Chiuderà il prossimo 3 agosto la mostra “Artemisia – Héroïne de l’art” al Musée Jacquemart-André di Parigi, dove dal 19 marzo sono esposti circa quaranta dipinti — tra capolavori riconosciuti, opere di recente attribuzione e pezzi raramente esposti — della celebre pittrice seicentesca che ha fatto del suo percorso e della sua identità di donna e di artista «una storia che attraversa i secoli», come si legge nella presentazione del catalogo, «un’opera che, riflettendo il vissuto di resilienza della pittrice, si rivela eterna e universale».

Inaugurato nel 1913, il Museo Jacquemart-André, poco conosciuto, è un vero gioiello. Custodisce un’eccezionale collezione d’arte riunita, tra il 1860 e il 1912, da Edouard André (deputato e ricco banchiere) e sua moglie Nélie Jacquemart (ritrattista), che hanno passato gran parte della vita a viaggiare per il mondo per arricchire la loro collezione. Il museo è collocato nella lussuosa ed elegante residenza privata dei coniugi, nel cuore della Parigi haussmanniana, non lontano dagli Champs Elysées. Tra preziosi oggetti, vasi e porcellane, mobili, quadri e drappeggi, espone capolavori di artisti, soprattutto del Rinascimento italiano e fiammingo. Quando Nélie morì nel 1912 — Edouard André era già morto nel 1894 — lasciò tutti i suoi beni in eredità all’Institut de France, con il vincolo di trasformare la residenza in museo. Il prestigioso Museo, solito a tenere mostre di successo di grandi maestri dell’arte italiana, ha riaperto al pubblico, l’anno scorso, dopo lavori di restauro, con l’esposizione di capolavori della Galleria Borghese.

Artemisia Gentileschi è una delle poche pittrici, dell’universo artistico femminile, note al gran pubblico, almeno a quello che un po’ mastica di Storia dell’arte, ma il suo successo è iniziato solo dagli anni Settanta del Novecento. La riscoperta moderna, ancora in corso, si deve agli studi femministi e storici dell’arte che hanno messo in luce il suo talento, nonostante che la fama le sia venuta in gran parte dalla sua vicenda personale, lo stupro subito e il celebre processo contro lo stupratore, pittore e amico del padre, Agostino Tassi. Oggi è considerata una delle maggiori pittrici barocche, al pari di artisti maschi come Caravaggio, e protagonista di mostre internazionali.
In contemporanea al Getty Museum di Los Angeles, dal 10 giugno al 14 settembre 2025, è, infatti, in corso Artemisia’s Strong Women: Rescuing a Masterpiece, dove un’opera di Artemisia, Ercole e Onfale (1635-37), recentemente restaurata dopo i danni subiti nella devastante esplosione di Beirut del 2020, è accompagnata da altri quattro dipinti della Gentileschi, a sottolineare la sua particolare attenzione alle “donne forti” della tradizione classica e biblica.
La prima monografica dedicata ad Artemisia (e al padre Orazio) si tenne in tre tappe, a Roma, New York e Saint Louis, tra il 2001 e il 2002. Un grande evento fu quello a Palazzo Reale a Milano, in corso dal 22 settembre 2011 al 29 gennaio 2012, “Artemisia Gentileschi, Storia di una Passione”, la cui versione rivista fu portata, sempre nel 2012, al Musée Maillol di Parigi. Importante tributo romano all’artista è stata la mostra “Artemisia Gentileschi e il suo tempo” a Roma, al Museo di Roma (Palazzo Braschi), chiusa il 7 maggio 2017. Nel 2020 la National Gallery di Londra le ha dedicato una retrospettiva, la prima ad Artemisia Gentileschi in Gran Bretagna, un paese in cui l’artista ha lavorato, arrivando nella città nel 1638 per raggiungere suo padre, Orazio, e rimanendo fino al 1639, anno della morte del padre. Per la prima volta nei Paesi Bassi, è stato dato un posto centrale all’opera dell’artista con la mostra “Artemisia. Donna e potere” al Rijksmuseum Twenthe di Enschede dal 26 settembre al 27 marzo 2022.

