Gli stereotipi e i modelli di bellezza che ci sono stati inculcati nel corso dei secoli attraverso l’arte hanno avuto un’influenza significativa sulla percezione del femminile, contribuendo a condizionare le aspettative sociali e culturali nei confronti delle donne e la costruzione della loro identità.
La donna nell’arte è stata una delle principali fonti d’ispirazione, immortalata in tanti capolavori artistici, letterari e musicali, ma è stata sempre considerata oggetto di desiderio, figura passiva e subordinata, madre e moglie devota, piuttosto che come soggetto attivo e indipendente.
Nelle antiche civiltà la donna incarnava la grazia, la bellezza, la fertilità. Afrodite nella cultura greca, Venere in quella romana, rappresentavano modelli di bellezza e di virtù, icone della sensualità e della passione. Giunone invece era la custode del matrimonio, dea protettrice della procreazione. L’intero universo femminile era rappresentato da icone sacre come sarà per la cultura cristiana Maria, madre di Gesù, associata alla purezza, alla castità e alla sottomissione, modello di perfezione femminile, opposto a Eva, simbolo di peccato e tentazione.
Nel Rinascimento la donna diventa reale, di carne e di ossa, anche se irreale per la sua perfezione formale. Con la riscoperta dell’arte classica e dei suoi canoni di bellezza, le donne vennero ritratte con forme armoniose e proporzionate. La Nascita di Venere (ca 1485) di Botticelli raffigura la dea che esce nuda dalla spuma del mare e approda, spinta dai venti, sull’isola di Cipro, dove viene accolta da una giovane donna che le porge un mantello cosparso di fiori. Venere pudicamente copre la nudità con le mani e i lunghi capelli biondi: è la dea della bellezza, dell’amore, della fecondità e della natura primaverile. Ogni particolare è infuso di una grazia che culmina nel nudo statuario della dea, nella quale le qualità morali e spirituali, secondo la dottrina neoplatonica, coincidono con la bellezza fisica.

Pelle bianca, labbra rosse, capelli biondi, queste erano gli elementi necessari nel XVI secolo dalle quali la bellezza non poteva prescindere. Come afferma Morpurgo, nella sua opera El costume de le donne, del 1536, la donna per definirsi bella doveva possedere una serie di caratteristiche indiscutibili: tre grandi, altezza, braccia e cosce; tre sottili, sopracciglia, dita e labbra; tre piccole, bocca, mento e piedi; tre bianche, denti, gola e mani; tre rosse, guance, labbra e capezzoli; tre lunghe, capelli, mani e gambe, e così via. Per Morpurgo sono trentatré le cose che rendono bella una donna. L’autore si concentra anche sull’abbigliamento, oltre che sull’aspetto esteriore delle donne, fornendo consigli su come vestirsi e truccarsi per essere considerate belle e alla moda.
Altra icona di bellezza è La Gioconda, realizzata da Leonardo da Vinci tra il 1503 e il 1506. È sicuramente il ritratto più celebre della storia dell’arte, col suo sorriso enigmatico che le conferisce un alone di mistero, ma anche per la sua semplicità che la rende così sensuale. La donna è rappresentata a mezzo busto, girata leggermente a sinistra, ma con il volto frontale, le mani dolcemente incrociate adagiate in primo piano. Indossa una semplice veste scollata, in testa ha un velo trasparente che copre i lunghi capelli sciolti. Non ha orpelli, né gioielli. La straordinaria naturalezza del personaggio è così diversa dalle pose ufficiali di tanti ritratti precedenti, inoltre la resa atmosferica lega indissolubilmente il soggetto allo sfondo. Nella cultura rinascimentale l’uomo e la natura vennero posti al centro dell’attenzione, e la Gioconda, immersa armonicamente nel paesaggio circostante, può essere vista come un simbolo di questa nuova visione del mondo.

Nel periodo Barocco, l’arte si caratterizzò per la sua esuberanza e drammaticità. Le donne vennero ritratte con forme più piene e sensuali, spesso in pose complesse e teatrali che accentuavano l’espressività delle emozioni. L’ immagine della donna smise di essere associata a canoni di perfezione e virtù per diventare concreta protagonista della scena, con le sue forme abbondanti, rotonde e morbide, come nei nudi di donne ritratte da Tiziano o Rubens.


