«We exist to open eyes». (Josef and Anni Albers Foundation).
Tessere. Attività antichissima, ancestrale, necessaria per la sopravvivenza e per molte attività umane, carica — per sua intima natura — di significati simbolici che vanno ben oltre i suoi scopi pratici e quotidiani; tessere vuol dire collegare, creare relazioni, immaginare ciò che non c’è ancora e realizzarlo. Attività, però, ingiustamente costretta — come tante altre — tra due argini; innanzitutto è stata considerata artigianato e non “arte”: non si è tenuto conto dell’arazzo di Bayueux, o di quelli, magnifici, delle manifatture francesi del XVII e XVIII secolo né considerato che grandi artisti, come Raffaello ad esempio, abbiano creato disegni per la tessitura; e poi è un’arte femminile, come tale minore, utile solo per soddisfare bisogni quotidiani o per assurgere a simbolo, con Penelope, della fedeltà al proprio marito.


Tutto questo è radicalmente trasformato da Anni Albers: le sue tessiture saranno veri lavori “d’architettura”, realizzati utilizzando tecniche tradizionali e inventandone di nuove. Annelise Else Frieda Fleischmann nasce a Berlino il 12 giugno 1899, da una famiglia benestante di origine ebraica: la madre, di discendenza nobile, è proprietaria di un’importante casa editrice, il padre è costruttore di mobili. Fin da piccola mostra interesse per le arti; dal 1916 al 1919 studia con il pittore impressionista Martin Branderburg, nel 1920 frequenta la Scuola di arti applicate di Amburgo. Nel 1922 va a Berlino per iscriversi al Bauhaus e incontra Josef Albers, che in seguito descriverà così: «un giovanotto emaciato, che arrivava dalla Westfalia e che aveva una frangetta irresistibile». Più grande di lei di undici anni, cattolico, di famiglia più modesta, l’aiuta a superare l’esame di ammissione (al primo tentativo era stata respinta), inizia a corteggiarla; si sposano tre anni dopo e rimarranno sempre insieme fino alla morte di Josef (1976).


L’esperienza del Bauhaus è centrale per entrambi: lì si formano e poi insegnano fino al 1933 quando la scuola, nata nel 1919 insieme alla Repubblica di Weimar, viene chiusa dal regime nazista. Il Bauhaus era una scuola innovativa, libera da stantii condizionamenti accademici: si vogliono integrare artigianato e arti, rinnovare i canoni estetici; qui docenti e studenti lavorano insieme per sperimentare soluzioni nuove e integrare la bellezza negli oggetti di uso comune. Frequentandola Anni ha l’opportunità di incontrare grandissimi maestri — Vassily Kandinskij, Paul Klee, Johannes Itten, Piet Mondrian — e Paul Klee che ispirerà il suo stile.

Nonostante il carattere molto innovativo della scuola, aperta anche alle donne, numerose attività — come la falegnameria, la scultura, la lavorazione del vetro o dei metalli, quelle che Gropius definiva «le aree più pesanti del mestiere» — erano loro interdette. Per questo Anni, che avrebbe voluto frequentare un laboratorio per il vetro seguito da Josef, si iscrive a quello tessile. La sua maestra è Gunta Stöltz che le insegna i segreti di quest’arte e gliene fa intravedere le possibilità creative. Nel 1927 segue le lezioni di Paul Klee e inizia a disegnare tappezzerie murali e tende per alcuni teatri. Nel 1930 ottiene il diploma del Bauhaus con un innovativo progetto di tappezzeria fonoassorbente e riflettente alla luce realizzato per l’Auditorium di Bernau. Nel 1931 è nominata Direttrice del laboratorio di tessitura.
In questi anni viaggia molto con Josef, in particolare in Spagna e in Italia. La visita di Firenze, dove i coniugi Albers trascorrono la luna di miele, influenzerà il suo lavoro per due aspetti: le facciate geometriche delle chiese (San Miniato al Monte, Santa Croce, il Duomo), combinate con le suggestioni di Paul Klee si riflettono chiaramente nei suoi tessuti; inoltre scopre qui, del tutto casualmente in seguito all’acquisto di un cappellino, la possibilità di intrecciare fili di lana e fibre elastiche ottenendo tessuti capaci di adattarsi a ogni forma. La capacità di assorbire e di farsi ispirare da ciò che vede, dalle arti e dai manufatti di altre culture rimane una costante della sua vita. Quando, tra gli anni Trenta e Quaranta, viaggerà in America Latina, la pittura e l’architettura delle culture precolombiane con le loro forme geometriche diventeranno anch’esse fonte di ispirazione e saranno integrate nei suoi lavori.


Nel 1933 con l’avvento del nazismo e la chiusura del Bauhaus, Anni — ricordiamo la sua origine ebraica — e il marito si trasferiscono in America, destino comune a moltissimi esuli ebrei in questi anni. Accettano una proposta d’insegnamento presso il Black Mountain College in North Carolina. Anni continua il suo lavoro di sperimentazione e insegnamento, da qui parte con Josef verso Cuba, il Cile il Perù e verso il Messico, Paese «in cui l’arte è ovunque». Nel 1949 gli Albers si trasferiscono a New York; nello stesso anno il Museum di Modern Art organizza la mostra Anni Albers Textiles, la prima retrospettiva dedicata al lavoro di una donna e di un/una artista tessile mai realizzata da un museo. Nel 1950 si spostano a New Haven, Connecticut (dove, per la prima volta dopo venticinque anni di matrimonio, vivono in una casa di loro proprietà). Anni continua a tessere, crea oggetti per la produzione industriale e opere che chiama “pitture tessili”, tessuti di piccole dimensioni, montati su lino e incorniciati. Tiene conferenze, scrive libri e articoli; particolarmente significativi sono: Design: anonimo e senza tempo (1947), The Pliable Plane: Textiles in Architecture (1957), On Designing (1959) e On Weaving (1965). In essi espone alcune considerazioni teoriche, molto attuali. Nel 1963 inizia a interessarsi alla litografia e dal 1970 si applicherà esclusivamente alle arti grafiche. Le vengono dedicate rassegne e mostre; ricordiamo Anni Albers: Prints and drawings, organizzata nel 1977 dal Broklyn Museum e la retrospettiva della Renwick Gallery di Washington del 1985. Nel 1990 il Royal College di Londra e la Rhode Island School of design le conferiscono la laurea ad honorem. Muore il 9 maggio 1994 a Orange (Connecticut).


