Iniziamo insieme un viaggio alla scoperta della biodinamica, una tecnica di coltivazione ecologica, sostenibile e rispettosa dell’ambiente basata sui cicli biologici naturali delle piante e dell’intero ecosistema. Una pratica olistica e a tratti esoterica, che porta l’agricoltura e la viticoltura come le conosciamo, oltre i semplici contenuti meccanicistici che regolano il fluire delle cose.
La scelta di guardare alla biodinamica nell’approssimarsi dei giorni della vendemmia nasce dall’osservazione del fenomeno emergente dei vini “naturali” che in Italia, in un mercato al rallentatore, esprime, al contrario, numeri in salita. Ma anche dalla consapevolezza che natura e piante hanno sviluppato un modo unico e affascinante di comunicare che ci porta, giocoforza, sul terreno di importanti implicazioni nelle pratiche agricole, e questo attraverso la rete del micelio — sistema di ife fungine (filamenti) e spore sviluppato dal mondo vegetale per la condivisione di informazioni sull’ambiente, la nutrizione, la comunicazione e la simbiosi tra le piante stesse.
La viticoltura biodinamica propone vini dai sentori olfattivi e gustativi meno standardizzati, vini a volte dalle colorazioni particolari, a volte tecnicamente più difficili, a volte instabili in quanto meno accompagnati nei processi di fermentazione e maturazione, ma comunque più particolari nel bicchiere. Queste caratteristiche, insieme a un approccio agricolo centrato sul rispetto della natura, attirano un pubblico sensibile alle tematiche ambientali, persone giovani e giovanissime e in generale un pubblico che si identifica con le filosofie della vita a basso impatto ambientale o a impatto zero.
Va precisato, tuttavia, che non esistono né una legge né una denominazione o una certificazione per i cosiddetti “vini naturali” e che la dicitura “naturale” è principalmente un’espressione di marketing nata per identificare una nicchia di mercato riservata a quei vini sui quali l’intervento della mano umana viene ridotto al minimo. Vini, dunque, che non tutti sanno o possono produrre con sufficienti risultati.

Tornando alla biodinamica, il termine ha origine da due radici. Il prefisso “bio” derivato dal greco che significa vita o essere vivente e la parola “dinamica”, che oltre alla successione dei fattori che determinano lo sviluppo di un dato evento, include qui anche quelle energie (dinamiche) che agiscono sui movimenti delle cose.
L’agricoltura biodinamica, allora, è un metodo di coltivazione che proponendo una visione integrata e spirituale della relazione tra la terra, le piante, gli animali e gli esseri umani, si basa sull’idea che fertilità e salute delle colture dipendano dalla cura del suolo e siano profondamente interconnesse ai ritmi cosmici, ai cicli lunari e planetari e alle energie vitali del mondo naturale.
A tutti gli effetti un modo profondamente differente di concepire l’atto del coltivare rispetto a quanto oggi siamo abituati a vedere nell’agricoltura convenzionale, per non parlare di quella che utilizza gli Ogm o le Tea. Le Tea (Tecniche di evoluzione assistita) sono biotecnologie che modificando le piante in modo mirato ma senza introdurre materiale genetico estraneo, ne accelerano i processi di miglioramento rispetto ai metodi tradizionali. Gli Ogm (Organismi geneticamente modificati), invece, sono piante, animali o microrganismi il cui patrimonio genetico (Dna) è stato modificato in laboratorio mediante tecniche di ingegneria genetica.
La terra coltivata in regime biodinamico e le piante allevate secondo questa filosofia, trasferiscono ai frutti la propria elevata attività vitale, in un approccio che di fatto ha l’ambizione e lo scopo di produrre alimenti che siano portatori di elementi capaci di nutrire il corpo e anche lo spirito. In altre parole, una filosofia che parte da un concetto di relazione reciproca, secondo il quale tutti gli elementi (terreno, piante, animali, persone, magnetismi planetari e forze cosmiche), sono collegati e interconnessi.

In biodinamica si scelgono così pratiche agricole che rispettano la biodiversità e spesso si lavora in campo secondo un calendario solare, lunare e planetario che guida attività come semina, potatura e raccolta, recuperando un po’ di quelle scienze ancestrali che si potrebbero anche definire di matrice antica.
