Questo è il titolo del seminario promosso dalla Fondazione Nilde Iotti, il 14 aprile scorso, che ha inteso analizzare l’impatto dei nuovi progressi tecnologici e, in particolare, dell’Intelligenza artificiale sullo sviluppo delle politiche di genere.
La rivoluzione tecnologica degli ultimi anni ha trasformato l’organizzazione del lavoro e la società in cui viviamo, rischiando di aumentare le disuguaglianze. Attraverso gli interventi di esperte ed esperti dei diversi settori, politico, economico, legale, sindacale, culturale, il seminario ci ha invitato a riflettere su come le tecnologie dell’IA, se regolamentate con politiche pubbliche orientate alla sostenibilità e alla riduzione delle disuguaglianze, possano essere utilizzate per creare un futuro più giusto.
Realizzato in modalità mista: in presenza, presso la sala Spi Cgil in via dei Frentani a Roma, e online, si può ancora seguire attraverso la registrazione rimasta sulla pagina Facebook della Fondazione Nilde Iotti. L’on. Livia Turco, presidente della Fondazione, che doveva aprire il seminario, non è potuta intervenire per problemi familiari.


Hanno introdotto i lavori Lea Battistoni, della Fondazione Nilde Iotti, e Patrizia Di Santo, esperta di organizzazione del lavoro e politiche di genere, che ha riconosciuto in questa nuova era digitale una terza rivoluzione, dovuta a una rapidità di cambiamenti che influenza i rapporti sociali, economici e di potere, mette in crisi i nostri modelli di valore, provocando una sensazione di spaesamento. La possibilità di accedere a una mole enorme di informazioni è falsamente democratica, perché non tutti/e vi possono accedere, per cui si auspicano politiche di sostegno: inoltre, poiché questa mole di dati affonda nel patrimonio della rete, c’è il rischio che si perpetuino stereotipi e pregiudizi. L’IA trasforma il lavoro: il Future of Jobs Report 2025 stima che, entro il 2030, la creazione di nuovi posti di lavoro compenserà la perdita di posti di lavoro attuali, con una conseguente crescita netta del 7% dell’occupazione totale attuale. Ma pare che ancora le donne non raggiungeranno posizioni di comando: le nuove occupazioni, infatti, non riguarderanno le donne, che sono occupate in ruoli tecnici solo al 20%, e al 10% nelle start-up. Ancora le Stem sono materie ostiche per le donne. Ma, se l’IA viene sviluppata solo dagli uomini, si porta dietro tutti gli stereotipi del passato, influisce sull’accesso al mondo del lavoro e sugli sviluppi di carriera. Non dobbiamo quindi abbassare la guardia, ma continuare a portare avanti la nostra battaglia.
Viene data la parola all’ex-parlamentare europea Patrizia Toia che, intervenendo da remoto, ci fa riflettere sulla particolare difficoltà di dover normare un’area come quella tecnologica, in cui la velocità degli sviluppi delle nuove applicazioni rende potenzialmente obsolete o almeno incomplete le norme già approntate. Il governo europeo ha scelto di affrontare l’ambito del digitale già dal 2014, ancora prima che l’IA prorompesse sulla scena, istituendo una commissione multidisciplinare, comprendente economisti e filosofi, oltre che tecnici, per esplorare le implicazioni da diversi punti di vista. Fu scelta una dimensione etica, che considerasse imprescindibile il rispetto dei valori costitutivi dell’UE, rispetto della persona, della privacy, della proprietà dei dati e delle pari opportunità.
Anche Tiziana Lang, ricercatrice Inapp (Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche), interviene sul contesto regolatorio europeo e nazionale e parte dalla Relazione 2025 sulla parità di genere, presentata recentemente dalla Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. Sebbene l’UE abbia preso una serie di iniziative decisive nell’ambito della strategia per la parità di genere 2020-2025, i progressi rimangono lenti e diseguali tra gli Stati membri, persistono divari occupazionali e retributivi e la sottorappresentazione delle donne nei ruoli di responsabilità.
Dalla normativa europea passiamo a quella nazionale nell’intervento di Monica Lucarelli, assessora alle Pari opportunità di Roma Capitale, che ancora una volta ribadisce che l’IA non è neutra, poiché si nutre di informazioni trovate in rete, e rischia pertanto di perpetuare gli stereotipi che purtroppo circolano online. La certificazione per la parità di genere, ormai frequente per le imprese, è rara invece per le amministrazioni pubbliche. Roma Capitale ha ottenuto la Certificazione dopo un percorso durato oltre due anni, con il coinvolgimento di tutte le strutture dell’Amministrazione, composta da oltre 23.000 dipendenti. Ora bisogna migliorare l’efficacia della comunicazione utilizzando l’IA per individuare nei documenti del Comune stereotipi ed espressioni non inclusive, non solo nel linguaggio, ma anche in una narrazione parziale.
Interviene da remoto anche l’on. Donata Gottardi, docente di Diritto del lavoro all’Università di Verona. Concorda con le relatrici che l’hanno preceduta sulla velocità con cui sta cambiando il sistema dell’organizzazione del lavoro, che, se vogliamo che sia utilizzato per il welfare, deve essere trasparente. Tempi e luoghi di lavoro sono cambiati, il luogo con lo smartworking, ha una ricaduta anche sul tempo, sulle cure personali, che possono essere dedicate anche a una persona anziana, o alla famiglia. L’IA, se gestita bene e soprattutto da donne, potrebbe intervenire a migliorare la qualità del rapporto vita-lavoro. Ma, nonostante le tante spinte a incentivare le ragazze a iscriversi e laurearsi nelle facoltà scientifiche, rimane ancora scarso il numero di donne che lavorano nei settori tecnologici. Mancano aiuti economici e modelli di riferimento. I cambiamenti sono veloci, ma la normativa è lenta.
Al taylorismo digitale ci introduce Sergio Bellucci, scrittore ed esperto in tecnologie Ict: è la nuova forma del taylorismo che segue le innovazioni introdotte nella organizzazione del lavoro dalle tecniche digitali. Queste rendono la capacità di produzione industriale estendibile a molte delle attività umane che prima non erano industrializzabili, applicandosi anche ai processi informativi e comunicativi che divengono il cuore della nuova progettazione produttiva. Nella nuova fase storica è l’informazione che produce denaro che a sua volta produce informazione per avere un maggior controllo sulla società. Ma l’IA non è più intelligente dell’uomo, non si sostituisce al controllo del lavoro, sono solo macchine che costruiscono altre macchine.