Nella sua lunga e multiforme attività Anni Albers rivoluziona il modo di guardare e produrre tessuti. “Costretta” a occuparsi di tessitura, ne esplora le possibilità innovative, cerca nuove strade; rifiuta le decorazioni floreali e propone forme geometriche, “architettoniche”: linee, quadri, frecce si alternano nei suoi lavori, si ripetono, si richiamano seguendo un ritmo segreto. Sperimenta materiali inediti, li sfida per piegarne le qualità ai suoi progetti: nella seconda metà degli anni Venti lavora con fibre sintetiche, cellophane e rame intrecciato, in seguito utilizzerà materiali quali il mais, la canapa, la iuta e l’erba.


Cerca soluzioni originali: «lavoravo molto cercando di sviluppare nuove tecniche di tessitura. Per esempio… mi interessava unire le proprietà di riflessione della luce e dell’assorbimento del suono alla durabilità del tessuto, cercando di ridurre al minimo la tendenza dell’ordito a deformarsi». Nei suoi lavori teorici sostiene che la tessitura è “costruzione” architettonica di un oggetto, vicina a questa techne più che alla pittura: nel tessere gli aspetti che contano , a cui bisogna dare spazio, che definiscono il prodotto finito sono la ruvidità, la levigatezza, la lucentezza, etc. Su questi aspetti l’artigiano/a (così ha sempre preferito farsi chiamare, non artista) deve concentrarsi; sono qualità che emergono se non ci si lascia distrarre dal colore. Si deve cercare l’essenziale: lasciar parlare il materiale, “toccarlo con mano”, “rispettarlo”; per questa ragione la figura dell’artigiano, che pratica e conosce la materia, e i suoi suggerimenti sono centrali così come proficua è la sua collaborazione per la produzione industriale. Il design deve conciliare funzionalità e bellezza, anche — e direi soprattutto — negli oggetti di uso quotidiano; non l’individualità del designer ma la materia, la forma, la funzionalità dell’oggetto devono emergere :«è meglio lasciar parlare il materiale, piuttosto che parlare noi», bisogna ritrarsi, lasciar spazio alla materia. Queste indicazioni, modernissime e attuali, ora che stiamo soffocando e stiamo soffocando il mondo, valgono non solo per l’artigiano/artista ma per chiunque: «Dobbiamo imparare a scegliere ciò che è semplice e duraturo anziché ciò che è nuovo e individuale […]. Ciò significa ridurre invece di aggiungere […]. Le nostre case sono sovraccariche di oggetti solo occasionalmente utili che […] dovrebbero avere un’esistenza solo temporanea. E invece ci si attaccano addosso come noi ci attacchiamo a loro, limitando la nostra libertà. Il possesso può degradarci» (Il design, 1943). Un altro aspetto importante della sua attività e nella sua vita è stato l’insegnamento. Insegna alle/agli studenti che i limiti posti dalla materia “indocile” non sono un vincolo ma sfide per l’immaginazione, incoraggia anche nei principianti «un modo libero di avvicinarsi alla materia […]. Il coraggio è un fattore importante in qualsiasi sforzo creativo», insegna loro che «bisogna esplorare luoghi dove nessuno prima di noi è stato»: per questa sua lungimiranza e per il suo entusiasmo i suoi scritti e le sue opere sono ancora letti, discussi, fonte continua di indicazioni e di ispirazione.


Per concludere vorrei porre l’accento sul sodalizio attivo con il marito. Personalità forti e innovative hanno costruito un dialogo che lasciava spazio alle loro soggettività e alla loro autonoma espressione artistica confrontandosi sempre e imparando l’uno dall’altra. Questo aspetto, come sottolinea Nicolas Fox Weber, direttore della fondazione a loro dedicata, trova espressione in Equal and unequal: un quadro che Anni e Joseph Albers avevano nella loro camera da letto a New Haven. Dipinto da Josef nel 1939 esso è, a suo parere, un «ritratto perfetto degli Albers». Due quadrati si intrecciano e danzano nel vuoto, pur mantenendo la loro indipendenza. «Come il titolo del quadro, Anni e Josef Albers erano proprio come volevano essere: uguali e ineguali».
Qui le traduzioni in francese, spagnolo e inglese.
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Articolo di Angela Scozzafava

Si è laureata in filosofia della scienza con il prof. Vittorio Somenzi e ha conseguito il Diploma di perfezionamento in filosofia. Ha insegnato — forse bene, sicuramente con passione — in alcuni licei. Ha lavorato nella Scuola in ospedale, ed è stata supevisora di Scienze Umane presso la SSIS Lazio. Attualmente collabora con la Società Filosofica Romana; scrive talvolta articoli e biografie; canta in cori amatoriali e ama i gatti.
