In Sicilia sono state inaugurate due Camere d’autrice. La prima a Licata presso l’Hotel Il Faro a Raina Dandulova, la seconda a Ragusa, nella Dimora Spartivento a Maria Occhipinti.
Due città che hanno voluto rendere omaggio a due donne protagoniste del territorio.
Raina era nata in Bulgaria, a Kanzaluk, il 15 dicembre del 1914. Un evento tragico la condusse a Licata, nel febbraio del 1974, quando la nave mercantile Seagull si incendiò inabissandosi nelle acque antistanti la costa licatese con ventinove persone di equipaggio, tra cui il marito. Inspiegabilmente non venne prestato soccorso. Per ben otto giorni, riferiscono alcune fonti, non si indagò su quello che era accaduto.
L’unica persona che si affannava a cercare notizie era Raina Dandulova che si scontrava contro muri di silenzio e di omertà. Quando arrivò a Licata per indagare, incontrò i pescatori, il personale della Capitaneria e un parroco che cercarono di affiancarla nelle ricerche. Altre/i licatesi si prodigarono nel sostenerla moralmente e psicologicamente soprattutto quando il mare iniziò a restituire pezzi del relitto e la salma del secondo ufficiale di macchina. Il cadavere fu ritrovato accanto a una zatterina di salvataggio: l’autopsia svelò che era sopravvissuto almeno tre giorni dopo l’incidente.
Da quel momento, pur se affranta dal dolore, Raina decise di dedicare la propria vita all’individuazione di chi era responsabile del mancato soccorso. Chi l’ha conosciuta la descrive come una donna minuta ma con un carattere di roccia. Dalla Bulgaria si era trasferita in Italia per intraprendere gli studi universitari e dopo aver conseguito la laurea in Lettere a Roma, si iscrisse all’albo dei giornalisti. Per quarant’anni collaborò con l’Ansa, con Radio Belgrado, Radio Vaticana e Radio Onde Corte.
Nel 1942 convolò a nozze con Frane Junakovic, un ufficiale marconista di bordo. La sciagura della Seagull sconvolse per sempre la sua vita lasciandola vedova, con due figli a carico e in precarie condizioni economiche, ma grazie al suo impegno nacque il Comitato Seagull che riuscì a portare in giudizio gli armatori che vennero arrestati, anche se rinnegarono sempre la proprietà del mercantile. La sua battaglia personale si trasformò in una battaglia per affermare diritti e dignità al lavoro in mare.
Grazie anche al suo impegno si ottenne l’emanazione della legge 4 aprile 1977 che attribuisce responsabilità civile e penale agli agenti marittimi, la modifica di alcune leggi del codice di navigazione, l’abrogazione di alcune circolari ministeriali inique e l’avvio delle pratiche per ratificare dei trattati internazionali.

Raina non si sottrasse mai al dovere di fornire supporto tecnico e morale non solo alle e ai familiari delle vittime dell’equipaggio della Seagull, ma anche a persone coinvolte in altri incidenti che purtroppo si verificarono successivamente, come ad esempio quello dello Stabia I, nel 1979, davanti al porto di Salerno.
Il Comitato Seagull di Licata, nel 1982, istituì una ricorrenza annuale per non dimenticare le vittime di quel naufragio e lei ritornava sempre a Licata fin quando la salute glielo permise. Si è spenta ad Ariccia, dopo lunga malattia, l’otto luglio del 2008 all’età di 93 anni.
La camera a lei intitolata è quella in cui lei soggiornava nei giorni della commemorazione e dal cui balconcino osservava quel pezzo di mare che custodiva i resti di suo marito.

Maria Occhipinti invece, grazie a questa intitolazione, è ritornata nella sua città natale: Ragusa. Una città che l’aveva vista protagonista di un noto atto di ribellione contro la guerra. Una città che in seguito l’avrebbe allontanata e dimenticata. È stata una scrittrice, una poeta, un’attivista, una femminista e una pacifista, una leader del movimento antimilitarista “Non si Parte”.