Salgono sulla scena ora non più solo nobildonne, ma anche semplici popolane. Scrivono, filano, si specchiano, vivono nella realtà di tutti i giorni. Jan Vermeer le ritrae nell’intimità della loro casa, intente in attività umili o colte, come scrivere una lettera o suonare la spinetta. Uno dei dipinti più affascinanti di Vermeer è la Ragazza con l’orecchino di perla: è una giovane donna, di cui non si conosce il nome, delicata, come gli accessori che indossa, un turbante di seta e l’orecchino di perla.

Nel Romanticismo l’arte esaltava i sentimenti, e l’individualità. Le donne vennero ritratte come figure sensibili e fragili, spesso vittime di amori infelici o di malattie.
La Malinconia di Francesco Hayez rappresenta una giovane donna, che soffrendo le pene dell’amore, si abbandona nel suo travaglio, sottolineato anche da un aspetto trasandato e discinto. Accanto a questa ragazza, divorata dalla tristezza, c’è anche una donna provocante e maliziosa, come la Maja Desnuda di Francisco Goya.


Con l’Impressionismo, l’arte si concentrò sulla rappresentazione della vita quotidiana e dei suoi aspetti più fugaci e istantanei. Le donne vennero ritratte in contesti domestici o sociali, spesso intente in attività comuni come leggere, cucire o passeggiare. L’attenzione si spostò dalla rappresentazione idealizzata della bellezza femminile alla raffigurazione della realtà, con le sue imperfezioni e peculiarità. Nei dipinti di Monet le donne passeggiano in giardino con le loro gonne ampie e i parasole raffinati.
Gustav Klimt omaggia la donna, la sua forza, la sua audacia, come nella Donna col ventaglio, bella ed elegante.


Nel corso del XX secolo, le avanguardie artistiche contribuirono a decostruire gli stereotipi e i modelli di bellezza tradizionali. Le donne vennero ritratte in modi nuovi, lontano dai canoni di bellezza convenzionali. L’arte divenne uno strumento per esplorare l’identità femminile, il ruolo delle donne nella società e le loro esperienze personali.
In Robe violette et Anémones, che Matisse realizzò nel 1937, è raffigurata una donna, l’assistente del pittore, con indosso un cappotto viola. La donna trasmette sicurezza di sé, ed esercita la padronanza della casa, attraverso la sua posizione comoda e rilassata.

Oggi, l’arte contemporanea offre una vasta gamma di rappresentazioni femminili, più autentiche e inclusive che, sotto la spinta dei movimenti femministi, riflettono la complessità delle esperienze e dei ruoli delle donne. Ritraggono l’anima e non più e non solo l’aspetto fisico. Raccontano le sofferenze, le angosce e la fatica che fanno le donne oggi per occupare il posto che meritano. Valga per tutte l’esempio di Frida Kahlo che nei suoi autoritratti mette su tela tutto il caos interiore e il travaglio esistenziale che ha provato nel corso della sua vita, ma lo fa con estrema dignità, sempre con la testa eretta in un atteggiamento fiero.

A ridefinire gli standard estetici ci sta provando oggi l’Intelligenza Artificiale attraverso la manipolazione digitale delle immagini. In questo modo crea aspettative irrealistiche. Le immagini delle donne che genera non esistono, hanno seni enormi, visi senza imperfezioni, sono alte, slanciate, magre, sempre giovanissime e quasi tutte bianche. Questo fenomeno incide profondamente sulla percezione di sé che le ragazze avvertono come esigenza di modificare il proprio aspetto fisico seguendo immagini astratte. Questa realtà “online” ha portato a un’impennata delle richieste di interventi di chirurgia estetica, a cui ricorrono sempre più giovani, per migliorare il proprio aspetto. Occorre investire in programmi educativi che promuovano la consapevolezza e l’accettazione della propria immagine per contrastare gli effetti deleteri della manipolazione digitale. Solo attraverso un approccio consapevole e critico possiamo sperare di costruire un futuro in cui la tecnologia supporti una bellezza autentica e diversificata, superando gli stereotipi che limitano la percezione di sé.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
