capitale francese è un traguardo importante e necessario alla loro formazione, un’occasione imperdibile per conoscere dal vivo le ultime conquiste dell’arte, farsi conoscere e avere successo.
Già l’urbanista Haussmann, tra il 1852 e il 1870, aveva trasformato Parigi e l’aveva modernizzata, operando lo sventramento del centro storico per la realizzazione dei grandi boulevard, illuminati di giorno e di notte. E Gustave Eiffel, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889, aveva innalzato la Torre che prende il suo nome.
Nella stimolante e moderna capitale francese accorsero molti pittori, anche una folta schiera di italiani che nelle loro opere immortalarono le affollate piazze parigine, i lunghissimi boulevard, gli eleganti interni borghesi, i frequentatissimi ritrovi della società, caffè, teatri, cabaret. I cosiddetti “Italiani di Parigi”, termine coniato dal critico Diego Martelli, seppero rappresentare la vita quotidiana parigina con uno stile inconfondibile, catturandola nei momenti più autentici, creando quel genere che viene definito tranche de vie. Nel Café de la Nouvelle Athènes (1885), di Zandomeneghi, il pittore si ritrae in compagnia della pittrice Suzanne Valadon in un colloquio che si intuisce alla pari.


Una mostra a Brescia, aperta dal 25 gennaio fino al 15 giugno 2025, a Palazzo Martinengo, in occasione del decimo anniversario dell’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, celebra questo periodo, questa età dell’oro, e in particolare presenta al pubblico i capolavori che gli italiani Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Corcos e Mancini eseguirono durante gli anni trascorsi a Parigi.
Il percorso espositivo è articolato in nove sezioni e ospita oltre cento opere, per lo più provenienti da collezioni private, raramente accessibili, e da importanti istituzioni museali quali le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Museo Giovanni Boldini di Ferrara e il Museo Civico di Palazzo Te di Mantova.

Come sempre l’arte è specchio della società e questi pittori seppero interpretare l’eleganza e la raffinatezza della vita parigina del tempo; la donna è figura centrale di questa pittura, ritratta in momenti di intimità, mentre a casa è intenta magari a suonare il piano o immersa nella lettura, ma anche nella sua vita sociale, quando passeggia negli Champs-Élysées, o nei Giardini del Lussemburgo, o si svaga nei cabaret, come Le Chat Noir e il Moulin Rouge, o nei teatri sempre gremiti di spettatori.


La Belle Époque può essere considerata davvero l’età delle donne, la loro presenza si fa più forte sulla scena letteraria, ma anche politica e scientifica: si impongono regine, dive, attrici, ballerine, ma anche scienziate, scrittrici. Sensuali, raffinate ed eleganti, sono muse e protagoniste indiscusse in ambito artistico e nella vita reale.
Vissute da sempre relegate nelle case, vestite di abiti pesanti e coprenti, si emancipano, rompono le barriere che le avevano sempre confinate al margine della società, frequentano i locali, negli atelier di sarti e case di moda si fanno confezionare abiti su misura e trovano accessori quali cappelli, guanti, tessuti e gioielli. Sono donne potenti, ricchissime, influenti in ambito sociale e pubblicitario e incarnano la figura della donna fatale.
Tra i capolavori in esposizione a Brescia spiccano il celebre Ritratto di signora in bianco (1902) di Boldini, una delle icone della pittura dell’epoca; Accanto al laghetto dei giardini del Lussemburgo (1875) di De Nittis, che cattura un momento di quiete nella frenesia della città; e Ragazza che raccoglie fiori (1909) di Zandomeneghi, un’ambientazione campestre che sa di semplicità.

