“Un’altra forma di amore”, titolo della mostra in corso al Casino dei Principi di Villa Torlonia a Roma, curata da Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis, e visitabile fino al 2 novembre 2025, è dedicata a due grandi protagonisti del Novecento italiano, Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Il titolo deriva da un’affermazione dello stesso Mafai che così scrive nel 1942: «quando tu mi dici che non puoi amare niente di più che il tuo lavoro, io ne potrei essere geloso, ma ti capisco e allora si è formata un’altra forma di amore che è piena di armonia venata di sottili nostalgie, e che ha qualche cosa di sublime».
E la location si sposa perfettamente con l’arte dei due artisti: Villa Torlonia, situata nel cuore di Roma, è uno dei luoghi più affascinanti della città, con i suoi giardini, le sue ville storiche, ed è il contesto ideale per introdurci al mondo ricco di suggestione dei due protagonisti, al loro linguaggio visionario e libero.

Arrivata a cinquant’anni dalla morte di Antonietta Raphaël (1975) e a sessanta da quella di Mario Mafai (1965), l’esposizione consente una lettura paritaria della coppia, dove Antonietta non è più solo la “moglie del pittore”, e fa emergere il loro sodalizio artistico e affettivo, la loro relazione di vita che ha influenzato profondamente anche il loro lavoro. Viene rivalutato il ruolo di Antonietta, dandole il giusto rilievo, e affiancandola al marito come protagonista in proprio. Mafai e Raphaël seguono percorsi paralleli ma spesso divergenti, fortemente condizionati dalla realtà vissuta, che ognuno di loro, indipendentemente, riesce a trasformare in poesia. La loro è una vicenda insieme artistica e sentimentale, fatta di passioni comuni, maturate da due personalità diverse in un ambiente che ha consentito scambi e differenze.
Questa mostra offre l’occasione di riflettere sul loro rapporto travolgente e libero: Antonietta, ebrea, lituana, cosmopolita, segnata dall’integralismo chassidico, da Marx e da Freud; Mario, giovane talentuoso, ma ancora un po’ provinciale, ironico e pigro; lui pittore lirico e intimista; innamorata della pittura anche lei, ma diventata scultrice per differenziarsi dal marito. L’intreccio delle opere dei due artisti mette a confronto le nature morte, i ritratti, la vita familiare, i nudi, i paesaggi urbani di Mario con la scultura potente, carica di angosce, maternità, eros di Antonietta. Due vite a confronto, due poetiche distinte eppure fuse nella stessa narrazione domestica.

Scandito in sette sezioni tematiche, articolate sui due piani del Casino dei Principi, il percorso espone più di cento opere, tra dipinti, sculture e disegni, alcune delle quali inedite, provenienti da collezioni pubbliche e private, oltre a documenti, fotografie e lettere.
Ad accoglierci è la sessa artista col suo imponente Ritratto di Antonietta nello studio di scultura (1934) di Mafai, dove la donna è ripresa come una regina al centro del quadro, non in abiti da lavoro, ma con indosso un vestito elegante e una collana dorata.

La prima sezione è dedicata alle origini, la Scuola di via Cavour, come la battezzò Roberto Longhi, nata nella casa-studio condivisa da Mafai, Raphaël e Scipione (Gino Bonichi), ramo espressionista della Scuola Romana, triangolo giovane e coraggioso che sfidò il Novecento intriso di classicismo. Le opere esposte, risalenti agli ultimi anni ’20 e ai primi anni ’30, mostrano l’influenza reciproca dei tre artisti, ma soprattutto quella di Antonietta sul gruppo, l’azione di stimolo della sua energia espressionista internazionale, che travolge la sensibilità ancora in formazione di Mafai e Scipione. Non musa, non comprimaria, ma motore creativo, illuminazione formativa.
A questo breve e intenso periodo di Via Cavour risale il Ritratto di Mario realizzato nel 1928 dalla Raphaël: Mario in camiciotto da pittore guarda verso Antonietta di cui sta tratteggiando un disegno poggiato su un traballante piano di lavoro. La posizione delle gambe, il sipario del drappo, la statuetta della violinista in bilico sulla finestrella, la barba lunga e i capelli scomposti, danno il senso di un’istantanea, di un attimo di vita bloccato per sempre. Questa pittura, carica di valori esistenziali, densa e compatta sarà di suggerimento per i più giovani amici.

La seconda sezione accoglie sculture e inediti di Antonietta, evidenziando la complessità tematica del rapporto tra femminile, maternità/creazione, fuga, e mito. Tra le opere in mostra Angoscia n.2 è esposta qui per la prima volta, risultato della laboriosa traduzione in scultura del 1963 di un gesso del 1936.


