Secondo una recente ricerca Eurispes 25 donne italiane su 100 hanno modificato il loro corpo ricorrendo al bisturi; 3 su 100 lo han fatto più di una volta. Sono soprattutto le giovani fra i 18 e i 24 anni a cedere al “ritocchino”; sette su dieci sono state spinte a farlo perché insoddisfatte della loro immagine naturale. Il pensiero del proprio corpo che invecchia assilla il 41,1% delle donne. Lo sguardo esterno è spesso severo: al 73% accade di ricevere giudizi impietosi.
Man mano che cresce la domanda, sempre più si fanno pubblicità sul web medici improvvisati e cliniche a basso costo non autorizzate. Gli incidenti in sala operatoria aumentano, inoltre la diffusione di tutorial online e la possibilità di acquistare filler “fai da te” aumentano il rischio di auto-somministrazione di sostanze non sterili, con conseguenze imprevedibili.
«Morire per la bellezza …» giugno 2025
«Donna morta per liposuzione…» giugno 2025, è il terzo decesso dell’anno.
«Chirurgia estetica: i rischi di un’offerta low cost…» marzo 2024.
«Muore a 22 anni dopo un intervento di rinoplastica…» novembre 2024.
«Ho scelto il chirurgo in base al numero di followers…»
Il desiderio di migliorare il proprio aspetto fisico risale alla notte dei tempi, dall’Egitto all’India, ma oggi ha assunto le vesti di una vera e propria ossessione. ‘Eccesso’ è la parola chiave, ‘narcisismo digitale’ il nuovo input.
Il corpo va modificato secondo un progetto per adeguarsi al quale ci si costringe a un vero e proprio lavoro: quotidiano con le diete e le creme, i massaggi e il fitness, intermittente con il bisturi. In Italia nel 2023 si sono registrati più di 262 mila interventi di chirurgia plastica (come blefaroplastica, rinoplastica, addominoplastica, liposuzione, mastoplastica additiva) e quasi 500mila trattamenti non invasivi (infiltrazioni di acido ialuronico, botulino, peeling). I dati forniti dall’International Society of Aesthetic Plastic Surgery (ISAPS) nel 2021 mostrano che il nostro è il quinto Paese al mondo per numero di procedure di chirurgia estetica.
È nuovo e globale il fenomeno ‘influencers’, che riunisce personal/beauty advisor o promoter che danno consigli, indirizzano le scelte, propongono sconti spopolando su TikTok con milioni di visualizzazioni. La tirannia della bellezza è sempre stata una schiavitù, ma è oggi praticata su un feroce palcoscenico virtuale esposto quotidianamente alla crudeltà e al dileggio del prossimo. La pubblicità fa il resto. Anche se le richieste maschili sono in aumento (secondo Eurispes 2023 circa il 15,3%), il fenomeno riguarda principalmente (80%) le donne. Ha scritto di recente Jem Bloomfield (università di Nottingham) nel suo blog:
«Alle donne non viene dato un singolo standard per cui saranno ricompensate secondo il grado di ottenimento dello stesso. Sono soggette a standard contrastanti e contraddittori, fatti per assicurarle che non sono mai a posto. Sii snella, ma non scheletrica. Curati della tua apparenza, ma non essere vanitosa. Ricostruisci te stessa sino a diventare l’immagine che noi vogliamo, ma non apparire finta o artificiale. Usa i trucchi che ti fanno sembrare naturale».
Non più solo truccare: levigare, rassodare, ammorbidire, aspirare, spianare, rimpolpare, asciugare, rimodellare. Bisogna costruirsi un seno più voluminoso, un sedere più alto, un girovita più sottile, gambe più toniche, labbra più turgide, zigomi più pronunciati, capelli più lucenti, ciglia più lunghe, sopracciglia più corte, palpebre più lisce, nasino alla francese … perfino vagine perfette; bisogna eliminare ogni accenno di pancia, ogni larva di pelo, ogni fantasma di ruga. Sono previste infiltrazioni di collagene sulla pianta del piede per rendere accettabili le calzature dai tacchi vertiginosi, scomodissime ma sexissime.
Se si osservano i corpi rimodellati colpisce la loro drastica uniformità, appiattita su ciò che si presume possa attrarre sguardi maschili e sui modelli mediatici di moda. Stesso naso, stesse labbra, stessi seni, stessi glutei. Il populismo mediatico degli ultimi decenni di storia italiana li ha intrappolati nel ruolo di oggetti di piacere, dal velinismo alle venature ammiccanti dei talk show, fino ai livelli postribolari dell’Isola dei famosi o del Grande fratello. Le giovani generazioni hanno conosciuto solo questo.
Un giro d’affari miliardario prospera su queste ossessioni: il business delle insicurezze campa di proposte compensatorie. Alla base di tanti ricchi e articolati settori di attività c’è l’idea che il corpo femminile così com’è sia inadeguato e dunque vada riplasmato, modificato e messo a norma per adattarlo a una triade imperativa: giovinezza-bellezza-salute. Direttamente o indirettamente il corpo a cui si pensa è quello adatto a stare in vetrina, a favore di telecamera, sotto i riflettori. Intere generazioni vivono la socializzazione attraverso la mediazione simbolica delle figure omologate che popolano lo star system. Anche le donne che fanno politica vengono valutate e selezionate in base a questi criteri.
