Oltre il tempo patriarcale. La lungimiranza di Anna Kuliscioff, a cura di Fiorenza Taricone ed edito da Tabedizioni, è un lavoro collettivo che scaturisce da una tavola rotonda svoltasi a Modena il 14 marzo 2023 presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Modena e Reggio Emilia promossa dal Crid (Centro di ricerca interdipartimentale su discriminazioni e vulnerabilità) all’interno di un ciclo di seminari e dialoghi per la celebrazione della Giornata internazionale della donna.
I contributi di Fiorenza Taricone, Liviana Gazzetta e Isabel Fanlo Cortés cercano di definire aspetti meno noti della complessa e multiforme vita pubblica e privata di Anna Kuliscioff in occasione dei cent’anni della sua scomparsa e si propongono di far emergere aspetti estremamente contemporanei del suo pensiero e della sua azione, come testimoniato dalle straordinarie intuizioni che caratterizzarono un’esistenza impegnata per la tutela della salute, del lavoro, per il riconoscimento del suffragio e dell’istruzione femminile.
Il primo saggio dal titolo Il privato e i sentimenti della politica è di Fiorenza Taricone ed esplora il singolare intreccio tra vita pubblica e privata della pensatrice russa, indagandone i sentimenti agiti in campo politico, ma anche le conseguenze dell’affiancare alla propria esperienza socialista l’interesse per il processo di emancipazione femminile che da esigenza individuale diventò battaglia collettiva. Per indagare il legame tra questi elementi, Taricone sostiene che fu l’associazionismo ad aprire prospettive nuove e dirompenti nelle esistenze femminili, determinando il passaggio da un tipo di assistenza caritatevole a una sempre maggiore consapevolezza nelle militanti del proprio agire politico. Maturò, inoltre, nelle donne impegnate, l’esigenza di mantenere rapporti al di fuori della sfera domestica che le indusse a scoprire affinità e attitudini con le compagne tanto da contribuire alla definizione di una propria individualità e, contemporaneamente, alla consapevolezza dell’asimmetrico rapporto uomo-donna.
Lo studio dell’associazionismo femminile è per l’autrice importante anche per scoprire le caratteristiche del carisma femminile, ne sono una testimonianza le forme di leaderismo sviluppate dalle prime donne impegnate e la modalità di trasmissione degli incarichi, che poteva avvenire in modo orizzontale, con la scelta di donne appartenenti al medesimo nucleo famigliare, ma anche in modo verticale perlopiù sulla base della comunanza e della condivisione di idee. L’adesione all’associazionismo femminile vide in prima fila donne nubili o vedove: conciliare gli impegni pubblici con una vita famigliare intensa non era facile e richiedeva necessariamente di essere in sintonia con il coniuge, che pertanto doveva essere o progressista o comunque intellettualmente aperto.
È indubbio che la militanza nell’associazionismo femminile permise la creazione di reti di donne che si riconoscevano come sorelle e il mobilitarsi in massa diventò per loro lo strumento di condivisione di battaglie comuni come quelle contro la regolamentazione della prostituzione e per un’equa retribuzione salariale. L’appello alla sororità è ancor più evidente nelle pagine del periodico “La donna” fondato da Gualberta Alaìde Beccari. Per Taricone, questo percorso che si realizzò attraverso l’approccio politico e solidale maturato all’interno dell’associazionismo diede un nuovo volto all’affettività femminile, che acquistò forza in un contesto pubblico senza per questo trasformarsi nella razionalità maschile.
Per l’autrice, Kuliscioff rappresentò un esempio di questo percorso in quanto fu un punto di riferimento per la teoria e la pratica politica socialista, nonché contribuì alla costruzione di una nuova morale personale e pubblica. L’eccezionalità di questa figura femminile sta anche nel fatto di essere stata una delle poche propagandiste socialiste a non venir dimenticate, anzi la memoria storica ne ha celebrato la figura. Le ragioni di questa centralità nella memorialistica politica socialista sono dovute a molteplici fattori: la complessità e densità del percorso politico; l’internazionalismo delle esperienze; il prestigio guadagnato all’interno del partito, ma anche il carattere avventuroso e fuori dai canoni della vita privata.
