È un’esperienza condivisa da metà della popolazione mondiale, una costante che scandisce le fasi della vita, che riguarda la riproduzione della specie, eppure se ne parla malvolentieri.
Dalle dicerie sui fiori avvizziti e le torte non lievitate e il vino inacidito alle infinite perifrasi per nominarle: le mestruazioni femminili sono da sempre un tabù, processo fisiologico circondato da leggende popolari di ogni tipo, simbolo e oggetto di discriminazioni dure a morire ancora nel nostro secolo.
Ci sono molti modi di aggirare il termine, nella lingua parlata: dal più comune “ho le mie cose” o “le mie faccende”, a “sono in quei giorni” a “ho le regole”. Anni fa c’era chi alludeva al “marchese” (per via del colore rosso delle palandrane dei nobili) o alle “giubbe rosse”. Le inglesi aspettano “my friend” o “la visita di zia Flo”, le americane tirano in ballo “zia Rosie”. Nella tradizione ceca è “il fenomeno delle fragole”, in quella finlandese “il tempo del mirtillo rosso”. Tempo sgradito, se per le ungheresi “arrivano i russi” e per le francesi “sbarcano gli inglesi”.
Una sola certezza era rassicurante per le nostre nonne: se hai le mestruazioni non sei incinta.
La polarizzazione puro/impuro è il grado zero della mentalità religiosa. Quella capacità sbalorditiva di sanguinare senza ferite era vista come fenomeno potenzialmente distruttivo, è stata sempre una forma di demonizzazione delle donne, ritenute impure e quindi pericolose. Le mestruazioni sono state concepite come gli eventi umani più contigui all’infimo, alla sporcizia e all’impurità.
Leggiamo Tertulliano, apologeta cristiano del II secolo d.C.: «Gli organi sessuali della donna non sono esposti all’esterno per colpa del peccato originale di Eva! E il mestruo, lo sporco e schifoso sangue mestruale ne è la prova». Per il latino Columella “l’immondo flusso”.
Le donne, durante le mestruazioni e nel periodo successivo al parto, erano ritenute intoccabili e tenute segregate; ancora nel Codice del diritto canonico del 1917 si raccomandava che non ricevessero la comunione. La mano pesante dell’Inquisizione colpì con l’accusa di stregoneria chi ne parlava.
Anna Frank ne accennò nel suo diario ma il padre strappò quelle pagine.
Anna Karenina non ha mai le mestruazioni e neppure Emma Bovary, figuriamoci Lucia Mondella. C’è un’unica eccezione: Margherita, la signora delle camelie. Ma era una prostituta.
Così Fabrizio De André, sempre controcorrente, cantava Maria: Ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso.

Fino al 1963 le donne non potevano accedere ad alcun incarico in magistratura e la motivazione era la seguente: «Fisiologicamente fra un uomo e una donna ci sono differenze nella funzione intellettuale, e questo specie in determinati periodi della vita femminile» laddove la locuzione «determinati periodi della vita femminile» sta per mestruazioni. D’altronde non era invocata per vietare alle donne — così fragili — anche la difficile carriera universitaria?
Ancora oggi vediamo sguardi cospiratori e subiamo paternalistico compatimento, «è irritata, avrà le sue cose». Si sa, siamo macchiette in preda a ormoni impazziti. Il testosterone invece è rinomato fattore di equilibrio.
Essity ha condotto la prima ricerca italiana (settembre 2019) che indaga il ciclo mestruale a 360 gradi. Sono stati intervistati 1633 uomini e donne tra i 15 e i 65 anni a cui è stato sottoposto un ampio questionario. Nonostante il ciclo mestruale sia un evento naturale e fisiologico per una donna in età fertile, dai risultati della ricerca emerge che non tutti/e associano a questo evento un sentimento di normalità, e che il tema in Italia è ancora un tabù. Le mestruazioni infatti sono vissute male da oltre la metà delle donne intervistate (54,1%) che associa al ciclo una sensazione di dolore. Il 27,4% prova disagio ed imbarazzo a parlarne e il 23,6% considera le mestruazioni una condizione invalidante. Il disagio è maggiore nell’età dell’adolescenza, quando è possibile subire una forma di bullismo legata alla manifestazione di possibili disagi derivanti dal ciclo.

Nel ventesimo secolo finalmente arrivarono i pannolini usa e getta a sostituire le antiigieniche, scomodissime pezze. Per pubblicizzarli si dovettero aggirare pudichi divieti. Ogni anno in Italia se ne vendono 6 miliardi.
Si chiede da tempo l’eliminazione della Tampon Tax, la tassa sui prodotti mestruali. Era del 22%, come per i beni di lusso. Con la legge di bilancio 2024 è stata riportata al 10% dopo una riduzione al 5% nel 2022.
Prodotti mestruali gratuiti e disponibili per chiunque è una questione di salute pubblica e di diritti umani, che permette di combattere la povertà e di vivere le mestruazioni con dignità. Per questo dovrebbero essere disponibili in scuole, università, presidi comunali, uffici postali, stazioni e altri luoghi pubblici.

Ne parlo oggi a proposito di un’iniziativa recentissima della partecipata Risorse per Roma : nei bagni femminili della sede comunale sono stati installati tampon box, dispenser di prodotti gratuiti ed ecosostenibili per l’igiene delle donne. Una piccola scelta significativa per il benessere di tutte, che dovrebbe essere copiata ed estesa in tutte le sedi pubbliche.
Il cambiamento può cominciare anche da qui.
***
Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.
