Fin dall’infanzia hanno vissuto nella torre XXXIX delle Mura Aureliane a Roma, nutrite di arte, storia e vestigia antiche. Sono Yris, Honoria e Horitia Randone, tre delle sei figlie, più un figlio, di Francesco Randone e Marie Louise Fontaine. La loro non fu un’abitazione come le altre, e non solo per l’inusuale collocazione all’interno di camminamenti e ambienti di una delle torri difensive delle Mura Aureliane.


Fu piuttosto un cenacolo familiare aperto, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del XX secolo, al mondo dell’arte e della cultura, un crogiolo di persone e idee in cui si fusero pensieri diversi, dalle idee di Ruskin e Morris alla tensione morale ed etica di tolstoiana memoria, dal socialismo umanitario al misticismo e a concezioni metafisiche dell’universo, in una dimensione spirituale in cui la ratio restava fuori dalla porta.


Francesco Randone, il Maestro delle Mura, diede vita a un mondo in cui l’arte e la cultura erano lontane dalla visione positivista contemporanea e in opposizione alla modernità industriale di fine Ottocento. Lui era il “gran sacerdote” di quel mondo, anzi il Pater, come si firmava sulla superficie delle ceramiche realizzate, con la lunga barba sul petto, il camice da lavoro e il berretto indossati come un abito talare; la sua compagna Marie Louise Fontaine e le figlie furono le sacerdotesse e condivisero la nascita e la storia pluridecennale di quell’esperienza unica.
Come sacerdotesse — non a caso le sei figlie furono soprannominate le “Vestali delle Mura” — vissero la loro vita professionale accanto al padre in assoluta fedeltà di intenti e di azione; dopo la sua morte, nel 1935, proseguirono i suoi insegnamenti e portarono avanti ciò che negli anni aveva realizzato, custodi devote del suo pensiero e della sua lezione. Yris, Honoria e Horitia — e anche le altre tre: Hurania, Lucilla e Saturnia — hanno camminato nel solco paterno restando a lungo quasi invisibili, oscurate dallo spesso cono d’ombra generato da quella figura; solo da poco tempo le prime tre hanno conquistato una loro più specifica visibilità, per esempio nel volume di Francesca Lombardi Le artiste e la città .
I vincoli familiari, quelli delle figlie nei confronti del padre e quelli delle sorelle tra loro, sono restati sempre saldi e centrali, il “nido” domestico ha svolto il ruolo di “centro di gravità permanente” nel quale sono entrati in parte, pur se in modi diversi, anche i mariti delle tre ceramiste.

Yris (1888-1958) era la primogenita della famiglia Randone. Aveva solo due anni quando coi genitori si trasferì nella XXVIII torre delle Mura Aureliane, dove il padre Francesco aprì una piccola scuola gratuita di arti applicate nella quale giunsero «i primi tre scolaretti delle Mura» e il cui programma recitava: «Nessuna differenza esisterà tra i diversi bimbi. La carta, le matite, la creta, saranno per tutti uguali. Per nessuno il premio materiale, tangibile, che differenzia, divide: per tutti la stessa idea cara, religiosa: seguire la linea del cipresso per avvicinare l’azzurro magnifico del cielo!».
Nel 1894 la famiglia, che nel frattempo si era allargata per la nascita di Honoria (1892-1968) e di Horitia (1894-1984), si trasferì nella torre XXXIX. Francesco fu nominato Conservatore delle Mura dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli e la scuola di pochi bambini e bambine divenne una realtà ufficiale col nome di Scuola d’Arte Educatrice.

Rivolta alle persone adulte ed esperte ma soprattutto ai/alle piccoli/e delle famiglie meno abbienti e istruite, l’istituzione incarnava l’idea di educare le nuove generazioni alla bellezza e alla contemplazione di essa, in uno slancio verso l’alto che Randone aveva simbolicamente paragonato alla forma ascendente di un cipresso. Quando la scuola nacque, all’ingresso fu piantato un vero cipresso.

L’anno successivo, nel 1895, fu costruita la prima fornace per cuocere i manufatti in ceramica: «Contemporaneamente alla fondazione della Scuola d’Arte Educatrice appena entrati in queste storiche mura — ha scritto Randone — costruimmo quella fornace che, dopo tanti anni di faticose prove, doveva finalmente ricondurci sul giusto cammino seguito dai figuli etruschi, qualche cosa come trenta secoli or sono. Ritrovammo cioè la difficile tecnica dei buccheri, completamente dimenticata e scomparsa, riuscendo così a fare un’arte del tutto nuova nelle forme, nei profili dei vasi e del tutto tradizionale nella tecnica». Altre due fornaci vennero costruite tra il 1900 e il 1906, la fornace mezzana e la fornacetta, che permisero una ricerca sistematica dell’antico processo di produzione dei buccheri etruschi dalla superficie scura, lucida, quasi metallica.
Randone annotava scrupolosamente tutto nei suoi diari, i Memoriali delle Mura, dalla gestione della scuola ai lavori di consolidamento e restauro delle mura, dalla produzione delle ceramiche alle manifestazioni e agli incontri organizzati all’interno della torre.