Era nata a Ragusa il 29 luglio del 1921 in un quartiere popolare dove regnava tanta miseria e tanta ignoranza e lei, con il suo desiderio di giustizia e il suo amore per il bello, cercava di modificare quella triste situazione esistenziale.
Nel 1944, si iscrisse alla Camera del Lavoro contro il volere di tutta la famiglia e le fu naturale farsi portavoce di tutti i problemi delle donne, dei contadini, degli sfruttati, dei più poveri della sua città. Il suo ricordo è soprattutto legato al gesto coraggioso che compì il 4 gennaio del 1945 quando, a ventitré anni e incinta di cinque mesi, si distese a terra per impedire il passaggio a un camion militare pieno di giovani uomini “rastrellati” in città per essere mandati al Fronte.
Fu arrestata, processata e condannata al confino a Ustica. In quella piccola isola diede alla luce la figlia Maria Lenina Licitra. Dopo aver partorito fu trasferita nel carcere delle Benedettine di Palermo. Durante la detenzione, il suo spirito ribelle non si sopì mai: protestava soventemente per le scarse condizioni igieniche, per la pessima qualità del cibo, inducendo le altre detenute a ribellarsi. Queste sue proteste allungarono la sua pena detentiva. Fu scarcerata nel mese di dicembre del 1946 e ritornò a Ragusa dove sin da subito avvertì l’ostilità della gente, delle amiche e degli amici di un tempo che la schivavano o facevano finta di non conoscerla. Quando anche la sua famiglia la ripudiò, Maria decise di partire. Da quel momento iniziò il suo lungo viaggio per il mondo. Visse in tante città italiane e poi in Svizzera dove, nel 1957, scrisse la sua autobiografia Una donna di Ragusa.

Il suo secondo libro Una donna libera è del 1973, pubblicato postumo, nel 2004, dalla casa editrice Sellerio. Dopo altri dieci anni scrisse Il carrubo e altri racconti. La sua è una scrittura libera, così come era lei. Non aveva l’obiettivo di accattivare lettori e lettrici, anzi li risucchiava in vortici di pensiero poco rassicuranti e in angoli di mondo materiali e spirituali che richiedevano riflessioni e ripensamenti. Il suo sguardo squarciava le ingiustizie che l’avevano vista testimone diretta. Le sue osservazioni caustiche e il suo raccontare sempre la verità a qualunque costo, la resero invisa in molti ambienti politici e femministi che frequentava.

Durante la sua vita. il suo impegno contro le guerre fu sempre costante, come l’impegno contro il razzismo e tutte le tipologie di ingiustizia sociale. Aveva un alto senso di onestà e si prodigava in mille modi per aiutare le persone più bisognose. Fu sempre accanto alle donne in lotta per il raggiungimento della libertà da stereotipi, pregiudizi e discriminazioni.
Maria Occhipinti fu una donna disobbediente che non voleva vivere in un mondo dominato dal capitalismo, dall’arricchimento a tutti i costi, dal non rispetto per la dignità altrui, dalla violenza e dalla sopraffazione. Viaggiò in lungo e in largo per il mondo svolgendo diversi mestieri: fu cameriera a New York, portantina a Casablanca, infermiera a Losanna e per sei mesi lavorò anche in un ospedale psichiatrico alle Hawaii. In ogni luogo coglieva lo spirito degli abitanti, imparava la ricchezza della diversità di razza, di pensiero, di cultura.
Con questo prezioso carico di esperienza, nel 1973, decise di fermarsi e di stabilirsi definitivamente a Roma dove intraprese collaborazioni con varie riviste e quotidiani e proseguì il suo impegno politico e pacifista. È morta a Roma il 20 agosto del 1996.
Con questa Camera d’autrice a lei dedicata, adesso saranno le viaggiatrici e i viaggiatori di tante parti del mondo a incontrarla scoprendo i suoi scritti e i suoi ideali di pace e giustizia.
In copertina: targa per Raina Dandulova a Licata.
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Articolo di Ester Rizzo

Giornalista. Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, socia Sil, collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra editore ha curato il volume Le Mille. I primati delle donne. Autrice dei saggi: Camicette Bianche, Donne Disobbedienti, Il labirinto delle perdute e i romanzi storici Le ricamatrici e Trenta giorni e 100 lire, sempre per Navarra editore.
