La guerra delle donne. Le combattenti della Marca

Il binomio donne e guerra tende solitamente a generare un’associazione mentale con crocerossine, mogli e madri pazienti e rassegnate che aspettano in casa, oppure, osando di più, con le staffette partigiane o a con quante si ingegnarono per sostenere, per quanto potevano, le azioni belliche in corso, sebbene limitate dalla loro condizione femminile, che nei secoli raramente ha permesso che fossero protagoniste. La divisione netta dei ruoli tra uomini e donne non ha mai visto di buon occhio narrazioni differenti da quella socialmente accettata, tanto da stigmatizzare e condannare donne impegnate in “cose da uomini”, presentandole come contro natura, streghe, isteriche, pazze, eretiche, brigantesse…
Proprio per questa atavica concezione è così raro venire a conoscenza delle gesta di quante si distinsero direttamente sul campo di battaglia, sporcandosi le mani in prima persona e compiendo azioni valorose e degne di una memoria che fu, però, quasi del tutto insabbiata e gettata nell’oblio o talvolta relegata nell’ambito del mito e della leggenda. Eppure, da una zona da sempre considerata marginale e di confine come quella che rappresenta l’attuale regione Marche, giungono fino a noi, pur attutiti e flebili, gli echi delle donne che, in epoche insospettabili, decisero di farsi avanti e affrontare in prima persona il mestiere delle armi o le azioni cruciali per una vittoria sul campo. Sono poche le fonti che ne riportano le gesta, ma sul finire del XIV secolo nella zona dell’ascolano diverse famiglie consentirono alle proprie figlie di addestrarsi nei combattimenti, in un clima cittadino caratterizzato da frequenti scontri tra fazioni nemiche.

Tra di esse, personaggio di un certo spessore fu Elisabetta Trebbiani, a cui la città di travertino ha dedicato una via del centro storico e anche la RegiaScuola Normale Superiore Femminile, l’attuale Liceo Psicopedagogico. Non sappiamo bene quando questa donna fuori dagli schemi nacque e quando morì, ma le fonti riferiscono che visse fin oltre il 1397. Viene ricordata sia come guerriera sia come fine poeta, riscoperta da qualche anno grazie a una recente operazione editoriale volta alla valorizzazione delle rimatrici marchigiane del Trecento. Figlia di Meliaduso d’Ascoli, della famiglia Trebbiani, che fu podestà di Orvieto, Foligno e Firenze, le cronache la citano come una donna gentile, femminile nell’aspetto, ma anche bravissima nel maneggiare le armi. Si sposò in età molto giovane con Paolino Grisanti, che volle accompagnare sempre nelle sue imprese, perché si diceva che volesse proteggerlo, atteggiamento di certo insolito in un contesto in cui quelle considerate sempre bisognose di protezione erano senza dubbio proprio le donne. Sembra infatti che avesse confidato ai suoi compagni d’arme queste parole: «Perché i coniugi devon esser l’un l’altro come l’angelo custode, che in verun tempo né in verun pericolo mai abbandona quell’anima che gli è stata data in consegna». Si racconta che la si poteva incontrare in giro per la città, specie di notte, insieme al marito, talvolta vittima di assalti commissionati da qualche nemico o di semplici briganti. Elisabetta indossava in tali occasioni una tenuta da uomo, con l’armatura, e il suo fisico agile e scattante le permetteva una certa superiorità negli scontri. Una volta, durante un combattimento, il marito venne ferito e lei stessa fu colpita a un braccio, ma non volle essere curata finché non riuscì a mettere in salvo il compagno. Con loro c’era anche un servo e i tre si trovarono a dover fronteggiare un gruppo composto dal doppio di uomini. Nonostante l’inferiorità numerica e le difficoltà fisiche, però, Elisabetta e gli altri due riuscirono a eliminare quattro nemici e a metterne in fuga altri due.

Un’altra ascolana decisamente fuori dal comune fu poi Flavia Guiderocchi. Nel XV secolo, quando visse, ma anche fino a molto più tardi, avere figlie femmine era considerato alla stregua di una disgrazia. Soldi per il corredo, soldi per la dote, poca forza per i lavori dei campi (ma nella pratica questo non era poi del tutto vero…), preoccupazioni per la loro virtù, costantemente minacciata e a rischio di divenire scandalo per tutta la famiglia. Non la pensò però così Tommaso Guiderocchi, uomo d’armi e magistrato, che, avendo avuto una primogenitura femminile e probabilmente dopo aver visto che altri figli tardavano ad arrivare (il maschio nacque solo dopo parecchi anni), decise che poteva benissimo educare la sua bambina come se fosse stata un uomo. Iniziò dunque ben presto la fanciulla alle armi e la educò alla vita militare, nella quale la ragazza eccelse, riscuotendo grande ammirazione da chi se ne intendeva. Si narra infatti che i soldati, capeggiati dal padre, le fecero molti complimenti in seguito alle azioni militari in cui fu coinvolta e che portarono Ascoli alla conquista della vicina città di Colonnella. La ragazza partecipò spesso ai giochi cavallereschi in onore di Sant’Emidio, patrono della città di Ascoli Piceno (l’attuale Quintana), dove fece sfoggio delle abilità di cavallerizza, ammirata dalla folla che accorreva a osservarla. Pare che Flavia avesse capeggiato addirittura una spedizione armata contro il castello di Controguerra, feudo caduto nelle mani del Duca d’Atri, Giosia di Acquaviva, nel 1459. Alcune fonti riportano che infine la ragazza appese la lancia al chiodo dopo essersi innamorata di un cavaliere, il quale mise fine alla sua vita da combattente, facendola arretrare infine alla posizione subalterna che tanto aveva schivato in precedenza. Suo padre poi, che pure tanto fece per la sua educazione “alternativa”, quando morì, nel 1488, lasciò tutti i beni in eredità al figlio maschio, Astolfo. Oggi una delle “rue” di Ascoli porta il suo nome.