La selezione comprende anche una collezione di eleganti abiti femminili, realizzati dai più rinomati sarti parigini, nelle Maisons di Haute Couture più raffinate, che divennero luoghi di ritrovo esclusivi dell’alta società. Nella moda femminile della Belle époque il corpo della donna si libera da capi costrittivi, primo tra tutti il busto, le forme si fanno flessuose, morbide. Gradualmente scomparvero anche il sellino, ossia il cuscinetto imbottito fissato sotto le gonne per rialzarne il drappeggio, lo strascico e il colletto alto, comparve il tailleur, e con l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro l’abbigliamento diventò necessariamente più pratico. C’erano abiti per tutte le occasioni, da giorno, da pomeriggio, da sera, per il teatro, per le corse dei cavalli, per la gita in automobile, per cerimonie, per i balli, ecc. Le gonne erano morbide sui fianchi, svasate, lunghe, ma si diffusero anche gonne più corte e più pratiche, le camicette erano spesso ornate di pizzi e ricami. Per il giorno si preferivano tessuti di lino, velluto o lana. Per la sera gli abiti erano senza maniche, realizzati con tessuti di seta, pizzo o chiffon, e presentavano ampie scollature e ricche decorazioni di paillettes e perline. I cappelli erano provvisti di tese ampie e ornati da guarnizioni fantasiose, come nastri, piume di struzzo, divenendo un accessorio di grande importanza, simbolo di prestigio e ricchezza. Non mancavano guanti, ombrellini e bastoni da passeggio. Verso il 1905 vennero proposti i primi abiti per automobile, dal taglio dritto con gonne corte fino alla caviglia, in modo da lasciare in vista le calzature.


La donna, seducente e raffinata, è sempre presente anche nei coloratissimi manifesti pubblicitari, le cosiddette affiches, che pubblicizzavano i locali alla moda, cabaret, café chantant, spettacoli teatrali, grandi magazzini e atelier di moda, disegnati da insigni illustratori.
I cinque giovanissimi pittori italiani della mostra lavorano in questa atmosfera stimolante. Giuseppe De Nittis ritrae en plein air i parchi e i giardini di Parigi. Non mancano le splendide tele dedicate all’amata moglie Leontine, come Léontine in barca (1875).

Giovanni Boldini giunge a Parigi nel 1871 con un bagaglio di esperienza maturata nel gruppo dei macchiaioli. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, trova una propria strada autonoma, un suo stile nervoso e sensuale.
A rendere universalmente noto ed amato Boldini resta la carriera ritrattistica: le donne, protagoniste indiscusse della Belle Époque, trovano in Boldini un interprete d’eccezione, capace di raccontare la femminilità ritrovata. Donne alla toeletta, donne che danzano o si adagiano languide su morbidi divani, donne dai vitini di vespa, in vaporose mise di chiffon. Donne dalle forme armoniose e sinuose, avvolte in sete morbide e increspate. E Boldini regala loro una leggerezza innaturale, ne rifinisce i fianchi, assottiglia i colli, gonfia le labbra, così da assecondare le sue ricche clienti. Ne sono un esempio in mostra, tra gli altri, gli splendidi ritratti di Miss Bell (1903), La passeggiata al Bois de Boulogne (1909) e il Ritratto della principessa Radziwill (1910).


Anche il veneziano Federico Zandomeneghi arriva a Parigi nel 1874, dopo esperienze macchiaiole e, appassionato di pittura di paesaggio en plein air, trasforma il rigore costruttivo dei Macchiaioli e lo arricchisce di colore e di luce di ascendenza veneta. In mostra straordinari capolavori come Place du Tetre (1880), che raffigura la celebre piazza all’interno del quartiere di Montmatre, nei pressi della basilica del Sacro Cuore, luogo amato da artisti, da musicisti e poeti, e Il tè (1892) dove tre donne, consapevoli della loro libertà, chiacchierano amichevolmente.


Anche Vittorio Corcos, ritrattista della “Parigi bene”, soprannominato peintre des jolies femmes, si dedica a ritratti femminili, a scene di vita quotidiana con colori brillanti e pennellate raffinate. È presente nella mostra con alcuni dei suoi capolavori più famosi: Le istitutrici ai Campi Elisi (1892), Neron Blessé (1899), Messaggio d’amore (1889).

Completano l’esposizione bresciana i vetri artistici di Emile Gallé e dei fratelli Daum, realizzati con tecniche raffinate come incisioni, dorature e smalti che adornavano le abitazioni della borghesia parigina e testimoniano l’opulenza, il gusto raffinato dell’epoca e l’eccellenza del design.
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L’articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