Stefano da Empoli, docente all’Università Roma Tre e presidente I-Com (Istituto per la competitività) ci parla dello stato dell’arte e prospetta possibili scenari economici e sociali. Rimane un aspetto preoccupante la rappresentatività femminile nelle Stem, le donne sono in netta minoranza nell’Informatica a livello mondiale. L’Italia va meglio dell’Europa soprattutto per quello che riguarda le scienze matematiche e solo la Turchia ha più del 50% di donne nelle Stem. Nell’ultimo anno si è registrato appena un punto di miglioramento percentuale. Viene chiamata in causa l’on. Valeria Fedeli, che tenta una giustificazione ricordando che l’Italia è un Paese di cultura umanistica, che da un lato ci avvantaggia nell’affrontare i problemi, dall’altro il divario rimane e va risolto all’inizio dell’età scolare.
Rosita Zucaro, ricercatrice Inapp, ci parla di discriminazione intersezionale, cioè la discriminazione di genere che crea un crocevia con altre discriminazioni, come quella razziale e religiosa. La normativa europea non è abbastanza efficace nel tutelare i soggetti discriminati e la scarsa trasparenza degli algoritmi, la loro stessa opacità può essere vettore di discriminazione. Per questo è necessario l’impegno congiunto della politica, delle parti sociali e dell’informatica.

Ascoltiamo poi il parere di una sindacalista, Lara Ghiglione, responsabile delle Politiche di genere della Cgil nazionale. Le discriminazioni ancora esistenti sono dovute per lei in gran parte ai carichi familiari che ancora pesano sulle donne, costrette spesso, per mancanza di servizi, a chiedere il part-time. Una donna su cinque smette di lavorare dopo la maternità, che è quindi motivo di discriminazione. Le innovazioni tecnologiche rischiano di aumentare questo gap, che colpisce le donne, come altre categorie discriminate, la razza e addirittura gli ultracinquantenni. Il sindacato può fare molto: monitorare innanzitutto, istituire corsi di formazione anche per delegati sindacali, favorire la riqualificazione. La crescita delle donne è crescita del Paese. La transizione digitale o sarà femminista o non sarà giusta.


L’ultima relatrice è Patrizia Cinti, esperta di organizzazione del lavoro dell’associazione Aurea Studium che intrattiene l’uditorio sugli stereotipi di genere nella robotica umanizzata. Sin dai robot proposti dalla fantascienza il genere era determinato dall’uso che se ne doveva fare: Nebula è femmina, Robocop è maschio. I robot costruiti fino ad oggi hanno mansioni diverse: c’è Spot, il cagnolino usato in missioni rischiose, come quello di individuare e neutralizzare le mine, c’è il robot chef e quello da Vinci, che assiste il chirurgo nella sala operatoria. Oggi ci sono quelli integrati con IA, come Sofia, Amira, di aspetto femminile, Atlas, di aspetto maschile, utilizzato per servizi civili o inviato in missioni belliche, Thanatos, provvisto di mitragliatrice. In alcune città cinesi i robot affiancano le forze di polizia. Ed Elon Musk ha intenzione di produrre 10 miliardi di robot entro il 2040 a un costo accessibile, da utilizzare per tutti i servizi di casa.
Le conclusioni all’on. Valeria Fedeli, che annuncia la volontà della Fondazione di dare seguito a questo seminario con altri appuntamenti.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile. Ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