Ascoli Piceno. Rua Menichina Soderini. Foto di Laura Candiani

Sull’esempio di Flavia, anche Menichina Soderini, sua amica, si distinse particolarmente nelle doti militari. Figlia di una delle famiglie ascolane più nobili del XV secolo, primeggiò varie volte nei tornei cittadini, superando i più capaci fra gli uomini, tanto che venne soprannominata “la guerriera”. Nel 1459 fu al fianco di Flavia Guiderocchi negli scontri contro il Duca d’Atri a Controguerra. In questa occasione le milizie ascolane ebbero di gran lunga la meglio e al loro rientro in città vennero accolte con manifestazioni di giubilo. L’immagine che rimase però più impressa negli occhi del popolo fu quella del carro da guerra, guidato proprio da Flavia e Menichina, che tenevano ai loro piedi, incatenati, numerosi prigionieri, tra i quali il nipote del Duca d’Atri, Filippo, e il comandante dell’esercito rivale, Francesco da Celano. Si racconta poi che nel 1467 Menichina si confrontò nella giostra di piazza Arringo ad Ascoli con il cavaliere bolognese Ludovico Malvezzi, il quale, per non dover subire l’onta di sfigurare di fronte a una donna, si dedicò ad allenamenti tanto estenuanti da ammalarsi di pleurite ed essere condotto alla morte. Fu infine sepolto nel duomo della città. Per amore del vero c’è però da dire che, nonostante questa storia sia di certo affascinante, non è certo che sia effettivamente avvenuta, dato che la maggior parte delle fonti riferisce che Ludovico fu, sì, sepolto ad Ascoli, ma morì di febbri, contratte durante un suo semplice passaggio in città.

Restando nella zona dell’Ascolano, ma spostandoci nel borgo di Ripatransone nel XVI secolo, spicca per valore militare la figura di Bianca Benvignati. Moglie del nobile Almonte De Tharolis, anche lei fu una condottiera di spicco, le cui gesta si fecero notare al pari delle guerriere ascolane appena ricordate. Accadde dunque che nel 1521 dei mercenari spagnoli attaccassero la città di Ripatransone e in un primo momento solo la famiglia Benvignati si oppose al nemico, mentre gli altri nobili locali non si decidevano a intervenire tempestivamente. Fu così che Bianca, sorella dei cavalieri al comando della difesa, prese la situazione in pugno. Radunò allora diverse concittadine, sue amiche e conoscenti e, dopo averle armate ed essersi posta a capo di quel singolare manipolo, le guidò, sollevandole contro il nemico. Sembra che il discorso motivazionale che fece loro fosse stato assolutamente decisivo: «Se gli uomini si dimostreranno vigliacchi, ci difenderemo da sole!». Bianca combatté dunque con maestria e insieme al “suo” esercito aiutò i fratelli a respingere gli Spagnoli, i quali dovettero ripiegare per i campi e fuggire poi verso il mare. Tra le sue “soldate” in particolare si distinsero Angela di Zingaro e Luchina Saccoccia, che però morirono sul campo. Il ruolo di Bianca in questa ardimentosa azione militare fu decisivo e la sua fama si sparse nei territori circostanti, dando forza e coraggio anche ai contadini, i quali si sollevarono a loro volta, finendo di mettere in fuga i nemici. Oggi una delle piazze principali di Ripatransone è dedicata alla nobile e impavida guerriera e altre due vie portano il nome delle compagne Angela di Zingaro e Luchina Saccoccia.

In copertina: Ascoli Piceno. Rua Flavia Guiderocchi. Foto di Laura Candiani.

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Articolo di Silvia Alessandrini Calisti

Laureata in Lettere e Archivistica e Biblioteconomia, ha lavorato nel settore bibliotecario per poi passare a occuparsi di contenuti web, social media management e web marketing. Ha ottenuto il Golden Media Marche nel 2015 e il Premio Impresa Donna nel 2016. Collabora con l’Osservatorio di Genere. Nel 2016 ha pubblicato il saggio Sani e Liberila maternità nella tradizione marchigiana (sec. XVI-XX), e nel 2020 Marche stregate, viaggio nella stregoneria popolare marchigiana, entrambi con Giaconi Editore.

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