La tesi sostenuta da Taricone nel suo saggio è che la fede socialista di Kuliscioff, e di altre compagne socialiste, avesse un sostrato culturale e sentimentale insieme e ciò sarebbe testimoniato innanzitutto dalle forme di propaganda utilizzate e finalizzate a coinvolgere le lavoratrici, anche quelle meno alfabetizzate, facendo leva su temi legati al quotidiano (salario, precarietà, fame, mortalità e incidenti sul lavoro) e utilizzando un’oratoria che fosse eloquente e convincente proprio perché in grado di emozionare. Questa attenzione per il coinvolgimento delle masse, puntando sulla dimensione emotiva, maturò in Kuliscioff precocemente vedendo le durissime condizioni di vita dei contadini e delle contadine russe e scaturì da sentimenti di indignazione e di ribellione che la spinsero all’azione, quando, giovane studente al Politecnico di Zurigo, si avvicinò a gruppi influenzati dal pensiero di Bakunin e Saint-Simon. Dal trinomio compassione-indignazione-razionalizzazione scaturì, inoltre, una delle idee più potenti e attuali di Kuliscioff e cioè la ferrea convinzione che l’emancipazione femminile si potesse realizzare attraverso l’indipendenza economica delle donne.
La rivendicazione della libertà è un elemento centrale del suo pensiero politico, ma lo è anche nella vita privata, come dimostra la relazione con Andrea Costa. Dopo un primo momento in cui Anna Kuliscioff tentò di adeguarsi alla mentalità della famiglia romagnola di Costa, pur scontrandosi con l’ostilità di due genitori che le preferivano Violetta Dell’Alpi, una sarta di Ancona da cui lui aveva già avuto un figlio, decise di trasferirsi in Svizzera, approfittando di un decreto di espulsione dall’Italia mai revocato. A guidare questa scelta, contribuì la maternità e l’arrivo di Andreina, l’unica figlia avuta da Costa. A Berna si iscrisse a medicina, frequentò le lezioni e partecipò alle esercitazioni grazie all’aiuto della madre che venne dalla Russia per sostenerla. Seguirono l’avvio del legame sentimentale con Filippo Turati, la laurea a Napoli, la specializzazione in ginecologia e la ricerca di un’autonomia personale che la portarono a rivendicare scelte differenti e in contrasto con il nuovo compagno. È proprio attraverso una chiara politica dei sentimenti che, per Taricone, Anna Kuliscioff compì scelte politiche e personali anticonformiste e con le quali contribuì a veicolare la linea politica di un partito impegnato nella rivendicazione dei diritti civili e nel confronto laico con la società.
Il saggio di Liviana Gazzetta dal titolo Convergenze parallele? Anna Kuliscioff e i congressi femministi del 1908 si occupa della posizione di Anna Kuliscioff rispetto agli incontri organizzati da alcune associazioni femministe nel 1908, al primo dei quali, cioè il primo Congresso nazionale delle donne italiane, non partecipò come altre personalità di spicco del femminismo d’area socialista, tra cui Anna Maria Mozzoni ed Emilia Mariani. La lettura che è stata data a tale defezione è quella della classica alternativa tra femminismo borghese e classismo socialista, che viene però considerata riduttiva dall’autrice del saggio che manifesta l’intenzione di indagarne le ragioni profonde, proponendo una riflessione sul rapporto tra socialismo e femminismo nel pensiero di Kuliscioff e dimostrando come i Convegni nazionali delle donne italiane di Roma e di Milano, del 1908, indussero la pensatrice russa a una revisione del proprio pensiero in merito alla considerazione del femminismo da intendersi come il movimento delle donne non proletarie.
È indubbio che Kuliscioff, alla fine dell’800, considerasse la questione femminile inserita all’interno della lotta di classe e basasse la propria riflessione e azione politica sulla convinzione che tale questione fosse puramente economica, convinta che le trasformazioni delle condizioni delle lavoratrici nel sistema produttivo avrebbero garantito cambiamenti relativi alla cittadinanza formale e alle stesse relazioni uomo-donna. Il Partito socialista sosteneva in teoria tali rivendicazioni, ma la realtà dei fatti era connotata da prassi e linguaggi che scoraggiavano la parità. Anna Kuliscioff non perdeva occasione per invocare interventi organici che portassero alla parità salariale, al riconoscimento del diritto al divorzio, alla ricerca della paternità e al voto politico e amministrativo per le donne, un pacchetto di rivendicazioni che erano in linea con il primo femminismo, quello dei Diritti della donna e della cittadina di De Gouges, ma che si sarebbero dovuti realizzare contestualmente al trionfo del socialismo. Questa visione pose Anna Kuliscioff nella condizione di polemizzare con le leghe per la tutela degli interessi femminili che, invece, ritenevano che il femminismo avrebbe ceduto il passo al socialismo.
