Maria Montoya Martinez

La sperimentazione artistica con gli stili e le tecniche tradizionali dell’antica ceramica Pueblo operata da Maria Montoya Martinez ha contribuito a preservare l’arte culturale della sua gente e l’ha portata a realizzare ceramiche di fama internazionale.
Maria Poveka Montoya è nata il 1887 (secondo alcuni invece il 1885) a San Ildefonso Pueblo, nel Nuovo Messico, in una comunità di nativi americani, situata a poco più di venti miglia a nord-ovest di Santa Fe. In tenera età apprese l’arte della ceramica da sua zia Nicolasa, che le insegnò a lavorare l’argilla, e lei imparò osservando sua zia, sua nonna e il cugino del padre lavorare la ceramica. Maria e tutte e quattro le sue sorelle, Maximiliana (Ana), Juanita, Desideria e Clara, impararono e producevano ceramiche.
Inizialmente, Maria realizzò la tradizionale ceramica policroma del suo villaggio, con il nero e altri colori su uno sfondo bianco o marrone chiaro. Modellava i vasi arrotolando con cura l’argilla, quindi levigandola con raschietti. I suoi vasi erano riconosciuti come i più sottili e dalla forma più bella. Suo marito, Julian Martinez, un artista affermato a pieno titolo, li decorava.

Ciotola, 1914-15 – Maria Montoya Martinez

In questa ciotola un serpente cornuto, l’Avanyu, divinità Tewa, circonda la superficie centrale del vaso e con la lingua tocca quasi la punta della coda, muovendo il corpo tanto da sembrare vivo.
Il popolo Pueblo ha un metodo particolare per lavorare l’argilla, non usa il tornio per modellare i vasi, che risultano da stratificazioni di materiale, aggiunte a spirale una sopra l’altra.

Lavorazione a mano, a spirale

Ogni pueblo poi ha una sua sottocultura, proprie tradizioni, mitologia, storia, rituali. Anche i simboli che decorano i vasi sono diversi, e non sempre è possibile individuarne il significato. Un’altra differenza consiste nel fatto che ogni pueblo ha il suo luogo segreto per la ricerca di argilla, quindi, anche le proprietà fisiche dei vasi prodotti da vari pueblos sono diverse.
I nativi americani hanno tradizioni ceramiche da molti millenni. Sono stati trovati vasi di terracotta risalenti a 30.000 anni fa. Durante uno scavo nel 1908 condotto da Edgar Lee Hewett, professore di archeologia e fondatore e direttore del Museo del New Mexico a Santa Fe, furono scoperti nella terra sabbiosa e l’argilla rossa del terreno desertico del New Mexico pezzi rotti di ceramiche preistoriche dei Pueblo, con originali decorazioni nere su fondo nero. Hewett cercava tra i pueblo chi potesse ricreare vasi di questa tipologia, cioè nero su nero, con l’intenzione di preservare così l’antica forma d’arte. Maria Montoya Martinez era conosciuta nel pueblo Tewa di San Ildefonso per la produzione di vasi pregiati; pertanto, Hewett individuò in lei l’artista che poteva dare vita alla sua idea. Dopo molti tentativi ed errori, Maria cominciò a produrre vasi di ceramica nera. I primi vasi per un museo furono cotti intorno al 1913. Questi pezzi non erano decorati, non firmati e di qualità generalmente rozza. La sua abilità migliorava, però, con ogni vaso e la sua arte iniziò a suscitare molto scalpore tra i collezionisti e si trasformò in un business, che portò nel 1918 alla prima creazione di pezzi nero su nero di elevata qualità. La prima testimonianza di questa ceramica risale a una mostra del luglio 1920 tenutasi al Museo d’arte del New Mexico.

Nero su nero con disegni geometrici – Maria e Julian Martinez, c. 1920

È stato necessario un lungo processo di sperimentazione e di superamento delle sfide per ricreare con successo lo stile della ceramica nera su nero e soddisfare gli standard rigorosi di Maria. Una sfida specifica è stata quella di trovare un modo per far assumere all’argilla il colore nero desiderato.

