Con Il lupo mercante, nel 2007, Clara Sereni torna alla forma che le è più congeniale: una serie di frammenti narrativi che tendono a costruire un romanzo unitario. Il progetto è quello di raccontare la storia delle donne della sua generazione, nate intorno alla fine della Seconda guerra mondiale, cresciute in un mondo in rapida accelerazione, nel fermento degli anni Sessanta, travolte dagli entusiasmi e poi dalle disillusioni dei Settanta e degli Ottanta. Le donne protagoniste delle lotte studentesche e del movimento femminista, che, dopo la rivendicazione di diritti uguali e di pari opportunità, approdano all’affermazione orgogliosa del valore della differenza e attraverso l’esperienza dell’autocoscienza, della scoperta del loro corpo e di una sessualità non più subordinata alla procreazione, affermano il desiderio di vivere ognuna a suo modo l’essere donna, distruggendo stereotipi millenari.

Il titolo del libro è tratto da una poesia di Maxine Kumin, Dopo l’amore, che, posta in esergo, allude alla centralità che ha nel libro la relazione col proprio corpo e l’incontro col corpo dell’altro. I 26 racconti sono divisi in quattro sezioni, o meglio quattro tempi, corrispondenti alle fasi della vita. Le protagoniste, di volta in volta bambine, ragazze, donne adulte e infine donne mature, hanno nomi diversi; ma in ciascuna si possono scorgere le tracce di esperienze che appartengono alla storia della scrittrice. Di nuovo, dunque, autobiografia e romanzo si fondono nella narrazione in maniera inestricabile.
Nel primo tempo, dedicato all’infanzia e alla preadolescenza, protagonista assoluto è il corpo, un corpo di cui bambine a bambini, ragazze e ragazzi cercano di scoprire i misteri. Come in Glicine, il racconto di apertura, dove li vediamo giocare in un giardino condominiale, curiosi gli uni delle altre e già in competizione tra loro, alla ricerca di ciò che li rende diversi: «C‘è un ronzio forte, nell’angolo dove il glicine intreccia uno sopra l’altro i suoi rami. I grappoli di fiori stanno già appassendo, ma il nettare è ancora lì, zuccherino. Le bambine scelgono con attenzione i grappoli ancora integri, ne succhiano a occhi chiusi il dolce, appena una punta sulla lingua. I maschi sono presi dai loro giochi, di lotta. Con le guance arrossate, caracollano intorno al gruppo delle femmine, non sopportandone la concentrazione. Senza il coraggio di interromperla, cominciano dai rami più alti a spiumare i grappoli, con una presa secca tra pollice e indice che li lascia nudi, inutili. E si avvicinano, si avvicinano sempre più. Le bambin hanno abiti di piquet con lo sprone a punto smock, le maniche sono sostituite da alette che però non devono trarre in inganno: le sbucciature sulle ginocchia dicono di giochi anche avventurosi, e nessuno può dimenticare che la gara con la tavola montata sui cuscinetti a sfera […] l’ha vinta una femmina, con la sua gonnellina stretta tra le gambe perché non le fosse d’impaccio. […]. “Io vorrei sapere come fanno, quando si nasce a capire se sei maschio o femmina”, dice uno dei maschi con l’aria furba di chi sa già la risposta. “Io lo so”, risponde subito una delle femmine. […] “Quando nasciamo noi femmine abbiamo come un livido qui…”».
Nella Promessa Alice, una bambina di dieci anni, s’innamora del dottore che viene a visitare la sorella e sogna già il matrimonio; in Così forte i turbamenti di Stefania e Luisa, compagne di scuola, sorprese dal piacere che possono darsi a vicenda; in Niente fiori troviamo Letizia alle prese con le prime mestruazioni, le emozioni complicate e i tabù che le accompagnano; in Grandi magazzini la spedizione di un gruppo di amiche che tra mille imbarazzi scelgono il primo reggiseno. Ma è negli ultimi due racconti di questo “tempo” che Chiara e Susanna, nei primi incontri reali con i ragazzi, sperimentano la diversità di desideri e bisogni e le delusioni che ne conseguono.
