«Bari vecchia è un mondo a sé. Non si fa contenere o racchiudere in rigide definizioni. È la vita che respira, è il mistero sempre palpitante sull’orlo delle cose, è l’ordine che ogni volta si arrende di fronte all’intrico di viuzze, volti, gioie e dolori segreti» — Fabrizio Caramagna.
È così che penso a Bari, la città in cui sono nata. Nonostante io non abiti più in Puglia, mi vengono spesso in mente le passeggiate su lungomare, oppure tra i vicoli stretti di Bari Vecchia, dove il mio sguardo si posava facilmente sulle donne chine sui tavolieri di legno, intente a trasformare piccoli pezzetti d’impasto in decine di orecchiette. Un gesto sempre rapido, sicuro, che sembra quasi naturale: in realtà — come abbiamo visto in Le pastaie pugliesi. La Daunia e Le pastaie pugliesi. Il Salento — custodisce secoli di pratica, e le pastaie continuano a dar vita al formato simbolo della città, divenuto ormai patrimonio culturale e, non senza riserve, attrazione turistica. Una storia lunga e stratificata, quelle delle orecchiette (e non solo), fatta di ipotesi, documenti, testimonianze orali tramandate.
Non è stato semplice risalire alle origini delle orecchiette. La scheda del Prodotto Agroalimentare Tradizionale (Pat) della Regione Puglia ammette che la nascita di questo formato è “remota ma priva di certezze” ma alcune delle ipotesi sono più accreditate di altre. Si pensa che l’introduzione di questo formato possa risalire all’epoca angioina attraverso i contatti con la Provenza; un’altra opzione è data dalla possibile influenza delle comunità ebraiche presenti in Puglia, a partire quindi dalla conquista normanna del Mezzogiorno attorno al 1070 sino al termine del periodo svevo a metà del 1200, sotto il dominio di Federico II. Non è da escludersi l’ipotesi che la forma concava ricordi impasti rituali come le “orecchie di Haman”, tipiche della cucina ebraica, anche se si tratta di teorie affascinanti con pochi riscontri certi più che di prove documentate. In ogni caso, si è avuto modo di notare che la loro morfologia — spessa al centro e più sottile ai bordi — rispondeva anche a un’esigenza pratica: consentire un’essiccazione uniforme e una migliore conservazione della pasta.
Tuttavia una conferma è presente anche nelle fonti documentarie: già alla fine del Cinquecento le orecchiette facevano parte della vita quotidiana barese. Nel 1596 un atto notarile conservato presso la Chiesa di San Nicola a Bari testimonia il lascito di un maestro pastaio alla figlia: non solo l’attrezzatura del mestiere, ma anche l’insegnamento del gesto manuale, del polso e delle dita, tutti elementi necessari a plasmare la forma della pasta. È una delle prove più antiche e tangibili che ci parlano delle orecchiette come di un’arte domestica codificata e trasmessa all’interno delle famiglie.
La figura delle pastaie, come le conosciamo oggi, emerge però solo in epoca più recente. Nel Novecento e nel secolo successivo, cronache, reportage e fotografie cominciano a ritrarre le donne di Bari Vecchia sedute davanti alle case, chine sui tavolieri, a produrre centinaia di orecchiette sotto gli occhi dei/delle passanti. Passeggiando in via Arco Basso, nel cuore di Bari Vecchia, ci si imbatte in una scena che è ormai diventata un’icona. Tra le pastaie spiccano figure ormai celebri come Nunzia Caputo, la “regina delle orecchiette” — che è stata protagonista di interviste e servizi televisivi italiani e internazionali (The Guardian, Cbs News, La Cucina Italiana) — e Maria Morfino, detta “Maria delle Orecchiette”, vere e proprie protagoniste che hanno reso questa tradizione famosa in tutto il mondo. Arco Basso è diventato così un luogo-simbolo, dove la preparazione delle orecchiette si è trasformata in uno spettacolo quotidiano, capace di attrarre turiste/i e curiose/i, ma anche di sollevare dibattiti su legalità, regolamentazioni e tutela di un patrimonio immateriale che appartiene alla città. Le testimonianze fotografiche e giornalistiche, pur prive del rigore degli archivi storici, restituiscono con vividezza la continuità di un mestiere che da pratica domestica si è trasformato in immagine pubblica di Bari. Parallelamente, studi più ampi sulla storia della pasta in Italia — basati su archivi aziendali, inventari e fonti d’epoca — aiutano a collocare questa tradizione nel contesto di un processo più ampio, che dall’Ottocento in poi ha visto la produzione artigianale intrecciarsi con quella industriale. Eppure, nel caso delle orecchiette, la dimensione familiare e manuale ha continuato a prevalere, rimanendo l’elemento che meglio definisce l’identità di questo formato e il legame indissolubile con le mani delle donne che lo hanno tramandato fino a oggi.
Dopotutto, sarebbe veramente riduttivo ricordare solo questo formato di pasta. I ferrazuoli, infatti, rappresentano uno dei formati di pasta fresca che meglio raccontano la manualità e l’inventiva della tradizione pugliese. Diffusi soprattutto tra la provincia di Bari e la Murgia, devono il loro nome al piccolo ferro di metallo con cui venivano modellati: un sottile ferretto da maglia o una bacchetta che, arrotolata attorno all’impasto di semola e acqua, dava vita a una pasta cava e resistente, perfetta per accogliere i condimenti semplici o corposi.
Vediamo ora una ricetta adatta a entrambi i formati, con alcune varianti sfiziose.
Ferrazuoli o orecchiette con sugo di pomodoro e melanzane:
Ingredienti per 4 persone
- 400 g di ferrazuoli/orecchiette fresche (o fatti a mano con semola e acqua);
- 1 melanzana grande;
- 500 g di pomodori pelati (o passata di qualità);
- 2 spicchi d’aglio;
- Olio extravergine d’oliva q.b.;
- Sale e pepe q.b.;
- Qualche foglia di basilico fresco;
- Opzionale: granella di pane raffermo tostato, mandorle tritate per dare croccantezza, o taralli sbriciolati.
Preparazione
Taglia la melanzana a cubetti, salala leggermente e lasciala spurgare per 20 minuti, poi sciacqua e asciuga. In una padella capiente, scalda un filo d’olio e rosola l’aglio. Aggiungi i cubetti di melanzana e falli dorare bene. Versa i pomodori pelati schiacciati o la passata, regola di sale e pepe e lascia cuocere a fuoco lento per circa 20 minuti, fino a ottenere un sugo corposo. Unisci il basilico fresco a fine cottura.
Cuoci i ferrazuoli o le orecchiette in abbondante acqua salata, scolali al dente e saltali in padella con il sugo.
Servi subito, completando con un filo d’olio crudo e, se vuoi, con granella di pane tostato, mandorle o taralli sbriciolati.
In alternativa al sugo di melanzane puoi provare anche:
- Ferrazuoli/orecchiette con crema di fave e cicoria (ispirata alla fave e cicoria pugliese, che abbiamo già incontrato su Vv);
- Ferrazuoli/orecchiette con ceci e cime di rapa, unendo legumi e verdure di stagione.
Buon appetito!
***
Articolo di Nicole Maria Rana

Nata in Puglia nel 2001, studente alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. Appassionata di arte e cinema, le piace scoprire nuovi territori e viaggiare, fotografando ciò che la circonda. Crede sia importante far sentire la propria voce e lottare per ciò che si ha a cuore.