Così si legge in una cronaca del tempo, forse relativa alla cottura di oggetti di terracotta in una notte dell’ultimo dell’anno e pubblicata nel volume Le artiste e la città di Francesca Lombardi: «Egli [Randone n.d.r.] si inginocchia davanti al fuoco e prega impresso alle sue figliole: lui di statura alta dalla barba di mago, le giovinette somigliano alle vergini vestali nelle loro vesti di tela grossa. Egli implora le grazie degli spiriti del fuoco affinché nell’anno nuovo i vasi riescano ben cotti; quei vasi che simboleggiano la vita, l’amore, la famiglia, il lavoro, la libertà, la ragione».
Nei Memoriali vennero anche riprodotte a mano, spesso da Horitia, le immagini degli stampi in cotto, dei piatti e dei buccheri ispirati, anche se in forme stilizzate, a modelli naturali.
In un clima tra il misticismo e l’operosità di una bottega medievale, le giovani figlie erano pienamente inserite nella produzione della ceramica. Sappiamo che Yris, come del resto Honoria e Horitia, lavorò fin da piccola come fornaciaia accanto alla madre, un compito complesso e soprattutto lungo quello della cottura dei manufatti, che prevedeva quasi 24 ore di fuoco alimentato da legna. Fornaciaia ma poi anche ceramista: Yris, venne registrato nei diari paterni, realizzò il suo primo oggetto in terracotta nel 1902, a quattordici anni; tre anni dopo ideò la sua prima ceramica anche Honoria e a seguire la più piccola Horitia. Tutte si occuparono dei buccheri cercando di dare personali contributi: Yris si dedicò alla produzione di esemplari argentati, Honoria preferì invece impreziosirli con decorazioni da lei stessa definite bizantineggianti, composte da ornamentazioni incise o impresse nell’argilla ancora fresca arricchite con inserimenti di perline vitree. Horitia mostrò una vena più pittorica occupandosi dell’apparato decorativo per la rivista Cronache d’Arte Educatrice, fondata dal padre e in attività fino al 1930, per la quale lavorò, ancora una volta, l’intera famiglia.

Tutto ciò che veniva organizzato e prodotto nella torre era condotto in modo corale, comprese le “Ostie della Bontà”, cartoncini realizzati in occasione della cottura di ceramiche durante l’ultima notte dell’anno, di forma tondeggiante e con decorazioni a mano, o gli “Avvisini”, i biglietti d’invito per le conferenze di Randone e le mostre d’arte tenute nella torre. Non a caso alla fine del XIX secolo il Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli coniò il motto «Familia Randonia artem excersens figulinam in Belisarii moenibus».
L’agire insieme della famiglia Randone non ha reso semplice la ricostruzione delle singole esperienze espositive delle tre ceramiste. Yris nel 1906, a diciotto anni, presentò due bassorilievi su piatti in maiolica alla mostra della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti e l’anno successivo si cimentò in un’apprezzata coppa augurale per la principessa Giovanna di Savoia, ma già nel 1920 a Stoccolma, per l’Esposizione d’Arte italiana decorativa industriale moderna, fu tutta la famiglia a partecipare, come anche nella mostra allestita nel negozio diretto da Donna Bice Tittoni a via del Tritone a Roma. Sempre a Roma, nel 1940, l’esposizione I Buccheri Randoniani vide le sorelle partecipare tutte insieme.
La produzione ceramica di Yris, Honoria e Horitia, proseguita negli anni anche dopo la morte del padre, fu sempre affiancata dall’attività di insegnanti nella Scuola d’Arte Educatrice, istituzione che Maria Montessori guardò con estremo interesse fin dai primi anni del XX secolo e che definì «un nido fantastico».

La scuola, che nel 1914 aprì una seconda sede al Pincio, ancora oggi svolge la sua attività con corsi di ceramica negli ambienti delle Mura Aureliane. Come ha scritto Francesca Lombardi, le sorelle Randone sono state «figure fondamentali in quella sorta di microcosmo insediato, in una colta e ricercata separazione dal mondo, nello spessore delle mura, svolgendo fin da giovanissime, anche se con compiti diversi, un ruolo importante nell’impresa di famiglia e nell’intensa attività che anima gli interni della torre».
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.