Nel secondo tempo troviamo le protagoniste — Rosellina, Margherita, Lucia, Miriam, Elena, Marina, Barbara, Patrizia — coinvolte nel desiderio d’impegnarsi per un mondo diverso: manifestazioni, occupazioni, volontariato, ma anche la tentazione della violenza; e insieme trasgressione consapevole delle regole imposte da famiglia e società alla sessualità femminile. «Alla manifestazione è venuta con suo fratello, due anni più grande di lei. Poi si sono persi, lui a correre di qua e di là insieme al servizio d’ordine, lei dentro il gruppo centrale, il più compatto e protetto. Non conosce nessuno di quelli che le stanno intorno, ritrovarsi da sola in mezzo a quella folla non le dà disagio: sentirsi compagni è qualcosa che ha già imparato, essere dalla stessa parte quando tanti altri, la maggioranza, sono dall’altra. […] Correre, correre, malgrado i tacchi alti e la milza che le fa male. Ma non sa dove, da che parte ripararsi. Il rumore sordo dei calci e dei colpi dei poliziotti contro la carrozzeria leggera della Seicento è un terrore di violenza che la intorpidisce […] Un ragazzo che non ha mai visto le stringe le spalle in un abbraccio, Rosellina accetta la protezione con sollievo. Ma poi quello si china su di lei come a baciarla mentre la trascina in un portone: “Se facciamo i fidanzati forse ce la caviamo”, dice lui. Lei capisce e lo abbraccia a sua volta, senza imbarazzo. Anzi all’avvicinarsi minaccioso di tre celerini, è lei a baciarlo davvero, a lungo. Con naturalezza. Con il fiatone della paura che si scioglie in un’intimità dolce, amorosa. Stretti stretti, incollati nell’abbraccio, si allontanano senza difficoltà. Si separano più lontano, fuori dalla nube dei lacrimogeni. I caroselli ancora vicini della polizia impongono di sbrigarsi e l’idea di dirsi il nome scivola via: però si stringono forte forte la mano, per avventura condivisa e fiducia di corpi, di destino».
Il terzo tempo è quello della piena età adulta e delle scelte che segnano la vita: quella di Clara è la prima generazione di donne che, grazie alla pillola, possono finalmente decidere se avere figli/e oppure dare altri sbocchi alla loro generatività. Molte si dedicano all’insegnamento anche per questo motivo; e sono insegnanti diverse, come la Rossana di Una scelta. «Il risultato è lì, categorico. Incinta. Un vuoto allo stomaco, ma anche un barlume di sollievo: le era venuto un dubbio di menopausa precoce, non le piaceva l’idea di invecchiare così presto, benché la prospettiva di liberarsi delle proprie capacità riproduttive le appaia da anni un obiettivo da raggiungere. Perché non lo vuole lei, un figlio. Gli amori che ha le riempiono la vita senza incastrargliela e i tanti ragazzini difficili delle sue classi la rendono già madre più di quanto vorrebbe. […] Il 44 è in ritardo. Quando finalmente arriva è come un assalto alla diligenza […] il trambusto dà un po’ di nausea a Rossana che fin da piccola è stata sempre debole di stomaco. Ma poi le viene in mente che oggi forse c’è qualcos’altro, quel grumo appeso al suo utero senza che lei l’abbia voluto, quel corpo estraneo che vorrebbe farsi strada nel suo, di corpo, succhiandole energie e vita. […] Finiti per legge i tempi della clandestinità, interrompere una gravidanza resta comunque un fatto complicato, soggetto a controlli e, qualche volta, a vessazioni».
Le donne che scelgono la maternità lo fanno con la certezza di poter essere madri diverse. La scelta è tanto più controversa perché vissuta sullo sfondo di una stagione segnata dalla disillusione sulla possibilità di inventarsi un mondo migliore e dalla violenza che irrompe sulla scena politica. Il 1978, che dà il titolo al quarto capitolo di questa sezione, è un anno cruciale sia sul piano collettivo che nella storia personale della scrittrice: mentre viene approvata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, Clara — la somiglianza con Roberta, protagonista del racconto è in questo caso fortissima — decide di diventare madre. La gravidanza è appena all’inizio, quando le BR sequestrano e uccidono Aldo Moro. «La pelle del viso ha assunto una luminosità fortissima. Di felicità: e le piace non dirlo ancora, rimandare l’annuncio al momento che riterrà più opportuno, più adatto alla nuova Roberta che sta prendendo forma attorno al suo ventre, attorno al bambino che verrà. Neanche agli amici lo ha detto, ancora, di questa gravidanza: un po’ è imbarazzata, tutti sanno che non c’erano figli nel suo orizzonte di vita e invece per una storia che finalmente le sembra di poter chiamare amore ha deciso così. Da un giorno all’altro all’improvviso: le spiegazioni che dovrà dare ancora non le ha trovate, nessuna delle donne che ha attorno pare intenzionata a rischiare una scelta che mette in pericolo le autonomie così difficilmente raggiunte e ancora precarie. Men che meno ha pensato di dirlo a sua madre, alle sue sorelle: non vuole essere invasa da camicini e completini, il figlio che nascerà sarà il figlio diverso della madre diversa che lei intende essere. […] Non è una casa tradizionale quella che l’attende. E non un marito, come le altre, ma un compagno, qualcuno con cui condividi tante scelte e non solo un letto».
