Le vie di Berlino. Memoria a più voci 

Scrive Deirdre Mask nel suo libro Le vie che orientano (Bollati Boringhieri, 2020, p. 222): «Tra tutte le città del mondo, Berlino è sicuramente una di quelle con la storia più tumultuosa, passata in meno di un secolo dai prussiani alla Repubblica di Weimar, dal nazismo alla guerra fredda. Come sostiene Dirk Verhayen, i toponimi sono “sostanza e metafora della lotta sostenuta da Berlino per trovare la propria identità”». Un’identità che, attraverso un confronto ancora aperto col proprio passato, è in divenire.
A partire dal decennio scorso, infatti, si è avviato in Germania un processo di revisione degli odonimi legati alle vicende e alle figure del periodo colonialista tedesco, cominciato già ai tempi del Regno di Prussia e proseguito fino al primo Novecento.

Copertina del dossier Rileggere la città

Il punto di accelerazione del riesame toponomastico si è avuto nel 2016, quando è stato pubblicato il dossier Rileggere la città, realizzato a cura del Consiglio per la politica di sviluppo di Berlino (BER) in collaborazione col Berliner Poskolonial e Iniziativa per i neri in Germania (ISD-Bund). Si tratta di una pubblicazione di un centinaio di pagine e immagini a colori in cui sono state segnalate dieci strade da rinominare e più di venti vie da spiegare e commentare perché intitolate ai protagonisti e alle vicende della storia coloniale tedesca connotata, come tutte le storie di colonialismo, di eventi drammatici, violenti e razzisti. Così come in precedenza ci si era posti il problema di intervenire sull’odonomastica e la toponomastica legate al nazismo e al periodo della Repubblica Democratica tedesca, alle soglie del III millennio è diventata di nuovo urgente la necessità di riesaminare i nomi delle strade che celebravano il colonialismo tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo. È diventato soprattutto necessario rileggere quei fatti criminali e dolorosi con occhio critico e volontà di confronto per avviare un processo di rielaborazione politica e storica che permetta di ricordare chi al colonialismo e al razzismo volle opporsi.

Johann David Welcker, Allegoria dell’acquisizione del Suriname da parte del conte Federico Casimiro di Hanau-Lichtenberg nel 1669, 1676, olio su tela, Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle

In un progetto di ridenominazione stradale di questo tipo le implicazioni e i risvolti educativi non mancano a cominciare dal coinvolgimento, voluto da istituzioni pubbliche e associazioni, delle cittadine e dei cittadini chiamati a individuare quanti più nomi di oppositori, oppositrici e resistenti al colonialismo. Il processo di revisione storico-critica dimostra di voler fare i conti col passato, di voler agire sulle coscienze delle persone per cercare, anche, di interrompere e modificare eventuali connessioni storiche distorte che, in tempi recenti, sembrano pericolosamente moltiplicarsi. Per molte persone, infatti, la Storia segue percorsi deformati, alimentati da narrazioni false e faziose che costruiscono gabbie mentali — «prigioni di lunga durata», per dirla con le parole dello storico Fernand Braudel — capaci di intrappolare mentalità e coscienze. Le difficoltà in questo processo di decolonizzazione odonomastica e toponomastica esistono, come ha messo in evidenza un recente articolo apparso sulle pagine virtuali di Vitamine vaganti: «La società tedesca, che ha rimosso senza esitazioni le tracce del nazismo dalle proprie strade, si mostra invece riluttante a farsi carico delle pesanti responsabilità coloniali in Africa e, nonostante l’attivismo di associazioni democratiche e degli enti locali, permangono ancora oggi sulle vie di Berlino intitolazioni a esploratori, mercanti, comandanti e politici tutt’altro che memorabili. La proposta del distretto di sostituire i loro nomi con quelli di figure provenienti dagli stessi Paesi colonizzati trova l’opposizione di una fascia considerevole della cittadinanza che ritiene la manovra disagevole e poco rilevante e raccoglie firme per ostacolarla».
Ma le vie orientano, e non solo in ambito urbano. Se gli eventi storici sono stati espressione di violenza, crimini, soprusi, sfruttamento e dolore diventa un dovere morale, oltre che politico, avviare percorsi di revisione che corrispondano a nuovi “orientamenti” nella Storia. Per questo negli anni le amministrazioni pubbliche e le associazioni hanno continuato a mandare avanti il progetto.

La cancellazione di Wissmannstrasse e l’attribuzione della strada a
Lucy Lameck, attivista e prima deputata e
prima viceministra della Tanzania. Berlino 2020

«Il quadro giuridico per la ridenominazione di strade che onorano gli aggressori coloniali o perpetuano un linguaggio razzista negli spazi pubblici», si legge nel sito che racconta dell’iniziativa: «è previsto dalle disposizioni attuative dell’articolo 5 della legge sulle strade di Berlino. L’articolo 2, paragrafo 2, stabilisce che la ridenominazione è ammissibile […] Onorare le persone che hanno commesso crimini contro l’umanità rievoca la violenza coloniale come degna di onore, legittimando così le atrocità che hanno plasmato le storie familiari di un numero crescente di berlinesi e visitatori della città. Non c’è dubbio che queste esperienze di violenza abbiano plasmato anche Berlino: come ciò possa riflettersi criticamente nello spazio urbano deve essere oggetto di negoziati politici. Una cosa è chiara: l’onorare acriticamente gli attori coloniali e la normalizzazione della violenza verbale razzista in pubblico stanno danneggiando la reputazione di Berlino».
“Decolonizzare” l’odonomastica e la toponomastica berlinese diviene quindi un processo di democrazia culturale e di inclusione che propone prospettive storiche diverse, eque e non scontate, di tolleranza e giustizia in nome di quante e quanti quelle azioni di discriminazione, emarginazione e violenza hanno subito o contro le quali hanno alzato la voce. Non si tratta tanto — o almeno non solo — di cancellare, quanto di ridare spazio e visibilità a tutti quegli individui che la storia scritta dai vincitori ha a lungo occultato e rimosso: dare spazio a una memoria a più voci e far crescere la consapevolezza storica del proprio passato comune.