L’organizzazione di due Congressi femminili prima a Roma, a cui venne invitata e a cui sarebbe andata, come scrisse all’amica Rosa Genoni, se le sue condizioni di salute l’avessero permesso, e pochi mesi dopo a Milano, portarono Anna Kuliscioff a rivedere le proprie posizioni fortemente critiche nei confronti del femminismo, che lei distingueva dall’emancipazione femminile, da intendersi come un riscatto che partiva dalla dimensione economica e dal lavoro. In una fase in cui il movimento femminista aveva avuto uno sviluppo crescente sia a livello nazionale che internazionale, non si poteva non riconoscergli dei meriti tra i quali l’efficienza organizzativa, l’abilità nella mobilitazione femminile e la capacità di cercare terreni comuni di intervento anche con le lavoratrici. L’autrice sostiene che questa operosità del femminismo convinse Kuliscioff a riconoscerlo come interlocutore, cosa che in precedenza non aveva fatto, ma non poteva prescindere dai limiti che entrambi i congressi avevano messo in luce e cioè il non aver saputo dare centralità alle rivendicazioni economiche femminili e non aver approfondito la questione del proletariato femminile; pertanto, era inadeguato per il raggiungimento dell’emancipazione femminile. Per tali motivi, Gazzetta conclude sostenendo che Kuliscioff, pur cambiando la propria posizione relativamente alla considerazione del femminismo, non modificò la convinzione che esso non potesse essere considerato un compagno di strada delle organizzazioni femministe che ne oltrepassavano gli obiettivi.
Il saggio finale di Isabel Fanlo Cortés si occupa del rapporto tra Anna Kuliscioff e la questione minorile, per cui la pensatrice russa nutrì un profondo interesse a partire dalla sua professione di “dottora dei poveri” che poté esercitare nell’ambulatorio medico gratuito istituito da Alessandrina Massini Ravizza, vedendo le condizioni di miseria e malattia dell’infanzia proletaria milanese e cercando di porvi rimedio. Seguì poi l’impegno politico contro lo sfruttamento lavorativo di bambine/i e giovani donne di cui vengono evidenziati l’atteggiamento di denuncia e il costante studio della questione supportato dal continuo aggiornamento mediante l’analisi di indagini statiche e ricerche, che la portarono a descrivere quanto stava accadendo come un’“invasione delle donne nelle industrie” e soprattutto delle bambine. Questo sfruttamento della manodopera minorile femminile è stato considerato dalla storiografia come una specificità italiana per rendere i prezzi competitivi data l’arretratezza economica e la mancanza di uno sviluppo tecnologico trainante dell’Italia. Nel lungo periodo però sfavorì il progresso tecnico e l’aumento della produzione, contribuendo ad aumentare il tasso di disoccupazione maschile, che venne utilizzato da Kuliscioff per mobilitare il proletariato maschile contro il lavoro minorile. Dalla denuncia, la sua iniziativa politica passò alla presentazione di una proposta di legge che fosse capace di tenere in considerazione le diverse esigenze di tutela del sottoproletariato femminile composto da donne adulte, ragazze, fanciulle e bambine.
I risultati però tradirono le aspettative perché la legge Carcano del 1902 per la regolamentazione del lavoro femminile e minorile, oltre a ignorare la parità salariale, unì la regolamentazione del lavoro di categorie con esigenze differenti. Tale legge rispondeva, infatti, a sentimenti filantropici e si preoccupava solo di contenere i gravi pericoli della degenerazione fisica e morale della classe operaia, ma non affrontava le specifiche rivendicazione delle due categorie coinvolte. Anna Kuliscioff, al contrario, si era impegnata per l’elaborazione di una proposta di legge socialista in materia di tutela del lavoro in grado di tener presenti i bisogni dei minori e delle donne già a partire dal 1894, anche se ufficialmente la campagna per sostenerla partì a Bologna nel 1897, non senza registrare lentezze e cautele di alcuni dirigenti del partito che non ritenevano centrali nell’agenda politica socialista le iniziative protettive dell’occupazione femminile. Nel progetto di legge socialista, la tutela del lavoro minorile prevedeva l’innalzamento dell’età necessaria alla prestazione lavorativa nelle industrie e nei lavori agricoli e familiari e il divieto del lavoro notturno e sotterraneo delle donne. Altro elemento essenziale della proposta socialista era la durata massima dell’orario di lavoro che doveva essere commisurata all’età. Infine, prevedeva l’istituzione di scuole professionali di completamento elementare: all’epoca erano soprattutto le bambine a fare le spese maggiori dell’evasione scolastica e fornire loro un’adeguata educazione divenne un obiettivo fondamentale dell’associazionismo femminile oltre che della stessa Kuliscioff naturalmente. La legge Carcano non recepì tutte queste disposizioni che erano finalizzate a migliorare le condizioni di vita, ma anche di lavoro di donne e bambine/i, al contrario essa fece prevalere gli interessi degli industriali, rivedendo al ribasso le età minime di acceso al lavoro rispetto a quelle proposte dai socialisti e non prevedendo tutele per l’istruzione delle e dei fanciulli. Con questa legge, insomma, si voleva principalmente evitare la corruzione di ragazze e giovani donne impiegate in lavori notturni oppure in contesti domestici e, naturalmente, l’ottica era quella di esercitare forme di controllo della sessualità.