Vaso nuziale di Maria e Julian Martinez in ceramica nera, 1929

Il processo lungo consiste in molti passaggi che richiedono pazienza e abilità. Il primo passo è raccogliere l’argilla, operazione che viene effettuata una volta all’anno, solitamente nel mese di ottobre quando è asciutta. L’argilla viene quindi conservata in una struttura di mattoni dove la temperatura rimane costante. Il passo successivo è iniziare a modellare l’argilla impastata insieme a sabbia e acqua. L’impasto viene lasciato asciugare leggermente per un giorno o due. Si lavora poi utilizzando solo le mani, con una costruzione a spirale: lunghe bobine a forma di serpente costruiscono gradualmente le pareti dei vasi; con movimenti incrociati la parete viene levigata e resa sottile e uniforme, mentre il vaso aumenta di altezza. Finita la lavorazione, si passa all’essiccazione e alla cottura.
Maria ha utilizzato una tecnica di cottura chiamata “cottura di riduzione“. Un’atmosfera riducente si verifica quando l’aria che circonda il vaso non contiene abbastanza ossigeno per alimentare le fiamme. Ciò provoca una reazione chimica che scurisce l’argilla, conferendole quel colore nero, o a volte canna di fucile. I vasi posti nel focolare venivano ricoperti con cura con pezzi rotti di ceramica e fogli di alluminio o rottami metallici per evitare che la fiamma toccandoli bruciasse la ceramica, facendole assumere un colore rosso-marrone. Dopo che il forno si era raffreddato abbastanza, i vasi venivano infine rimossi con cura.

Vaso alto, 1934 – Maria Montoya Martinez
Due vasi in ceramica nero su nero di Maria Montoya Martinez, 1939 (sin), 1945 (dex)
Firme alla base dei vasi

Maria e Julian furono riconosciuti per aver rivitalizzato un’antica tradizione della ceramica, e vinsero riconoscimenti internazionali, quando Julian morì nel 1943.
La popolarità di Maria come artista la portò a ricoprire un ruolo importante nella sua comunità, e a favorire rapporti amichevoli con i soldati e gli scienziati del Progetto Manhattan quando arrivarono a Los Alamos. I militari occupavano il terreno per stabilirvi laboratori scientifici e impianti di produzione industriale, sottraendo ai nativi americani i loro tradizionali terreni di caccia, pesca e campeggio o i siti sacri ancestrali. La mediazione di Maria creò un’opportunità, perché il progetto favorì l’attività di lavorazione della ceramica con la creazione di un laboratorio che divenne una realtà permanente per la regione. Senza contare che, avendo il progetto un notevole bisogno di personale addetto alla manutenzione e alla custodia, molti nativi americani furono assunti, generalmente impiegati come camionisti, operai edili, falegnami e giardinieri, il figlio stesso di Maria fu assunto come macchinista, mentre le donne, attratte dagli alti salari, venivano reclutate come cameriere e assistenti all’infanzia. Si diffuse tra gli occupanti una “mania del collezionista” che rese molto richieste le ceramiche, soprattutto quelle di Maria Montoya Martinez. Tuttavia, per stare al passo con la domanda, si iniziò la produzione in serie dei vasi, annullando la tradizione secolare che prevedeva la realizzazione degli oggetti uno alla volta.

Ciotole in ceramica nera, 1950-59 – Maria Montoya Martinez

Maria espose la sua ceramica in ogni fiera mondiale fino alla Seconda guerra mondiale e formò tre generazioni di giovani della sua famiglia. Con la crescente domanda, si rese conto che il suo lavoro poteva arricchire artisticamente ed economicamente la vita dell’intero pueblo, e generosamente condivise le sue tecniche. In questa foto, scattata da Susan Peterson nel 1975, Maria è seduta, a destra con la sua famiglia a San Ildefonso. Cinque generazioni hanno continuato questa ricca tradizione di abilità artistica e design innovativo, ultima la pronipote, Barbara Gonzales, nella foto in piedi, maglietta gialla, con i suoi figli, Cavan e Aaron.

La famiglia Martinez – Foto di Susan Peterson, 1975
Vaso policromo con disegno di serpente Avanyu, 1960 –
Maria Montoya Martinez

Ritorna su questo vaso l’Avanyu, divinità Tewa, guardiana dell’acqua, rappresentata come un serpente cornuto o piumato con curve che suggeriscono il flusso dell’acqua o lo zig-zag dei fulmini.
Le opere di Maria Montoya Martinez, e in particolare le sue ceramiche nere, sono nelle collezioni di molti musei, tra cui lo Smithsonian, il Metropolitan Museum of Art a New York, il Denver Art Museum, il Penn Museum di Filadelfia e altri ancora.
È morta il 20 luglio del 1980 a San Ildefonso Pueblo.
Maria Montoya Martinez ha ricevuto dottorati onorari durante la sua vita all’Università del Colorado e all’Università del New Mexico. Malvina Hoffman, una pregevole scultrice americana, realizzò il suo ritratto. Nel 1978 tenne un’importante mostra personale alla Renwick Gallery della Smithsonian Institution. Nel 2022 è stata inclusa in un libro sul lavoro delle donne di Ferren Gipson: Women’s Work: From feminine arts to feminist art.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte fino al pensionamento. Tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile e componente del Comitato scientifico della Rete per la parità, ha scritto Le maestre dell’arte, uno studio sull’arte fatta dalle donne dalla preistoria ai nostri giorni e curato La presenza femminile nelle arti minori, ne Le Storie di Toponomastica femminile.

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