La biodinamica, tuttavia, è una pratica agricola relativamente moderna che si delinea e si definisce nel 1924, grazie all’austriaco Rudolf Steiner (Kraljevica 1861-Dornach, Basilea, 1925), filosofo, pedagogo e fondatore dell’antroposofia, in risposta alle preoccupazioni di alcuni agricoltori per il declino della fertilità dei campi e per la crescente meccanizzazione dell’agricoltura.
Steiner vuole aiutare l’agricoltura a ottenere una terra più fertile partendo dal considerare in campo quegli aspetti della biologia del suolo che riconoscono le interconnessioni, ovvero la relazione dinamica tra ambiente e organismi viventi. Come l’alternanza del giorno (luce per generare) e della notte (buio per consolidare) e come le fasi lunari e il susseguirsi delle stagioni. Dopotutto la luna governa i liquidi e gli effetti sulle maree ne sono l’esempio più noto.
In breve, la biodinamica si fonda su tre principii: salvaguardare la fertilità del suolo; allevare piante in salute e capaci di sviluppare naturalmente resistenza a malattie e parassiti; produrre alimenti di qualità, capaci di trasferire nutrienti ed energie positive a chi se ne nutre.

In questo nostro curiosare nella biodinamica, dobbiamo ricordare ora la figura fondamentale di Maria Thun (1922 -2012), agronoma e studiosa di biodinamica, che prosegue e amplia il lavoro di Steiner realizzando il Calendario delle semine, un decalogo di agricoltura olistica, basato sui moti stellari, planetari e lunari, nato per agevolare coloro che scelgono di dedicarsi a questa tecnica colturale. Pubblicato per la prima volta nel 1981, il Calendario ancora oggi è considerato «uno strumento di lavoro indispensabile per agricoltori e orticoltori sia professionisti che amatoriali» (Il giardino dei libri).
Dato che i vini biodinamici sono innanzitutto vini biologici, realizzati con intervento umano minimo, lieviti indigeni naturalmente presenti sulle uve e poche (o inesistenti) aggiunte di solfiti, in Francia, Paese come sempre più avanti di chiunque altro nell’ambito della sperimentazione in vigna, in questo campo pionieristico emergono un paio di donne i cui nomi di grande rilievo spiccano ancora oggi nel panorama enologico mondiale.
Anne-Claude Leflaive, Domaine Leflaive (Puligny-Montrachet, Borgogna).
Domaine Leflaive è tra le prime cantine ad adottare la biodinamica nei celebri terroir di Borgogna (il termine indica le qualità di un territorio e dei suoi vini, un sistema che integra le caratteristiche del terreno e dei vitigni e i fattori naturali e climatici di una data zona, unendoli concettualmente, oltre al lavoro in campo e in cantina, alle peculiarità della sua storia e cultura).
Anne-Claude Leflaive, biologa visionaria, produttrice ed enologa, diventa una figura di riferimento imprescindibile e senza dubbio una pioniera in questo campo.
Alla guida dell’azienda di famiglia, «una volta ereditate anche le quote del padre, avvia agli inizi degli anni Novanta del Novecento la conversione di tutti i vigneti alla biodinamica. Elevando così i suoi vini bianchi all’eccellenza, trasferisce dal campo alla bottiglia una conoscenza metodologica innovativa, frutto della passione di una vita» (dal libro GenerAzioni in Campo Radici e percorsi del Vino al Femminile, Edizioni All Around, anno 2024, di Eva Panitteri e Maurizio Saggion).
Anne-Claude, che sa di percorrere una strada poco esplorata, opera una scelta che richiede coraggio e determinazione in un’epoca in cui i principii della biodinamica sono considerati marginali e spesso accolti con sospetto e scetticismo. Tuttavia, ispirandosi all’approccio spirituale e scientifico proposto da Rudolf Steiner, crede fortemente nel valore aggiunto che la vitalità del suolo e l’equilibrio degli ecosistemi andranno ad apportare ai propri vini e va avanti con la sua scommessa. Questa gestione segna ovviamente una svolta: oltre a migliorare la qualità e la riconoscibilità dei vini prodotti, infatti, madame Leflaive diventa ambasciatrice mondiale della biodinamica, promuovendo il confronto tra viticoltori e sperimentatori di tutto il pianeta. Ideatrice di percorsi formativi, sostenitrice della ricerca e della condivisione delle pratiche, il suo lavoro ha un impatto duraturo sia sul Domaine Leflaive sia sull’intera comunità enologica internazionale, contribuendo in modo decisivo a rendere la filosofia della biodinamica una scelta di sensibilità per il futuro della viticoltura.