L’azione politica di Anna Kuliscioff si orientò, infine, verso la promozione di una legge protettiva delle madri lavoratrici con una serie di proposte finalizzate a permettere loro di svolgere quel lavoro di cura a cui lei teneva particolarmente, pertanto la proposta di legge socialista prevedeva la riduzione dell’orario di lavoro a quarantotto ore settimanali, il congedo obbligatorio di maternità, che avrebbe coperto sia il periodo precedente il parto che il puerperio, per un totale di sei mesi, in cui le lavoratrici madri avrebbero percepito un salario pari al 75% del giornaliero, coperto da una Cassa di maternità finanziata dallo Stato e dai datori di lavoro. La proposta non venne accolta, anche in questo caso, venne riconosciuto solo il congedo nel puerperio senza forme di sostegno economico; inoltre, esso non era previsto per il lavoro a domicilio, il lavoro familiare e quello agricolo. L’autrice del saggio riconosce che nella campagna socialista, la legislazione a favore delle lavoratrici-madri fosse finalizzata a evitare che venissero distolte dai loro compiti domestici. Anche nel pensiero di Anna Kuliscioff, ci sono tracce della naturalizzazione del ruolo materno che, secondo Fanlo Cortés, vanno lette nel contesto dell’epoca che non le aveva permesso di esplorare il peso dei condizionamenti sociali sulla scelta della maternità. Ciò che però viene messo in evidenza sono gli elementi estremamente innovativi introdotti dalla pensatrice russa: uno di questa è la speranza che il riconoscimento di un impiego dignitoso e rispettoso per le donne, sia madri che non, permettesse loro di dedicarsi a coltivare la propria umanità, partecipando attivamente alle varie forme di associazionismo femminile, leggendo e organizzando attività di svago con i figli. Anna Kuliscioff, inoltre, intuì il potenziale conflitto tra compiti di cura e impegni lavorativi, anticipando il tema della cosiddetta conciliazione che sarà ampiamente ripreso nel Novecento. Un ulteriore elemento che consente di cogliere la lungimiranza di Anna Kuliscioff è la sua battaglia per la difesa della libertà delle giovani donne di scegliere la propria vita anche se diversa dalle aspettative dei propri genitori, come accade per la figlia Andreina.
Il volume è corredato poi da un’antologia di testi che ben testimonia il connubio tra privato e sentimenti della politica come messo in risalto nel saggio iniziale. Sono presenti, infatti, gli articoli pubblicati su “Critica sociale” in cui Kuliscioff e Turati si confrontano, per lo più scontrandosi, sull’estensione del voto alle donne; ma anche quelli presenti su “La Difesa delle Lavoratrici” con appelli alle campagne e riflessioni politiche: tra di essi particolarmente intenso è quella dal titolo Guerra alla guerra, in cui è ben evidente la posizione pacifista delle socialiste italiane nel 1912. Oltre agli articoli, sono presenti lettere che, come i testi precedenti, sono anch’esse testimonianza di come pubblico e privato si sovrapponessero nell’esperienza politica di Anna Kuliscioff: ci sono le lettere all’amica Rosa Genoni e ai due compagni Filippo Turati e Andrea Costa. La sezione si conclude con la riflessione scritta a quattro mani con Turati sul lavoro delle donne e dei fanciulli.
A conclusione della raccolta di saggi e testi antologici, è presente un’appendice fotografica a cura di Marina Cattaneo con fotografie di Anna Kuliscioff immortalata in diversi momenti dell’intensa vita da lei vissuta. Esse ci restituiscono un ritratto dinamico di una delle donne più sovversive di fine Ottocento sia nel pensiero che nell’azione pubblica e privata di cui il volume prova a offrirci un’immagine inedita, focalizzandosi su aspetti poco esplorati e conosciuti, problematizzando alcune posizioni storiografiche e fornendo nuovi spunti interpretativi sulle posizioni di Kuliscioff di cui emerge, come sottolineato dal titolo, la lungimiranza, cioè quella capacità di prevedere con saggezza gli sviluppi degli avvenimenti futuri e proporre soluzioni che precorrono i tempi, segno distintivo dei migliori statisti.

Taricone, Fiorenza (a cura di)
Oltre il tempo patriarcale. La lungimiranza di Anna Kuliscioff
Tab Edizioni, 2025
pp.188
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Articolo di Alice Vergnaghi

Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.
