Continuiamo insieme il viaggio che ci porterà alla scoperta dei gusti e delle tradizioni della regione più orientale d’Italia, stavolta scoprendo cosa la sua parte settentrionale, anche detta Capitanata o Daunia, può offrirci. Come si legge nell’articolo del numero 340 di Vv, la lavorazione della semola occupa un ruolo centrale nella tradizione culinaria pugliese. Anche nel Gargano le pastaie custodiscono questo sapere e hanno continuato a tramandarlo permettendo che arrivasse fino a oggi: impastando la farina e l’acqua hanno saputo creare un legame con la terra e con la comunità, fornendo nutrimento giorno dopo giorno.
Ed è proprio fra le dita delle numerose donne che hanno portato avanti tutto ciò, che si sono venute a creare delle tipologie di pasta che ancora oggi sono il volto della regione: in particolar modo, i cavatelli e i troccoli. Formati unici che hanno contribuito a destare curiosità sul mondo della pasta: grazie al cibo si ha l’occasione di seguire un’evoluzione culinaria, sociale e culturale. Così anche io, in prima persona, sono stata affascinata da questo universo e mi sono imbattuta nel manuale di Silvano Serventi e Françoise Sabban, La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, un volume prezioso, un vero e proprio affresco sulla storia della pasta in Italia e nel mondo. Partendo dal Medioevo, ci viene illustrato il progresso delle tecniche di impasto e di essiccazione fino all’industrializzazione; durante questo grande lasso di tempo si sono andati a delineare i diversi formati, con la differenza fra la pasta secca e quella fresca: quest’ultima, spesso fatta in casa, occupa tutt’oggi un posto centrale nei saperi contadini del Sud Italia, conoscenze che si sono man mano fatte specifiche e “specializzate”. La lavorazione del grano, non solo qui, ha richiesto l’utilizzo di utensili che potessero facilitare il lavoro, contribuendo alla creazione di un prodotto di ottima qualità. In particolare, nella zona garganica si è sviluppato il troccolaturo: un mattarello con delle scanalature di diversa dimensione che, passando sulla pasta fresca stesa, crea, appunto, i troccoli.
È in questo esempio che vediamo la maestria dei saperi femminili che si sono tradotti in utensili specializzati: si può dire che in tutto nel Mezzogiorno intere generazioni di donne siano state delle vere e proprie custodi del sapere quotidiano, la cui eredità è ancora molto presente. Un lascito, quindi, che trova anche un riscontro istituzionale — sintomo della necessità di preservare questo bene — nell’Atlante dei prodotti tipici agroalimentari di Puglia, un progetto realizzato con il contributo della Regione Puglia – Dipartimento Agricoltura Sviluppo Rurale e Ambientale e del Cnr: l’Atlante raccoglie 365 schede dei P.A.T. (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) riconosciuti dal Ministero e dalla Regione. Questo documento è particolarmente prezioso perché oltre alla valorizzazione del lavoro delle pastaie come patrimonio immateriale — legato non solo alla gastronomia ma anche alla trasmissione culturale — i cenni agli usi popolari che vengono inseriti ci restituiscono un quadro particolarmente dettagliato. Il loro ruolo non si limitava al solo atto di cucinare ma, come nelle altre parti della Puglia, rappresentava un sapere pratico tramandato oralmente, che richiedeva manualità e conoscenza dei tempi dell’impasto e della cottura; per questo svolgeva soprattutto una funzione sociale e pedagogica: le bambine osservavano e poi imparavano, entrando così in una tradizione che le avrebbe accompagnate per tutta la vita. Si andava così a costituire una forte forma di identità collettiva: ogni borgo e spesso ogni famiglia aveva una variante dello stesso formato, che distingueva e univa la comunità; proprio per questo possiamo parlare di un patrimonio materiale ma anche immateriale, per il ruolo sociale che ha rappresentato. Nel Gargano, come in altre zone della Puglia rurale, la pasta fresca non era un cibo quotidiano: molto spesso si mangiavano pane, minestre di legumi e verdure, mentre la pasta era legata a occasioni speciali. Si pensi alle ricorrenze religiose o le feste patronali, quando il cibo assumeva anche un valore rituale in cui simboleggiava l’abbondanza; o, soprattutto, durante i matrimoni e le feste di famiglia, in cui si coinvolgevano tante donne e pastaie, che si riunivano per lavorare tutte insieme alla spianatoia.
