Francesca Bresciani, tagliatrice di lapislazzuli

Il talento delle donne è entrato anche nella costruzione della grande Basilica di San Pietro in Vaticano. Fino a non molto tempo fa si conoscevano pochissimi nomi di artiste attive nella corte pontificia, prima fra tutte Lavinia Fontana, nominata Pontificia Pittrice durante il papato di Clemente VIII.

Lavinia Fontana, Autoritratto nello studio, 1579, olio su rame, Firenze, Museo degli Uffizi, Collezione di autoritratti

Studi più recenti, condotti tra i documenti dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, hanno permesso di rintracciare numerose figure femminili attive nella ricostruzione e, successivamente, nel mantenimento dell’edificio vaticano, un lungo percorso storico cominciato all’inizio del XVI secolo. Le realizzazioni di opere e i cantieri che si susseguirono nel tempo furono e rimasero sempre nelle mani degli uomini, ma alcune donne — soprattutto mogli, figlie, sorelle di dipendenti pontifici — hanno accompagnato la storia della basilica. Francesca Bresciani è una delle donne al servizio della Fabbrica di San Pietro ma, nel suo caso, non perché erede dell’attività di un padre o di un marito defunto, ma perché le capacità tecniche e artistiche nella lavorazione delle pietre dure erano ritenute eccelse. Come spesso accade non sono molte le notizie: figlia d’arte, cosa abbastanza frequente, dotata di rara destrezza ed esperienza nella lavorazione del lapislazzuli, venne apprezzata da numerosi prelati e aristocratici della sua epoca; soprattutto seppe farsi valere in un mondo dominato dal “genio” e dalla perizia maschile. A lungo dimenticata nelle ricerche storiche, recenti studi ne hanno messo in luce il valore e il Comune di Roma, nell’ottobre del 2023, le ha dedicato una strada nel XV Municipio.

Il Tabernacolo del Santissimo Sacramento, 1672-1675, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro, Cappella del Santissimo Sacramento

La troviamo attiva nella Fabbrica di San Pietro nel corso della seconda metà del Seicento, impegnata nella realizzazione del Tabernacolo del Santissimo Sacramento, voluto da papa Clemente X e ideato da Gian Lorenzo Bernini in occasione del Giubileo del 1675. Il lavoro sul prezioso arredo sacro, la cui superficie fu rivestita per il 50% da lapislazzuli, si svolse nell’arco di quasi due anni, dal 1672 al 1674; nel 1678 le venne commissionata la decorazione per il Crocifisso d’altare, sempre in lapislazzuli e con parti in bronzo dorato. Francesca Bresciani fu sempre conscia delle proprie qualità artistiche e della sua perizia tecnica: in una supplica del 1672, inviata al monsignor Giannuzzi, economo della Fabbrica di San Pietro, al cardinal nipote Paluzzo Paluzzi Altieri, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, e al cardinale Camillo Massimo, membro della Congregazione della Fabbrica, non ebbe timore a definirsi esperta nell’intaglio e nella lavorazione delle pietre dure, in particolare del lapislazzuli, il cui processo lavorativo è particolarmente delicato e complesso.

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto, 1623, olio su tela, Roma, Galleria Borghese

Pur di ottenere l’incarico per il Tabernacolo, consapevole di saperlo svolgere nel migliore dei modi, ribassò il costo di un terzo rispetto a quanto proposto dai suoi concorrenti, dimostrandosi un’imprenditrice caparbia e determinata. A giudicare e valutare i candidati al lavoro di decorazione fu lo stesso ideatore dell’opera Gian Lorenzo Bernini, il quale «per informazioni prese […] dall’ebanista [Giovanni Perone] che fa il modello del medesimo tabernacolo» decise che «esser megliore la Donna».
Per l’alto valore simbolico del Tabernacolo e il suo legame col Giubileo del 1675, si preferì utilizzare materiale di qualità e purezza estreme, con una colorazione intensa, che proveniva dalle miniere del Sud America e veniva acquistato a Napoli. Nelle mani di Francesca doveva trasformarsi in un prezioso rivestimento ma, nonostante la bravura che le venne sempre riconosciuta, l’intagliatrice non ricevette mai in modo diretto le partite di materiale, evidentemente di valore troppo alto per essere consegnato nelle mani di una donna. Bresciani si trovò di fronte anche altre limitazioni di non poco conto, come quella di non poter firmare le ricevute di pagamento, sottoscritte ogni volta dal marito Gerij Doyson di origine fiamminga e di professione chiavaro, che la affiancò nelle fasi di lavorazione, a cui era concesso mantenere i contatti con la committenza e al quale di volta in volta veniva consegnato il lapislazzuli necessario; Francesca aveva il compito di eseguire l’intaglio, la sagomatura e la preparazione di decine di lastre, la profilatura, l’alloggiamento nelle sedi di metallo, la levigatura e lucidatura a specchio, dirigendo nella bottega una squadra di lavoranti uomini. Per controllare che nelle operazioni di taglio non ci fosse spreco di lapislazzuli, la committenza vaticana le assegnò in affitto un’abitazione nei pressi della Basilica di San Pietro, in Borgo Pio, con due stanze al pian terreno, una cantina e un cortile con vasche e pozzo nella quale fu allestito il laboratorio, furono collocate le strumentazioni e gli attrezzi necessari e dove Francesca Bresciani si recava ogni giorno, lavorando fino a tardi e rientrando di notte a casa sua.