L’Intermezzo musicale della terza sezione, che offre anche un sottofondo musicale, riflette la passione di Antonietta per la musica che finisce per contagiare anche Mario. La figlia Giulia ricorda: «Alle volte suonavano insieme, lei e papà. Papà non sapeva suonare, aveva imparato per amore, a orecchio, e leggiucchiando gli spartiti. Suonava cose semplici, a volte qualche canzonetta allora in voga (Ma l’amore no…) accompagnato da noi tre ragazze che facevamo coro con divertita ironia. Mamma era indignata, temeva per il suo pianoforte un’offesa di lesa maestà». Testimoniano questo interesse condiviso Miriam con la chitarra (1929) della Raphaël e La lezione di piano (1934) di Mafai, dove la bambina in primo piano è Miriam, la loro figlia primogenita, a cui Antonietta, che era diplomata pianista alla Royal Academy di Londra, sta insegnando a suonare.

Una silenziosa sfida della quarta sezione accosta autoritratti, nudi e ritratti, mettendo a confronto stili divergenti: da un lato la cifra intima di Antonietta, dall’altra l’espressionismo malinconico di Mafai, stessi temi, esiti opposti. Mafai sceglie la dissolvenza malinconica, il non-finito; Raphaël incide, scolpisce con forza. Qui è esposto l’inedito Ritratto di Simona di Mario (1932), dal taglio completamente frontale, piatto, e dallo sguardo leggermente abbassato.


La sala centrale del primo piano è dedicata a Mario Mafai, alla sua metamorfosi dal figurativo all’astratto. Mario Mafai: metamorfosi stilistica è un percorso dello stile di Mario che dal tonalismo degli anni ’30, attraverso le fantasie espressioniste, passa a un lirismo rarefatto arrivando fino alle ricerche informali degli anni ’60, una pittura astratta, fragile e libera.



Antonietta Raphaël: identità molteplice è il titolo della sesta sezione che esplora attraverso la pittura e la scultura post-bellica la sua identità, opere caratterizzate da intensità spirituale, come Yom Kippur sulla Sinagoga (1932). Antonietta non cerca il bello, le sue forme sono spigolose, ma mai violente.

Alla complessa formazione dell’artista contribuirono molti fattori culturali, in particolare la cultura ebraica, i numerosi viaggi, in Sicilia, Spagna e Cina. Nel 1956 l’artista compie un viaggio in Oriente insieme ad Aligi Sassu e Giulio Turcato, toccando la Cina e il Giappone.


La Natura morta con chitarra del 1928 raccoglie in una immagine sintetica tutti gli elementi del suo mondo poetico: la musica, l’Oriente nei drappi colorati e nei tappeti perfino nella mezzaluna dietro la finestrella, il quadretto appeso alla parete, che è uno dei ritratti di Mafai, ancora la carta del re di cuori dipinta sulla sinistra. La caratteristica dominante del quadro sono i suoi riferimenti: Chagall, Matisse l’arte popolare russa, gli arabeschi e i segni geometrici resi con una ricchezza cromatica.
Antonietta poi si emancipa dalla pittura per affermarsi nella scultura, dove può agire senza paragoni interni alla coppia; si reca anche a Londra per consolidare l’ispirazione. «Perché se tu sei vicino non ho il diritto di dipingere» gli scrive nel 1931. La scultura diventa il suo medium preferito: vigorosa, carnale, antinovecentesca.
Infine la Chiusura intima, una piccola sala accoglie una dichiarazione d’amore, Mario nello studio (Omaggio a Mafai) del 1966, di Antonietta Raphaël, realizzato un anno dopo la morte del compagno, opera che racchiude tutta l’energia di una vita passata a sfidarsi e amarsi. Nello stesso spazio, una selezione di foto e lettere, frutto di una ricerca a cura di Sara Scalia, figlia di Miriam e nipote degli artisti, restituiscono la vicenda umana e artistica della coppia e testimoniano l’intensità del loro legame.


Antonietta Raphaël (1895–1975) nata a Kaunas da famiglia ebraica, dopo la fuga con la famiglia dalla Lituania a causa delle violenze contro gli ebrei, e la morte del padre, si formò a Londra e a Parigi. Conobbe Mario Mafai a Roma frequentando la Scuola di Nudo, lui poco più che ventenne, lei più grande di sette anni, appena arrivata da Parigi. Nacque così la loro storia di amore e arte. Nella casa-studio di via Cavour affacciata sui Fori alla fine degli anni Venti ospitarono pittori, scultori e poeti, dai quali poi si sarebbe sviluppata la Scuola Romana. Il loro rapporto, da cui nacquero tre figlie, continuò tra allontanamenti e ritorni fino alla separazione definitiva nel 1960.
Antonietta è stata una figura poliedrica, la sua produzione artistica si distingue per la varietà di tecniche e stili adottati nel corso degli anni, passando dal figurativo all’astratto, Lei donna straniera, di origini ebraiche, costretta ad allontanarsi da Roma negli anni delle leggi razziali e della guerra, pagherà i pregiudizi di genere e vivrà lunghi periodi di ricerca solitaria. La scoperta del suo talento avverrà solo a partire dagli anni Cinquanta.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte fino al pensionamento. Tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile e componente del Comitato scientifico della Rete per la parità, ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
