Addentrarsi nelle storie femminili è come esplorare mondi sconosciuti e misteriosi, proprio per questo affascinanti; sono universi tutti da scoprire in cui fatti e accadimenti, una volta resi noti, determinano un profondo senso di rimpianto per come il nostro mondo, la nostra società e la cultura avrebbero potuto essere e non sono state: più inclusive, equilibrate, rispettose e generose verso il genere femminile. Quindi ben vengano gli studi, le ricerche e tutti quei contributi che riescono ad allargare le molte pieghe della storia in cui è rimasto nascosto e dimenticato il genere femminile.

Diamo il benvenuto, quindi, all’ultimo libro di Ester Rizzo dal titolo Bertha Benz. Le 100 miglia che cambiarono la storia, un breve romanzo storico pubblicato da pochi giorni da Navarra Editore. Con la sua prosa scorrevole, che lettrici e lettori hanno imparato ad apprezzare già dal suo primo lavoro Camicette bianche, Ester Rizzo ci conduce nella Germania di metà Ottocento, precisamente nella cittadina di Pforzheim, nel Granducato di Baden, dove il 3 maggio 1849 nasce, in una facoltosa e illuminata famiglia, la piccola Bertha Ringer. La sua nascita è un evento felice, nonostante quell’essere femmina che, nel XIX secolo, poteva essere una disgrazia o una condanna, a seconda dei ruoli. Per il capofamiglia era in genere fonte di preoccupazioni e di delusione per il mancato arrivo di un maschio; mentre per la neonata significava crescere in una gabbia fatta di proibizioni, divieti, pregiudizi e stereotipi che mai avrebbero permesso l’apertura di ali e voli liberi e lontani. Bertha, invece, cresce in modo sereno in una famiglia che l’accoglie come un dono, una figlia “speciale” a cui garantire, per quanto possibile, tutto il meglio che la vita può donare. E, nella società della seconda metà dell’Ottocento, tutto questo non è così scontato. La formula narrativa che Ester Rizzo sceglie per raccontare quale fosse la sorte delle bambine nate in quell’epoca e quanta distanza ci fosse tra quelle regole e la vita di Bertha è quella di una serie di giochi di riflessi all’incontrario. Proprio raccontando l’infanzia e l’adolescenza nel complesso libera della protagonista, l’autrice ci introduce nei tanti limiti e divieti toccati in sorte fin dalla nascita alle donne.

Bertha è curiosa e intelligente e, per la sua famiglia, questo è un punto di orgoglio; in un altro ambiente domestico curiosità e vivacità intellettuale sarebbero state compresse e soffocate perché improprie e sicuramente pericolose per una ragazzina. Negli anni Bertha domanda, riflette, scopre la bellezza del sapere, l’infinito universo delle cose e della natura e mai alcuna persona intorno a lei la scoraggia: anche questa una condizione raramente riservata a una bambina. Certo, anche nella vita di Bertha sono presenti limitazioni e pressioni sociali. Studia in casa, prima con una compassata istitutrice e successivamente con un ex professore di Scienze dell’Università di Berlino: in questo né i suoi genitori né il suo irrefrenabile desiderio di conoscere possono fare molto. Le scuole pubbliche e, ancor di più, gli atenei sono chiusi per le donne e anche Bertha, come le sue coetanee, è costretta a lezioni, esercizi e ricerche personali all’interno delle mura domestiche.

