Maria Letizia e Laura Giuliani, pittrici e maestre vetraie, sono nate a pochissimo tempo l’una dall’altra: la prima il 9 febbraio del 1908 e la seconda il 12 novembre dell’anno successivo. Insieme hanno attraversato il Novecento legate non solo da affetto e sorellanza, ma dalla stessa passione per l’arte.

Figlie di Giulio Cesare, a capo delle prestigiose Vetrerie d’arte Giuliani di Roma, e di Angelina Cisterna, figlia a sua volta del pittore Eugenio Cisterna, Maria Letizia e Laura hanno assorbito la sensibilità per le forme e per il colore dentro le mura domestiche, come fosse un nutriente pane quotidiano. Il laboratorio artistico paterno, uno dei più prolifici e rinomati della capitale fin dai primi anni del XX secolo, non fu subito lo scopo professionale e artistico delle due ragazze, indirizzate al contrario verso studi magistrali; la vicinanza con i linguaggi e i mezzi artistici del padre e del nonno alla fine però ebbe la meglio e le condusse al confronto con quel mondo.
Aldilà degli insegnamenti in famiglia, le due sorelle frequentarono anche corsi di disegno e pittura in alcune scuole private romane, come quella delle artiste Giulia e Maria Biseo, nell’Accademia di Francia e nella Scuola Libera del Nudo, istituzione intrecciata all’Accademia di Belle Arti, dove si esercitarono nello studio dal vero di modelli maschili, esperienze e insegnamenti non così scontati per quel periodo.

Siamo tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta e anche per le due giovani cominciarono le prime esperienze dirette nel mondo artistico: Maria Letizia affiancò il nonno nel ciclo di affreschi per la chiesa di San Giuseppe a Iesi, nella realizzazione della decorazione musiva della cappella funeraria della famiglia Agnelli a Villar Perosa, nei pressi di Torino, e nella cappella di San Sisto nella Cattedrale di Anagni; in collaborazione con il padre Giulio Cesare realizzarono i cartoni per le vetrate della navata centrale della chiesa di Santa Teresa d’Avila a Roma, raffiguranti immagini di santi, sante e beati dell’ordine carmelitano.


La pittura, soprattutto quella su cavalletto, mantenne per entrambe le sorelle un fascino particolare e, tra gli anni Trenta e Quaranta, furono diverse le partecipazioni a mostre. Cominciò Laura esponendo Paesaggio e Natura morta alla VI Mostra del Sindacato fascista Belle Arti del Lazio, nel gennaio del 1936, replicando pochi mesi dopo con Testa, ad affresco, e il dipinto Paesaggio rustico nella Mostra di Belle Arti organizzata dall’Associazione Nazionale Fascista Donne Artiste e Laureate, istituzione alla quale erano iscritte. L’anno successivo, alla VII Mostra del Sindacato fascista Belle Arti del Lazio, esposero entrambe con due opere ciascuna. Il sodalizio pittorico tra Maria Letizia e Laura si fece sempre più stretto con la personale organizzata, tra gennaio e febbraio del 1939, nella Galleria Bragaglia fuori commercio. «In quell’occasione — che vede Laura esporre trenta opere, fra oli, affreschi e disegni, e Maria Letizia undici, in maggioranza oli — la critica si esercita anche nel tentare di districare il “groviglio che annoda le due artiste”, una “specchio dell’altra”, legate da una “complicità silenziosa”, che “non ha per oggetto l’amore ma la pittura, così che il continuo riflettersi dell’una nell’altra serve, all’una e all’altra, per scandagliare meglio le tante sollecitazioni offerte dalla pittura romana degli anni Trenta e Quaranta». Questo il giudizio critico di Mario Quesada che Francesca Lombardi riporta nel suo libro Le artiste e la città, pubblicato da Anicia, col quale recentemente ha contribuito alla riscoperta artistica di Maria Letizia e Laura Giuliani.
I decenni Trenta e Quaranta furono gli anni della loro migliore espressione, poi il sodalizio artistico tra le due sorelle in parte si allentò e fu la vita a farlo. L’allontanamento di Laura dalla casa paterna dopo il matrimonio con l’architetto Mario Redini, le sopraggiunte maternità con compiti e doveri nuovi, gli impegni familiari resero meno allineate quelle strade fino ad allora parallele.

Dopo la morte del padre Giulio Cesare, avvenuta nel 1954, Maria Letizia e Laura si dedicarono maggiormente al laboratorio di famiglia, sia realizzando i cartoni sia seguendo la realizzazione di vetrate per alcuni edifici sacri.

Ancor prima della morte del padre, nel 1949, le due sorelle avevano preso parte alla creazione di nove raffigurazioni di pontefici per la chiesa romana di Sant’Eugenio e si trovarono impegnate, tra il 1953 e il 1971, nel completamento del ciclo di vetrate per la basilica di San Giuseppe nel quartiere Trionfale di Roma; in seguito furono realizzate le vetrate colorate dell’unica navata della chiesa di Santa Barbara alle Capannelle (1957-1961), quelle dell’Istituto penale per i minori di Casal del Marmo, sempre a Roma, e il rosone del Santuario di Santa Maria della Quercia a Viterbo, opere attribuibili alla creatività di Maria Letizia.

Alla sola Laura sono riferibili invece le vetrate delle chiese romane di S. Ignazio di Antiochia allo Statuario (1958-1965) e Regina Mundi (1971-1972). Per quest’ultima impresa furono utilizzate le “dalles de verre”, porzioni di vetro simili a mattonelle piuttosto spesse ottenute per colatura in appositi stampi, lasciate raffreddare e infine tenute insieme con cemento o resine epossidiche. A parità di superficie il vetro “dalles”, che si presenta in forma diversa uno dall’altro per levigatezza di superficie, colore e spessore, consentiva il passaggio di una quantità inferiore di luce, rispetto alla tradizionale tecnica con legatura a piombo, ma permetteva lo sviluppo di superfici molto ampie.

Nell’abside della chiesa Regina Mundi Laura Giuliani rappresentò la Madonna, Regina del mondo e Madre del Carmelo come si legge nella parte inferiore della grande vetrata, secondo l’iconografia della donna vestita di luce dell’Apocalisse, con la luna ai suoi piedi e una corona di dodici stelle; al lato il profeta Elia con la spada di fuoco e san Simon Stock, protettore dell’ordine carmelitano. All’inaugurazione della vetrata presenziò Paolo VI, sotto il cui pontificato venne realizzata l’opera interamente finanziata dallo stesso papa.

«Considero la vetrata per quello che è: pezzi di vetro colorato uniti con piombo che formano il disegno» — il commento di Laura Giuliani è riportato da Francesca Lombardi nel suo libro citato — «Per questo impreziosisco la forma sfaccettandola, facendo brillare pezzi chiari sugli scuri; rompo l’intero colore delle figure facendo rientrare il colore del fondo. Cerco cioè di non costruire la figura sopra il fondo, ma di frammentarla in modo che essa non appaia in piena evidenza, intagliata sul fondo, e che non sia plastica. Dal punto di vista della grafica cerco che vi sia un equilibrio di fattura sull’intera vetrata: parti più elaborate e parti meno, non insistendo troppo sui volti».

Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese
***
Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.