A Genova, a Palazzo Ducale, l’esposizione “Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione”, dal 16 novembre 2023 al 1° aprile 2024, ha offerto un viaggio nella vita e nell’opera di questa pittrice, presentando un corpus di capolavori provenienti da diverse collezioni.
Questo intensificarsi di mostre a lei dedicate rende giustizia della sua cancellazione storica, sventura capitata purtroppo a molte artiste: dopo la sua morte, infatti, venne progressivamente dimenticata e spesso addirittura confusa con il padre, Orazio Gentileschi.
Eppure Artemisia fu una delle poche pittrici di successo del suo tempo. La sua carriera artistica, durata più di quarant’anni, le aveva fatto guadagnare fama e ammirazione in tutta Europa; importanti mecenati della sua epoca compravano i suoi lavori e fu la prima donna ad essere iscritta all’Accademia degli artisti di Firenze. Nell’Europa del XVII secolo, in un’epoca in cui le artiste avevano, a dir poco, vita difficile, Artemisia Gentileschi sfidò le convenzioni del suo tempo e riuscì a ottenere fama e successo. Nata a Roma nel 1593, figlia del pittore Orazio Gentileschi, ricevette dal padre la formazione artistica insieme ai suoi tre fratelli e fu introdotta ai segreti della pittura nella bottega di famiglia. Iniziò a farsi notare fin da giovane a Roma, ma il successo arrivò negli anni Venti del Seicento, con il trasferimento a Firenze, dove lavorò per potenti committenti, tra cui Cosimo II de’ Medici, e la sua reputazione si estese, oltre che a Roma, a Napoli e Londra.
La mostra parigina, che ha il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia, ed è stata inaugurata dall’ambasciatrice Emanuela D’Alessandro, è una delle più importanti della stagione, essendo ricca di prestiti da musei e collezioni private europee e statunitensi. Prima monografica parigina della pittrice, è stata curata da Patrizia Cavazzini, componente del comitato scientifico della Galleria Borghese, Maria Cristina Terzaghi, docente di Storia dell’arte all’Università di Roma Tre e componente del comitato scientifico del Museo di Capodimonte a Napoli, e Pierre Curie, conservatore del Museo Jacquemart-André. Il percorso della mostra non è cronologico, ma tematico, è diviso in otto sezioni, e inizia con Il successo europeo, dove è messo in evidenza l’apprezzamento che il lavoro di Artemisia e del padre Orazio riscuoteva presso le corti d’Europa. Nella seconda sala, Padre e figlia: influenze ed emancipazione, si torna agli anni della formazione della giovane artista nella bottega del padre, il suo primo e unico maestro, e si racconta la sua emancipazione dallo stile paterno: l’artista, distaccandosene, sviluppa uno stile più dinamico e passionale. Susanna e i vecchioni (1610, Schloss Weissenstein, Pommersfelden) è la prima firmata da Artemisia e realizzata sotto la supervisione di Orazio, Nella stessa sala Giuditta e la sua serva (intorno al 1615) è un’originale interpretazione dell’episodio biblico della decapitazione di Oloferne, conservata alle Gallerie degli Uffizi di Firenze. La sua padronanza del chiaroscuro e delle inquadrature drammatiche, realizzate attraverso colori contrastanti e un crudo realismo, le permise di creare composizioni potenti e dinamiche. Come era solito per tutti gli artisti del suo tempo, i soggetti che Artemisia dipingeva erano soprattutto figure storiche e bibliche, ma lei sceglieva quelle femminili e le trasformava in coraggiose eroine, rappresentandole con un’empatia e una solidarietà mai vista prima. Il tema del dominio maschile e del trionfo delle donne, ottenuto attraverso l’intelligenza o l’astuzia, ritorna anche nelle sale successive della mostra, come nell’impressionante, per realismo e violenza, Giaele e Sisara (1620) proveniente dal Museo di Belle Arti di Budapest.


Da ammirare anche un altro capolavoro, di carattere più intimista, come la Maddalena penitente (verso il 1625), opera recentemente restaurata, proveniente dalla cattedrale di Siviglia.

