In questi ultimi mesi si susseguono a Londra mostre dedicate ad artiste trascurate per decenni, nonostante abbiano saputo capire e interpretare il secolo: ora sono alla riscossa e si prendono il loro spazio nel panorama culturale. La galleria Thaddaeus Ropac ha dedicato la prima personale postuma a Teresa Pągowska, ai suoi quadri che rappresentano corpi femminili frammentati, quasi astratti, attraversati da ombre che alludono a ferite ed evocano una dimensione enigmatica. Shadow Self, prima mostra personale dell’artista nel Regno Unito, chiusa il 2 aprile scorso, ha ripercorso cinque decenni della sua attività, dall’inizio degli anni ’60 alla metà degli anni 2000.

Teresa Pągowska è una figura chiave dell’arte polacca del XX secolo. Nata nel 1926 a Varsavia, dove è morta nel 2007, ha studiato pittura alla State Higher School of Fine Arts di Poznán, laureandosi nel 1951. Ha insegnato per oltre un decennio all’Accademia di Belle Arti di Danzica. Nel 1959 ha partecipato alla Prima Biennale di Parigi. Trasferitasi a Varsavia nel 1964, ha sviluppato il suo stile semi-astratto, incentrato su un’esplorazione sensoriale del corpo femminile. A partire dagli anni Settanta ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Varsavia e ha iniziato a dipingere le sue celebri serie Monocromi e Figure magiche.
Sebbene non completamente astratte, le sue figure femminili si dissolvono nello spazio, e si intrecciano con le ombre, esprimendo con una dualità di luce e oscurità, presenza e assenza, il senso del mistero, le nostre paure, i nostri desideri. Nelle parole dell’artista stessa «Ogni dipinto raffigura un’esperienza e materializza un sogno». E i sogni lasciano i loro segni sui dipinti. «Quando non dipingo, mi sento come un’auto senza conducente».

A metà degli anni Settanta, Pągowska riduce l’intensità cromatica dei suoi dipinti e inizia a sperimentare l’interazione tra figura e spazio. Nella sua serie Monochromes inverte la tradizionale gerarchia tra il soggetto e lo sfondo e la figura prende forma dal suo sfondo dipinto. In Monochrome XXXXC (1975) la figura femminile è rappresentata attraverso uno spazio vuoto, non dipinto, mentre lo sfondo è dipinto. Ciò le ha permesso di lasciare libero spazio all’immaginazione, realizzando il “tutto” con “niente”. Myjąca głowę II (Lavaggio della testa II, 1976) fa parte della serie Magic Figures: una donna nuda si china su una bacinella per lavarsi i capelli. La sua forma contorta ripete la curvatura della parete del bagno piastrellato di verde. La donna che fa il bagno è un soggetto frequente in tutta la storia dell’arte: qui è spogliata di ogni sguardo erotico.

In Odlot ptaków (Partenza degli uccelli, 1990) in basso c’è una figura in un vasto paesaggio vuoto, che rende ambigua la scena; in alto un volo di uccelli è proiettato contro scure nubi minacciose. Mentre gli uccelli fuggono dalla tempesta, si trasformano in gocce di pioggia nera. In Niebieskie mewy (Gabbiani blu, 2006) Pągowska rappresenta il cielo con una striscia di vernice bianca punteggiata di pennellate azzurre; e giocosamente inverte il colore del piede della figura distesa in basso, mentre si tuffa nel cielo.

«Per me dipingere non è un gioco, ma piuttosto un dramma, un dramma fondamentale ed eterno della vita, dell’esistenza umana. Forma, colore e contrasto sono per me il linguaggio attraverso cui mi esprimo al meglio. Il punto di partenza della mia pittura è sempre legato a un’esperienza interiore e alla sua relazione con i fenomeni della realtà».
Durante gli anni Novanta, i dipinti di Pągowska si popolano di enigmatiche presenze di animali. In Biała z psami (Bianco con cani, 1997) una figura umana astratta è affiancata da un gatto sulla sinistra e da un cane addormentato sulla destra. Spesse pennellate di bianco e nero definiscono il volume della figura e suggeriscono movimento, mentre più delicati sono i contorni dei due animali che la accompagnano.
In Horyzonty (Orizzonti, 2002), una figura femminile dipinta in arancione si erge al centro della composizione, ridotta solo agli elementi essenziali. Pennellate di colore magenta corrono orizzontalmente sul piano pittorico e oscurano il volto della figura e alcune parti del suo corpo, creando un senso di mistero.

La mostra presenta anche una selezione di opere su carta, gouache, inchiostri, carboncini e collage, che offrono uno spaccato dell’intricato processo artistico di Pągowska, che raccoglieva e riutilizzava materiali quotidiani, trovati casualmente.
So, So, So segna la prima mostra personale nel Regno Unito dell’artista Galli al Goldsmiths CCA (Goldsmiths Centre for Contemporary Art) dal 7 febbraio al 24 maggio 2025, mostra che esplora il corpo, l’identità e la corporeità con una selezione completa delle sue opere tra pittura, libri, collage e disegni. Il titolo So, So, So si riferisce alla cadenza melodica dello speech dell’artista e, sia in inglese che in tedesco, accenna all’apertura, a qualcosa che deve avvenire.



Nata Anna-Gabriele Müller a Saarbrücken in Germania nel 1944, vive a Berlino. Inizialmente si è formata con i pittori del movimento Cobra, che predicavano una rottura estetica con gli ideali occidentali. Nel 1969 si è trasferita a Berlino Ovest, una città che in quel periodo era a una profonda svolta: si stava allontanando dai postumi del nazifascismo verso una crescente libertà, tra musica punk, movimenti femministi e queer per i diritti civili. Dal 1992 al pensionamento nel 2005 ha insegnato presso l’Università di Scienze Applicate di Münster. Il suo lavoro è espressivo, istintivo, ma fortemente disciplinato. Ancora oggi, nonostante le gravi limitazioni di salute e mobilità, disegna quotidianamente. La mostra include un’ampia gamma di disegni e dipinti dagli anni ’80 agli anni 2000. La sua arte affronta il corpo come campo di battaglia, le sue figure, rese attraverso linee essenziali e colori vividi, pennellate audaci e rapide, sono antieroiche, spesso senza genere, violentemente contorte. Dalle sue figure esce una intensa energia che esplora il corpo come luogo di tensione e trasformazione. Questo suo approccio è stato spesso letto ingiustamente attraverso la lente della sua bassa statura e della sua omosessualità.
Le sue opere attingono alla mitologia, come Kentaur (1990), alla storia dell’arte e al desiderio sessuale, quelle più recenti si concentrano sullo spazio domestico, così che le figure escono dalle lavatrici o gli oggetti parlano tra loro in spazi chiusi, claustrofobici e inscatolati. La casa diventa a volte un recinto sicuro, altre volte una camera di oppressione insopportabile, suggerendo sia la sicurezza che un senso di prigionia. Opere come o.T (es lebe Der breite Prinsel) e Hocker (1989) evidenziano questo violento processo di frammentazione.




Galli ha risentito l’influenza di letterati come il poeta rumeno Oskar Pastior, con il quale ha prodotto un libro d’artista, e il drammaturgo e romanziere svizzero Max Frisch, molto attento alle problematiche dell’uomo contemporaneo. Le sue opere spesso incorporano testi, all’interno del piano pittorico o come titoli di giochi di parole, in una modalità che ricorda il Dadaismo.
Nonostante una carriera segnata da periodi di ridotta visibilità, il suo lavoro ha ottenuto negli ultimi anni un rinnovato riconoscimento, di cui la mostra So, So, So segna un momento significativo.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