Lalou Bize-Leroy, Domaine Leroy (Côte de Nuits, Borgogna).
Domaine Leroy nasce dalla mente di Lalou Bize-Leroy, classe 1932, battezzata Marcelle, ma universalmente conosciuta come Lalou e anche nota come la “Regina di Borgogna”. Imprenditrice, enologa e proprietaria delle cantine Domaine d’Auvenay e Domaine Leroy, rappresenta oggi una delle figure più influenti, più visionarie e carismatiche nel panorama della biodinamica enologica mondiale.
Figlia d’arte (la prima maison Leroy risale al 1868), fin dal suo ingresso in questo mondo porta avanti un’idea di viticoltura in cui la terra e le vigne sono centrali, considerandoli organismi viventi intimamente connessi all’energia del cosmo e ai cicli biologici naturali. Nel 1988 madame Leroy acquista due tenute, fonda Domaine Leroy e, rivelando un autentico spirito pionieristico, converte immediatamente tutti i vigneti all’agricoltura biodinamica, con una sensibilità fuori dal comune e ben prima che questa tecnica sia riconosciuta come garanzia di qualità. Nel 1993 la decisione di non di trattare chimicamente i vigneti le fa perdere gran parte dei raccolti. Tuttavia, quando il poco vino prodotto da quelle vigne non trattate chimicamente si rivela di qualità superiore, si confermano il valore della sua intuizione e di scelte che di fatto sono innovative.
La sua filosofia, fondata sulla convinzione che la vitalità del terreno e la salute delle piante siano la chiave per ottenere vini capaci di esprimere le caratteristiche del terroir, la guida ora, senza timore di imboccare strade sbagliate, alla scelta di abolire totalmente l’utilizzo di pesticidi, diserbanti e fertilizzanti chimici, in un approccio al campo e alla terra che punta a creare un ecosistema armonico e… disintossicato! Sotto la sua guida, entrambi i domaine sono diventati veri e propri laboratori di eccellenza, esempi di come la biodinamica possa dare risultati straordinari: i suoi vini, acclamati a livello internazionale e che incarnano l’identità del terroir de Bourgogne esprimendo profondità, finezza e capacità di evolvere e durare nel tempo, sono messi in commercio non secondo l’annata di produzione, ma unicamente al raggiungimento della maturità ottimale.
In tema di biodinamica tra le celebri maison francesi che la utilizzano, troviamo anche Domaine de la Romanée-Conti (Borgogna), simbolo del lusso e dell’eccellenza mondiale del vino, che la adotta come parte integrante della propria filosofia produttiva a partire dagli anni Duemila. Una maison dove fino al 1992 Lalou Bize-Leroy è stata co-direttrice.
Tra le prime maison di Champagne a convertire i propri vigneti alla biodinamica, invece, troviamo Champagne Fleury (Champagne).
In Italia, diverse realtà di viticoltura biodinamica disegnano, insieme, una piccola costellazione di aziende capaci di offrire, dal Nord alle terre siciliane, una viticoltura che si esprime attraverso vini che vogliono raccontare in maniera decisamente non omologata i propri territori.
Questo stile emergente, che nel bicchiere non a tutti piace e che a pochi riesce bene, ha tuttavia il pregio di offrire vini che si basano su una filosofia dai criteri del produrre etici, sostenibili e per certi versi nuovi. Cosa non di poco conto in tempi, che oltre alla crisi del mercato del vino, esprimono l’esigenza di molte e molti di trovare nel proprio calice prodotti diversi dal convenzionale e innovativi.
In copertina: Uva in Sicilia. Foto di Eva Panitteri.
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Articolo di Eva Panitteri

Sono nata a Genova da una famiglia girovaga. Amo viaggiare alla scoperta di sapori, profumi, atmosfere e territori. Lettrice seriale, giornalista pubblicista, autrice, Sommelier del Vino e dell’Olio di Fondazione Italiana Sommelier, appassionata di Food & Wine ed esperta di questioni di Genere, scrivo di temi e passioni che sono le mie identità.