Il viaggio prosegue con L’influenza di Caravaggio e gli anni trascorsi a Firenze, dove Artemisia trova accoglienza dopo lo stupro subito e il successivo processo. «Negli anni fiorentini nasce una nuova personalità: non più l’illetterata dei primi anni romani, ma una donna colta e raffinata, che conosce la musica, studia gli artisti toscani, frequenta scienziati e letterati che gravitano attorno alla corte dei Medici» spiega Maria Cristina Terzaghi. Rappresentativa di questo periodo è L’Allegoria dell’Inclinazione (1615-1616) proveniente da Casa Buonarroti, opera recentemente restaurata e prestata per la prima volta fuori dall’Italia. Col successo arrivano le commissioni dalle principali corti europee.

La sala successiva narra Il suo ritorno a Roma e il rapporto con gli altri pittori caravaggeschi, e punta a far conoscere l’abilità di ritrattista (e autoritrattista) di Artemisia e la sua spiccata attitudine a rendere i caratteri e le psicologie attraverso una serie di ritratti, alcuni dei quali recentemente scoperti. La Dama con il ventaglio (forse un autoritratto, 1620-1625) proveniente dalla collezione d’arte del Sovrano Militare dell’Ordine di Malta, a Rapallo, e il Ritratto di un cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (1622), dal Palazzo d’Accursio di Bologna, sono un esempio delle sue ricche committenze.

Notevole per la grazia dell’esecuzione è l’Autoritratto come Suonatrice di liuto (1614-1615) dal Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford. L’artista si ritrae nel dipinto mentre suona un liuto, che nella simbologia pittorica degli artisti evoca armonia e bellezza, ma anche sensualità e voluttà. Dopo il ritorno a Roma nel 1620, Artemisia frequenta molti artisti “caravaggeschi”, fra cui alcuni francesi come Simon Vouet che ne ha tramandato l’immagine nel celebre ritratto di Palazzo Blu a Pisa. Qui Artemisia, posa — appena trentenne — come una donna e un’artista affermata, reggendo nella mano sinistra i pennelli e una tavolozza di colori. E Leonaert Bramer la disegna nel 1620 vestita da uomo con tanto di baffi, chiara allusione alla sua indipendenza. Un riconoscimento dello status raggiunto da una giovane donna, che viveva separata dal marito, Pierantonio Stiattesi, ed era a capo della sua bottega e della sua famiglia.


L’Incoronazione di spine di Caravaggio (1605), conservata nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, è esposta in mostra a testimonianza dell’influenza che il maestro esercitò su Artemisia, ed è messa a confronto con la Danae (verso il 1612), prestito eccezionale del museo di Saint-Louis, e con Davide e Golia (1610/1620) un quadro emerso per la prima volta nel 1975 a un’asta di Sotheby’s e solo attraverso decenni di studi e di ricerche è stato attribuito alla Gentileschi: la prova inconfutabile è arrivata dopo una pulitura dell’opera, che ha fatto emergere sulla spada di David la firma di Artemisia.



In mostra anche una copia del XVII secolo, da un originale conservato al Museo di Capodimonte, a Napoli, di uno dei suoi temi preferiti, Giuditta e Oloferne, proveniente dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna. Molte interpretazioni, soprattutto quelle in chiave femminista, hanno voluto leggere nella scelta di questo tema da parte dell’artista una sorta di rivalsa per lo stupro subito in gioventù, ma Maria Cristina Terzaghi avverte: «Non credo che quell’episodio le abbia condizionato la vita, questa è un’interpretazione dell’immaginario moderno, in realtà è un’artista che, conscia della sua condizione femminile e delle difficoltà ad essere accettata, ha comunque saputo raggiungere il successo».
E l’altro curatore, Pierre Curie, ha voluto sottolineare che «Artemisia non è un caso isolato di pittora affermata, nella storia dell’arte italiana: basti pensare a Diana De Rosa a Napoli, Lavinia Fontana a Roma, e poi ancora Sofonisba Anguissola e Maddalena Caccia». E non solo in Italia: allargando lo sguardo all’Europa, Curie cita pittrici francesi come Louise Moillon, Catherine Girardon e Élisabeth-Sophie Chéron, e ancora esempi in Portogallo, Inghilterra, Olanda, Fiandre. E allora largo alle donne e alle artiste!
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte fino al pensionamento. Tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile e componente del Comitato scientifico della Rete per la parità, ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.