Tabernacolo del Santissimo Sacramento, particolare del rivestimento in lapislazzuli

Il lavoro consisteva nel ridurre in “tavolette” sottili, dello spessore massimo di due millimetri, le lastre di lapislazzuli già tagliate in pezzi dalle maestranze della Fabbrica di San Pietro, quindi incollarle su superfici di lavagna da tre millimetri in modo da ottenere un pezzo unico solido e resistente, ma utilizzando la minor quantità possibile della costosissima pietra. Con la stessa abilità con cui riduceva il lapislazzuli in porzioni sottili due millimetri, Francesca passava poi alla fase di rivestimento, accostando le lastrine una all’altra e cercando di seguire il disegno naturale delle venature per camuffare i punti di congiunzione.

Tabernacolo del Santissimo Sacramento, particolare delle scanalature dei pilastri

Grande meticolosità era necessaria anche per realizzare le scanalature delle colonne e dei pilastri che compongono il colonnato del Tabernacolo e particolarmente complesso fu il taglio “centinato”, cioè la preparazione delle lastrine concave per rivestire l’architrave, che si presenta allo sguardo come una superficie omogenea e continua.

Tabernacolo del Santissimo Sacramento, particolare dell’architrave

Per tagliare Francesca si serviva di “seghe a telaio” e dello smeriglio, polvere di roccia utilizzata con l’acqua, mentre per la sagomatura era necessario un trapano, dotato di piccole punte e dischi di ferro, fatti girare grazie al moto di ruote in legno azionate a mano oppure tramite pedaliere montate su appositi piani di lavoro. Un compito complesso e lunghissimo visto che, per segare tre soli millimetri di lapislazzuli, era necessaria un’ora di lavoro.
Dopo circa due anni il nuovo Tabernacolo di San Pietro fu pronto. Francesca Bresciani aveva realizzato circa i due terzi dell’intera decorazione e poteva ritenersi soddisfatta. Per il compenso chiese un pagamento di 1940 scudi, ne ricevette 1023,38 e non senza difficoltà. Gian Lorenzo Bernini, incaricato di effettuare una valutazione della richiesta, propose di decurtare la somma a 734 scudi, con un ribasso rispetto a quanto indicato da Bresciani di più del 60%. L’intagliatrice di lapislazzuli non si diede per vinta e mise in atto le sue contromosse. Cosciente delle proprie competenze, dell’abilità tecnica e delle sue capacità imprenditoriali scrisse due suppliche, una alla Congregazione della Fabbrica di San Pietro e l’altra al cardinale Massimo nelle quali, senza mezzi termini, chiese che la questione fosse affidata a «persone intendenti dell’esercitio essendo assai diverso il lavoro della pietra da quello delle gioie», in pratica dando del non competente a Bernini. Il cardinale Massimo intervenne e decise di accogliere parte delle rimostranze di Bresciani assegnandole circa 300 scudi in più di quanto indicato dal cavalier Bernini.

Croce del Ciborio del Santissimo Sacramento, 1678, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro, Ciborio Santissimo Sacramento

Ricompensa ancora più importante fu però l’assegnazione di un nuovo incarico, il lavoro di intaglio e commettitura delle lastrine di lapislazzuli sul fondo del Crocifisso davanti al Tabernacolo del Santissimo.

Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese.

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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