Inchiodate a un’ossessiva, eterna manutenzione che alimenta industrie sofisticate, ci è difficile viverci pienamente e accettarci serenamente. Soffriamo una rincorsa infinita tra reale e impossibile. Sembriamo condannate a impietosi auto-giudizi e a quotidiane frustrazioni: a provare costantemente lo scarto tra il corpo reale cui ci sentiamo incatenate e il corpo ideale cui ci sforziamo di somigliare, con un dispendio di energie che potrebbero esser dedicate a ben altre forme di autorealizzazione.
L’auto-oggettivazione a livello individuale moltiplica le emozioni negative, riduce la percezione di benessere, aumenta i sintomi depressivi e i disturbi alimentari, crea disfunzioni nelle abilità cognitive. A livello sociale perpetua gli stereotipi, incentiva le disuguaglianze, ostacola la parità.
Secondo Naomi Wolf (Il mito della bellezza, 1991) la fissazione culturale sulla magrezza non è un’ossessione sull’estetica ma un invito all’obbedienza. Le diete — come i corsetti strettissimi dell’800 — sono un sedativo potente: una popolazione di maniaci tranquilli è manipolabile.
L’auto-oggettivazione è il processo chiave mediante il quale donne e ragazze si fanno valutatrici di se stesse imparando a pensarsi come oggetti del desiderio altrui, autosvalutandosi al ruolo di comparse marginali in un copione in cui altri sono protagonisti. Le domande «Come mi sento? Cosa provo?» vengono sostituite da «Come appaio agli altri?». Sotto una fittizia libertà c’è la vecchia, frusta logica del gradimento maschile.
Chiara Volpato, docente di Psicologia Sociale presso l’Università di Milano-Bicocca, scrive nel suo saggio Psicosociologia del maschilismo (Laterza, 2013): «L’oggettivazione riduce le donne a oggetti di consumo, uguali, interscambiabili, privi di individualità, e comporta pesanti conseguenze personali e sociali. Prima di tutto, provoca l’interiorizzazione della prospettiva dell’osservatore, che fa sì che le donne stesse si considerino come oggetti il cui valore è interamente legato all’aspetto fisico, un fenomeno storicamente legato al ruolo subordinato delle donne nelle società patriarcali e al fatto che, nei secoli, la bellezza fisica ha costituito uno dei pochi mezzi su cui il genere femminile poteva contare per acquisire potere».
Un’altra tendenza sta dilagando, con la complicità interessata dell’industria della moda e della bellezza, da cui nessuno protegge l’infanzia. Se le adulte sono innaturalmente bloccate le bambine sono precocemente erotizzate, addestrate fin da piccole a recitare una femminilità seduttiva.
«Questa bambina è una bomba sexy, bimbe sexy con abiti trasparenti, costumi piscina per bambine sexy, immagini di sexy girls… Sephora Kids…». Le immagini della campagna del marchio olandese Boobs&Bloomers, ossia Tette e Mutandine, mostrano bimbe truccate, in reggiseno imbottito e pose ammiccanti.
La cosmesi per l’infanzia vanta un giro mondiale d’affari stimato intorno ai 50 miliardi di dollari l’anno. Le creme anticellulite per ragazzine si vendono come il pane. Se poi si guarda alla moda kids internazionale il giro d’affari registra cifre notevoli (solo quello di Pitti Bimbo a Firenze è di oltre due miliardi di euro).
Le foto vengono pubblicate sui social da genitori che le credono innocenti perché sono inconsapevoli dei rischi. A dieci anni fan posare le figlie come influencer e blogger di moda e lifestyle. Il successo sta nel numero dei like.
Concorsi di bellezza 3-6 anni, Baby Miss Spettacolo, Baby Top Model, Miss Principessa: decine di casting, per molti genitori trofei da esibire. Viene insegnato che il corpo è una scorciatoia per ottenere approvazione. Il Manicure Party è una festa di compleanno organizzata all’interno di centri estetici, pensata per le bambine a partire dai 4 anni.
«Le foto del tuo sedere sono più belle se ritoccate con Instagram, mandacele»: questa la presentazione di un gruppo di adolescenti su Facebook dedicato alla raccolta di fotografie.
Libri inquietanti (come Mamma perché sono grassa e Appena ho 18 anni mi rifaccio) dimostrano che lo specchio della matrigna di Biancaneve è passato nelle mani delle giovanissime. In un sondaggio della rivista Glamour il 97% delle adolescenti intervistate ha dichiarato di provare da tempo odio verso il proprio corpo (su di loro si esercita un doppio controllo: quello delle altre ragazze e quello dei ragazzi).
Che stupido, crudele paradosso. Cercar di diventare grandi con un anticipo micidiale e poi passare il resto della vita a cercar di sembrare giovani.
Torniamo al perenne punto in discussione: che cosa sia la libertà del soggetto femminile.
In copertina: Marcella, Ernst Ludwig Kirchner (particolare).
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Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.