La via dedicata ad Anton Wilhelm Amo, deportato dal Ghana agli inizi del XVIII sec. e diventato il primo filosofo e giurista di origine africana in Germania, in sostituzione di Mohrenstraße, Berlino, agosto 2025

Le vie che hanno ottenuto — o stanno per ottenere — nuove intitolazioni si trovano nell’Afrikanisches Viertel (quartiere africano) di Berlino; i nomi da cancellare si riferiscono a protagonisti negativi delle vicende efferate del colonialismo tedesco, dai generali ai politici, dagli affaristi agli esploratori e ai mercanti, tutti complici delle tragedie coloniali, gran parte poi celebrati durante il periodo nazista per il loro razzismo. Intrecci di epoche diverse che molti vorrebbero leggere separatamente ma che, secondo le associazioni che hanno dato avvio al progetto di ridenominazione, possiedono strette relazioni culturali e idee antidemocratiche, autoritarie e razziste. I nomi proposti per le nuove targhe stradali sono quelli di donne e uomini che hanno combattuto e si sono opposti, in epoche diverse, a ogni forma di brutalità, violenza e razzismo in Cina, nella cosiddetta Africa tedesca del Sud-Ovest (l’attuale Namibia), in Tanzania, Burundi e Ruanda, in Nuova Guinea e nella stessa Germania. Per altri ventiquattro odonimi il progetto non prevede la ridenominazione bensì di rendere visibile nelle intitolazioni ogni riferimento al colonialismo.
Città cosmopolita e multietnica, Berlino ha accolto moltissime persone che il passato coloniale l’hanno attraversato e sofferto, che vivono in Germania perché discendenti di chi è stato allontanato forzatamente dalla propria terra, che quella tragica realtà l’hanno ascoltata dalle voci degli anziani e delle anziane. Quelle cittadine e quei cittadini si sono trovati a dover leggere nomi di strade dedicate a chi aveva arrecato loro, alle loro famiglie e alle loro comunità, immenso dolore, di chi aveva ordinato stupri, stragi, deportazioni in nome della supremazia storica, culturale e razziale. La loro memoria collettiva, insanguinata e dolente, che possedeva ricordi differenti rispetto alla memoria ufficiale, si è venuta a trovare, ancora una volta, in una condizione di costrizione messa in atto da chi, per gli odonimi, aveva scelto quelli dei carnefici e degli oppressori.
La memoria comune di una società si costruisce, anche, attraverso la denominazione delle strade: dovrebbe essere plurale e, invece, continua a non esserlo, col predominio della cultura maschile, bianca, occidentale su tutto il resto. Del gender gap nelle vie berlinesi vitaminevaganti si è occupata di recente nell’articolo citato che ha messo in luce sia «la volontà di un riequilibrio di genere», emersa già alla fine del secolo scorso «con notevole anticipo rispetto a gran parte dei Paesi europei», sia l’avvio, in questi ultimi trent’anni, di «sperimentazioni e meccanismi che suggeriscono buone pratiche e lasciano sperare in un cambiamento radicale». Anche nel processo di decolonizzazione odonomastica e toponomastica a Berlino si intende porre pari attenzione sulle figure femminili resistenti contro il razzismo e la violenza e capaci di denunciare i crimini della politica coloniale tedesca.

Via May-Ayim-Ufer

Vale la pena ricordare che tra le prime ridenominazioni stradali c’è, dal 2010, May-Ayim-Ufer nel quartiere berlinese di Kreuzberg, a lungo confine tra la parte ovest e la parte est della città. Dalla fine dell’Ottocento l’area era dedicata a Otto Friedrich von der Groeben, un aristocratico prussiano considerato tra i pionieri del colonialismo germanico a cavallo tra XVII e XVIII secolo, primo governatore coloniale del Brandeburgo che fece erigere il forte di Gross-Friedrichsburg sulla costa dell’attuale Ghana, punto nevralgico dello schiavismo e del commercio e la deportazione sistematica di uomini, donne e bambine/i africani verso l’Europa e il continente americano.

Le rovine del forte di Gross-Friedrichsburg a Princestown, Ghana

Con una completa inversione di rotta e di prospettiva storica, la nuova denominazione ora ricorda May Ayim, una poeta e attivista politica nata ad Amburgo nel 1960 e morta a Berlino nel 1996, figlia di padre ghanese e madre tedesca, che si è battuta contro il razzismo e per la revisione critica dei fatti del colonialismo tedesco.

Dopo il cambio di denominazione, altre iniziative hanno celebrato la giovane poeta afro-tedesca: nel 2022, nel campus realizzato dove sorgeva la sua scuola nella città di Münster, è sorta May-Ayim-Platz e a Stoccarda il consiglio comunale ha deciso di intitolarle una piazza.

May-Ayim-Ufer lungo la riva del fiume Sprea, Berlino

May-Ayim-Ufer si affaccia sul fiume Sprea e in occasione della ricorrenza del compleanno della poeta ogni anno si svolgono spettacoli, concerti e conferenze con grande partecipazione di persone. Lo spazio pubblico si è trasformato in un luogo di cultura condivisa dai molti sguardi e dalle molte anime.
In copertina: Audre-Lorde-Strasse, dedicata alla poeta, scrittrice e attivista statunitense (1934-1992).

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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