Il quarto tempo è all’insegna dello spaesamento: l’età della menopausa e insieme quella in cui spesso si esauriscono legami che si pensavano indistruttibili, il tempo in cui le donne divenute madri negli anni Settanta assistono sconcertate alle scelte di figli e soprattutto figlie, cui sembrano non essere riuscite a passare il testimone. Come la Nadia del Valzer per Siglinda. Ma è nel primo racconto di questa sezione, intitolato proprio Spaesamento, che, nel personaggio di Teresa, ritroviamo molti tratti della scrittrice; a cominciare dalla sua passione per i canti di lotta e quelli della tradizione popolare. «A Teresa è capitato ultimamente di ricominciare a cantare. […] Una vecchia canzone, Un paese, ritorna con insistenza, s’infila a tradimento fra un inno condannato dalla Storia e una ninnananna ashkenazita, fra un canto di mondine e una filastrocca francese. […] Teresa lo vorrebbe proprio tanto un paese, ma non ce l’ha più. Non ha più un paese politico, un progetto, una teoria, un’utopia in cui riconoscersi. È una sans-papier, i documenti che aveva sono scaduti e non c’è anagrafe al mondo che possa fornirgliene di nuovi, validi per i passaggi di frontiera che continuamente le si parano dinanzi. Non ha più un paese degli affetti, almeno non quello che ha conosciuto per tanti anni. […] A cinquant’anni Teresa si era sentita liberata dall’obbligo della seduttività, si ritrova ora a doversela giocare di nuovo tutta: per sanare le ferite del narcisismo, e per ritrovare chi, toccandola, restituisca confini alla sua pelle. Una pelle senza confini non è onnipotenza, significa perdersi, non avere consistenza. […] Il lupo mercante, ora, digrigna i denti, la fa sudare di paura e non può liberarsene. Ci sono momenti in cui la ossessiona il desiderio di avere vicino a sé un uomo, una donna, un cane, un gatto, insomma un qualunque organismo vivo da toccare, da cui esser toccata».
A chiusura del libro un capitolo diverso da tutti gli altri, esplicitamente autobiografico, Uomo, in cui Clara abbandona la terza persona per rivolgersi con il tu al figlio Matteo. «Sei l’uomo della mia vita. Non potrò mai perderti. Non mi perderai mai. Ma potrai fare a meno di me. […] Sei stato uomo per la prima volta al pronto soccorso dell’ospedale, quando stavo così male da non riuscire a parlare, da non risponderti più. […] Avresti potuto perderti in una delle tue crisi di aggressività e sofferenza, oppure non vedere. […] Sei riuscito a fare il figlio, l’uomo: riempiendomi di piccoli baci, rimboccandomi le coperte. Fino a quel momento ero stata solo io a rimboccartele. […] Quel giorno, quando sono stata costretta a ritirarmi come mai prima, si è creato uno spazio, e quello spazio tu sei stato capace di occuparlo, da adulto, capace di prendersi cura. Ho capito allora che ero libera anche di morire, ed è stato riprendermi un pezzo di me che ti avevo sacrificato, non senza fatica».
Clara Sereni aveva sperato che tra i suoi amici scrittori ce ne fosse uno capace di raccogliere la sua proposta di scrivere un libro che raccontasse, in parallelo al Lupo Mercante, la storia degli uomini della generazione del secondo dopoguerra.
Finora non è accaduto.
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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.