Ho vissuto gran parte della mia vita in Puglia, ma non so come potesse essere davvero vivere quei momenti; dopotutto sono riuscita a immaginarli grazie alle storie di mia nonna che, a suo modo, ha perpetrato questa tradizione: mi raccontava di intere stanze nelle case occupate da panetti da far lievitare, polvere di farina che aleggiava nell’aria, e ancora urla da una parte all’altra delle abitazioni. Quei tempi sono passati, ma queste storie ci possono ancora parlare. E lo fanno attraverso le tante sagre che si svolgono nella Daunia, come la Sagra della pasta a mano a Castelluccio Valmaggiore o la Sagra dei cicatelli a Celle di San Vito; molto suggestive sono anche la Festa del pane e della salicornia, a Cagnano Varano, Grani Futuri e la Sagra dell’acquasala fredda a San Marco in Lamis, dedicata alle farine e ai prodotti locali.
Una tipologia molto gustosa e versatile che si può trovare fra le bancarelle di queste feste sono i cavatelli, le cui prime tracce risalgono al periodo svevo durante l’Impero di Federico II: in un antico documento dell’epoca si narra infatti di impasti oblunghi con incavo al centro, ottenuti trascinando l’impasto con le dita o sul piano di lavoro. La ricetta è molto semplice, solo semola di grano duro (talvolta miscelata con farina 00) e acqua (eventualmente un filo d’olio), e un pizzico di sale, ma sono la tecnica e l’esperienza a fare la differenza. Di seguito troverete la ricetta per farli a casa, ma sono facilmente reperibili nei pastifici della zona e online.
Ingredienti (4–5 persone)
- 500 g semola rimacinata di grano duro (oppure mix semola + farina 00);
- 250–260 ml acqua tiepida (circa 40–50 °C);
- 1–2 cucchiai di olio extravergine d’oliva (facoltativo);
- Un pizzico di sale.
Procedimento
Disponi la farina a fontana su una spianatoia o in una ciotola.
Versa al centro l’acqua con il sale e, se vuoi, l’olio, poi incorpora progressivamente la farina. Lavora l’impasto fino a ottenere una massa liscia ed elastica.
Avvolgi l’impasto nella pellicola e lascialo riposare per 20–30 minuti.
Ricava un cilindro sottile (circa 1 cm di diametro), taglialo a pezzetti di circa 1 cm e trascinali sul piano con il dito o il coltello, conferendo l’incavo tipico e una forma a conchiglia.
Disponili su un canovaccio infarinato o una graticola.
Essendo un formato di pasta che raccoglie bene il sugo che li accompagna, si prestano molto bene a diverse ricette. Una variante molto apprezzata, che propongo qui, è particolarmente sapida e intensa: cavatelli con crema di peperoni in versione vegetale.
Ingredienti (per 4 persone)
- 400 g di cavatelli freschi (meglio se fatti a mano);
- 3 peperoni rossi grandi;
- 1 cipolla bianca piccola;
- 1 spicchio d’aglio;
- 30 g di mandorle pelate o anacardi (ammollati per almeno 30 min);
- 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva del Gargano;
- 2 cucchiai di lievito alimentare in scaglie;
- Basilico fresco q.b.;
- Sale e pepe q.b.;
- Un pizzico di peperoncino (facoltativo).
Preparazione
Arrostisci i peperoni: mettili in forno a 200 °C per circa 30–35 minuti, girandoli a metà cottura, finché la pelle sarà raggrinzita. Una volta pronti, coprili con un panno o chiudili in un sacchetto di carta: il vapore aiuterà a spellarli facilmente. Elimina pelle, semi e filamenti.
In una padella scalda l’olio, aggiungi cipolla tritata e aglio e lasciali appassire dolcemente senza bruciare.
Unisci, quindi, la polpa dei peperoni, le mandorle (o anacardi), il lievito alimentare, sale, pepe e, se piace, un pizzico di peperoncino. Frulla tutto con un mixer a immersione o un robot fino a ottenere una crema vellutata. Se risulta troppo densa, aggiungi poca acqua di cottura della pasta.
In abbondante acqua salata, cuoci i cavatelli, fino a quando vengono a galla e restano al dente.
Poi scola la pasta, tieni da parte un po’ di acqua di cottura e mescolala con la crema di peperoni in padella. Aggiungi basilico fresco spezzettato a mano e, se serve, un filo d’olio a crudo.
Consiglio: per dare un tocco 100% pugliese, puoi completare il piatto con briciole di pane raffermo tostate in padella con un filo d’olio: una pratica tradizionale della mia regione che richiama la cucina contadina e aggiunge croccantezza al piatto. Buon appetito!
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Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.
