Finalista al Premio Campiello 2024, il romanzo Alma (Feltrinelli, 2024) ha conquistato la giuria dei trecento lettori (e lettrici) anonimi che con 101 voti ha consegnato a Federica Manzon (classe 1981) il premio tanto ambito, unica donna nella cinquina. La scrittrice è nata a Pordenone; laureata in Filosofia e direttrice editoriale, vive tra Milano e Trieste. In un’intervista così esordisce: «Vorrei dedicare questo libro, che è nato sul confine, a tutte quelle persone che oggi lo stanno attraversando sognando un presente prima ancora che un futuro. Vincere il Campiello è un’emozione enorme perché è Venezia, è il Nordest e soprattutto perché questo libro parla di questo territorio e di radici che non hanno confini».
Alma parla della guerra e tutte le guerre sono tragicamente simili ma insieme è un’opera che guarda al futuro, un futuro pieno di speranze e di superamento dei confini. Gli ultimi vent’anni del nuovo millennio sono stati insanguinati da conflitti di natura etnica e religiosa. La politica pare non trovare una soluzione. Manzon qui affronta il tema della guerra dei Balcani, mai raccontata in modo così preciso. Una guerra per i confini, le lingue parlate, le religioni, le culture differenti.
La protagonista si chiama Alma, una giornalista che ora vive a Roma. Torna a Trieste dove è nata e da dove è scappata trent’anni fa. Ha ricevuto una lettera con le volontà di suo padre, un’eredità in sospeso per lei, un lascito che è Vili a custodire. Rimarrà nella città solo tre giorni, in occasione della pasqua ortodossa. Il romanzo potrebbe sembrare un’autobiografia ma scopriremo che è molto di più. Questo ritorno a Trieste la costringe infatti a fare i conti con il passato. Alma racconta la propria vita utilizzando la storia con la esse maiuscola per rendere più coinvolgente il suo percorso, la sua storia personale. Racconta della lacerazione della Jugoslavia, un conflitto dimenticato, la guerra dei Balcani, della prima metà degli anni Novanta. Una guerra che parte da lontano e che guarda lontano, ai conflitti di oggi.
«La geografia ha sempre la meglio sulla Storia, il ritornello della sua infanzia. Lui aveva detto qualcosa di incoraggiante, e così lei aveva spiegato che nascere sulla sponda di un grande fiume o in una città affacciata sul mare aperto oppure in uno di quei villaggi sul confine, essere nati a ovest o a est d’Europa ci incatena a un carattere, decide in anticipo chi siamo e l’impressione che faremo sugli altri, aveva detto con convinzione» (pag. 91). Il racconto di Alma comincia proprio da una città di confine, Trieste. La sua è una famiglia particolare: la madre ha ricevuto un’educazione asburgica da cui ha cercato di sottrarsi; il padre invece viene “di là” oltre il confine, figlio del vento viene e va nascondendo molti segreti. Alma bambina è legata a suo padre da un interesse profondo. È con lui che fa le cose più affascinanti. Per esempio va sull’isola di Brioni, in territorio istriano dove passa le vacanze il maresciallo Tito. Più tardi viene a sapere che il padre è molto vicino al “maresciallo Tito”, scrive e riordina i suoi comizi per la stampa internazionale. Anche la madre però fa la sua rivoluzione: lavora con Basaglia, il “dottore dei matti”, per aprire i manicomi. Trieste, città sul mare aperto, sarà la sede adatta al grande esperimento. Alma cresce con due genitori impegnativi, ma pure i nonni materni sono importanti anche se diversi i mondi di appartenenza e le ideologie. A dieci anni la bambina incontrerà Vili, il serbo. Suo padre lo porta a vivere nella loro famiglia per metterlo in salvo perché i genitori sono caduti in disgrazia al regime comunista. Il ragazzino indossa pantaloni della tuta e maglia della Stella Rossa di Belgrado, ha dieci anni come lei. Segnerà un cambiamento profondo nella sua vita. Più tardi dirà: «L’avrebbe amato lo stesso se non fosse stato l’esiliato del Danubio?» (pag. 120). Quando Alma diventa grande cerca di capire. Legge molto come ha visto fare ai suoi genitori.
La guerra ci viene raccontata attraverso gli spostamenti del padre, gli arrivi improvvisi di notte, le partenze silenziose. Il suo correre di qua a vedere come sta la famiglia e tornare di là dove avvengono grandi cambiamenti epocali. Tutto sta traballando. Dove sono finiti i matrimoni misti di Vukavar? Anche lo slogan “Bratstvo i Jedinstvo”, che ha fatto sognare il popolo slavo e non solo, pare che non abbia retto alla piena. Il libro ci dà informazioni importanti su un mondo che è difficile raccontare. «Tutte le guerre iniziano in una Krajina, diceva suo padre…» (pag.144). Ancora il confine, quindi come sempre in tutte le guerre. Quando Alma va a vivere a Roma si sente una sradicata. È una giornalista affermata ma segnata da un livello di consapevolezza dolorosa. «La guerra era scivolata via in fretta dalla coscienza… adesso però la guerra è tornata in Europa, se ne sono tutti stupiti: come se le paci fossero tutte giuste e i confini immobili».
La scrittura coinvolgente passa dalla poesia al documento politico. Si sente che Federica Manzon conosce bene quei luoghi, li ha frequentati sicuramente, conosce bene anche la cultura dei Balcani, certo non ha bisogno di consultare una cartina per sapere dove è il Kosovo. Solo chi nasce e cresce su un confine ha gli strumenti per indagare l’altrove. Può sembrare un proclama ma non lo è per la scrittrice. Manzon lo fa con grande maestria, senza nominare mai i luoghi reali. La città, l’isola, la capitale sono simboli di un viaggio intimo. Quando chiudi il libro ti rimane il desiderio di visitarli quei luoghi, per esempio di vedere come si vive a Belgrado ora. Hai voglia di ritrovare il Blocco 12, le case popolari del periodo socialista, di ascoltare la musica gitana in un locale del centro e di bere magari un bicchierino di rakija. Insomma cercare quello che resta. Forse sotto il ponte della Sava potrai trovare i graffiti con la bandiera della federazione e la stella rossa. Chissà.

Federica Manzon
Alma
Feltrinelli, Milano, 2024
pp. 272
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Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.