Per sua fortuna, però, viene assecondata nella scelta delle materie da apprendere: non tanto il ricamo, il disegno, la pittura e la musica, basi tradizionali della formazione femminile, quanto la matematica, le scienze, la chimica, la geografia con cui sognare prima, e costruire dopo, il proprio futuro. Perché Bertha, insieme ai suoi genitori, crede ad un futuro tutto suo, un futuro in grande stile. Qualcuno in famiglia insinua il timore che un cervello così brillante possa avere come destino un’esistenza in solitudine: per meglio dire, non potrà mai formare una propria famiglia perché nessun uomo avrà il coraggio di confrontarsi con una mente come la sua. Ma né Bertha né la madre Auguste sembrano dar peso a questa ipotesi, strette in un legame profondo in cui l’affetto reciproco si alimenta con un forte spirito di solidarietà femminile, presente nelle pagine del libro, coinvolgendo anche le altre figure femminili del romanzo. Con loro Bertha subisce — e critica — i numerosi limiti obbligati dalle convenzioni sociali, come le passeggiate e gli spostamenti sempre in compagnia di una persona di famiglia, gli orizzonti di vita molto contenuti, le poche possibilità e i numerosi divieti, il rispetto di certi comportamenti definiti “consoni”. Con loro soprattutto condivide, contestandola, la serie di “gabbie” reali imposte dalla moda dell’epoca, quella dei busti rigidi, dei lacci posteriori da tirare fino allo spasimo, delle sottane lunghe, delle crinoline, degli strascichi, dei panneggi e delle arricciature che restringono, nel vero senso della parola, i movimenti, intralciano, soffocano, limitano ogni azione femminile.

Nonostante i timori di alcuni familiari di una vita solitaria, da “zitella”, come più francamente le viene prospettato, Bertha crea una famiglia felice col marito Karl Benz e cinque figli/e. Il destino favorevole della protagonista del romanzo le fa incontrare una mente maschile al pari suo acuta e aperta, un partner capace di comprendere, anzi affascinato dalle tante qualità e capacità della moglie, che non ha timore di affermare: «Lei è stata più audace di me». Bertha non è solo una figura controcorrente, è una donna d’ingegno, con senso degli affari, intraprendenza e sguardo proiettato verso il futuro: quando nel 1925 Karl Benz scrive il suo libro autobiografico le riconosce questi meriti: «Solo una persona è rimasta con me nella piccola nave della vita quando sembrava destinata ad affondare. Quella era mia moglie. Con coraggio e risolutezza ha issato le nuove vele della speranza».
Il nuovo romanzo di Ester Rizzo giunge al termine di una ricerca che l’autrice — come dichiara lei stessa in chiusura del suo scritto — ha compiuto anche sul campo. Incuriosita dalla storia della protagonista, l’autrice ha voluto percorrere le tappe della Bertha Benz Memorial Route, un itinerario stradale e turistico che lo Stato tedesco ha dedicato alla sua celebre antenata collegando le tappe del percorso intrapreso nel 1888 insieme ai figli maggiori.

Su questa avventura lascio a lettrici e lettori la scoperta delle vicende compiute dalla protagonista, vera pioniera della modernità. Aggiungo solo che, per la storia mondiale, quello è stato il primo viaggio automobilistico effettuato in autonomia e per un lungo tragitto — 100 miglia, come ricorda il titolo del romanzo — che si tinge di valore assoluto perché compiuto da una donna.

Quello di Bertha Ringer Benz, però, non è solo un viaggio, è una tappa significativa di un altro percorso che possiamo definire la «rivoluzione inarrestabile» delle donne, spesso nascosta e cancellata, ma «tenace e silenziosa, mai apertamente dichiarata ma solo rivendicata» come si legge nel volume Sulle vie della parità, pubblicato da Toponomastica femminile dopo i lavori del primo Convegno nazionale del 2012. Riscoprire i nomi delle donne e le loro storie è un atto necessario, un risarcimento morale e culturale che dobbiamo a chi prima di noi è stata precorritrice per le generazioni successive. Ricostruire e riannodare i fili della memoria femminile, raccontare quello che le donne hanno saputo creare, inventare, realizzare è una pratica necessaria se vogliamo contribuire al cambiamento, sempre più urgente.

Ricomporre le genealogie femminili a partire dalle figure di rilievo serve a creare un passato alle nostre spalle che dia forza e slancio, che offra modelli positivi a bambine e ragazze, che educhi i loro coetanei al rispetto, che decostruisca i troppi modelli tossici con cui si alimentano le distorsioni e le violenze sul mondo femminile.
In copertina: immagine tratta dal filmato The Journey That Changed Everything (https://www.youtube.com/watch?v=vsGrFYD5Nfs)

Ester Rizzo
Bertha Benz. Le 100 miglia che cambiarono la storia
Navarra Editore, Palermo, 2025
pp. 145
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.
