Celia Cruz, la Reina de la Salsa

«¡Azúcar!» era l’iconico grido distintivo della Regina della Salsa Celia Cruz (pseudonimo di Úrsula Hilaria Celia de la Caridad de la Santísima Trinidad Cruz Alfonso) nata a L’Avana, nell’isola di Cuba, il 21 ottobre. Non sappiamo con precisione l’anno di nascita poiché non volle farne menzione: forse era il 1924, forse il 1925.
Fu una delle artiste più influenti della storia della musica latina, raggiungendo una buona notorietà in tutto il mondo grazie alla sua voce, alla sua personalità e al suo stile.
Figlia di Simón Cruz, un fuochista sui treni, e Catalina Alfonso Ramos, una casalinga di origine haitiana, era la seconda della numerosa prole. Durante l’infanzia crebbe ascoltando le melodie della Santerìa, nonostante il dissenso del suo cattolico padre.

Celia Cruz da giovane

Più tardi, venne introdotta nel mondo della musica dalla zia, che era solita condurre lei e suo cugino nei cabaret a cantare, malgrado i genitori preferissero per la giovane la carriera da insegnante. Precisamente, Celia iniziò come artista di strada e, proprio in relazione a questo, sua madre raccontava che un giorno la ragazza, per ottenere un paio di scarpe nuove, intonò a un turista un brano affinché gliele comprasse; un altro aneddoto era che soleva cantare a bambine e bambini della zona per farli addormentare, oltre che per permettere ai rispettivi familiari di ascoltarla.
La giovane talentuosa si esibiva a scuola e nel frattempo, all’età di 16 anni, iniziò a partecipare a vari concorsi, tra cui Radio Garcia-Vera ed Estrellas Nascentes. Si iscrisse poi al Conservatorio e qualche tempo dopo partì per la sua prima tournée in Messico e in Venezuela.
Non si può di certo dire che, nei 50 anni di carriera, abbia “limitato” il proprio repertorio musicale alla guarachas y salsa, ha infatti esplorato diversi e numerosi generi: dal sono montunos e dal boleros al mambo e al cha cha cha, dalla rumba e daicanti religiosial rock n’ roll.
Aveva iniziato la professione con la musica nigeriana Yoruba, con la quale, tuttavia, non ebbe successo. Decise, dunque, di virare su qualcosa di più popolare e si unì all’ottetto della Sonora Matancera, sostituendo Myrta Silva. Con questo gruppo, Celia Cruz, nel 1958, registrò un singolo — Cao Cao Manì Picao — e cominciò a esibirsi nei più famosi locali dell’Avana, come Bamboo, Topeka e El Tropicana. Questa fu la prima Celia: una giovane diva che gorgheggiava motivi ballabili vicini alla cultura africana.
Con la rivoluzione castrista, avvenuta nel 1959, la situazione politica cambiò e il fatto che, l’anno successivo, Celia e la Matancera accettarono di suonare in Messico non fu gradito al nuovo regime. Da questo momento in poi, non tornò più a Cuba poiché, una volta trasferitasi negli Stati Uniti, non le fu mai concesso il rimpatrio, nemmeno alla morte dei suoi genitori. Nello stesso periodo, si innamorò di uno dei due trombettisti del complesso Matancera, Pedro Knight, il quale divenne il suo unico punto di riferimento. Il loro amore fu eterno: nel 1962 si sposarono e poi si stabilirono definitivamente in New Jersey.

Celia Curz e Pedro Kinght

La seconda Celia cominciava sei anni dopo, quando decise di chiudere i rapporti con la sua orchestra e di iniziare la carriera da solista, nella quale spaziò e mescolò i vari generi: il guaguanco e la salsa si fusero e diedero origine alla rhumba. A questa fase appartenne uno dei suoi più importanti album: Son Con Guaguanco, e successivamente iniziò la collaborazione con Tito Puente, il portoricano precursore dell’attuale musica latinoamericana. Assieme incisero otto dischi ma il successo non arrivò subito.

Celia Cruz e Tito Puente

Si è dovuto aspettare fino il film Mambo Kings (1992), diretto da Arne Glimcher, dove entrambi recitarono al fianco di Antonio Banderas e Armand Assante. La pellicola era basata sul romanzo The Mambo Kings Play Songs of Love di Oscar Hijuelos, vincitore del Premio Pulitzer per la narrativa nel 1990 e i due cantanti ebbero ruoli di contorno per impersonare professionisti del panorama canoro legato al mambo degli anni Cinquanta.
Il 1973 fu un anno cruciale e dette l’inizio alla terza Celia. Due fattori importantissimi contraddistinguono questa fase: la scelta da parte della popolazione latina, insediatasi negli Stati Uniti, di considerarla come un marcatore di appartenenza e gli incontri con Johnny Pacheco — co-fondatore di Fania Records — e con Willie Colón, i quali le aprirono la strada nel mondo della salsa newyorkeña.

Celia e Willie

A questa epoca risalgono anche i tour in Giappone e in Italia, un album sotto l’etichetta Fania (che contiene numerosi brani incisi con l’orchestra di Tito, come Salsa de Tomate e Dile Que Por Mi No Tema), l’esordio su etichetta Vaya (sussidiaria a Fania), il debutto con le Fania All Stars. New York, che all’epoca era nel pieno sviluppo artistico-musicale, rappresentò per la nostra artista un ambiente estremamente stimolante e di crescita, un ambiente con cui il suo stile e la sua voce erano perfettamente in linea. «La salsa ha fatto qualcosa di nuovo per la musica cubana, gli strumenti elettronici la rendono più ricca. Prima, dovevi dire guaracha, rhumba, merengue, guaguanco: ora dici salsa, è tutto insieme», affermava Celia. A tal proposito, non si possono non menzionare Celia and Johnny e la Celia Cruz – Anthology, una compilation doppia del suo periodo americano dal 1965 agli anni Ottanta contenente pure diversi lavori con Pacheco.
Per quanto riguarda Willie Colón, anche la loro unione fu qualcosa di assolutamente straordinario tanto che Alex Henderson, su Mtv, li paragonò al duo composto da Marvin Gaye e Tammi Terrell. Tra i loro maggiori successi abbiamo Burundaga, Usted Abusò e Berimbau.
L’ultima, o meglio la quarta, Celia fu quella sotto l’etichetta Rmm, del beat, della musica elettronica e della partecipazione al citato film Mambo Kings (1992) e alla commedia La famiglia Perez (1995) diretta da Mira Nair, tratta dal romanzo di Christine Bell e con un bel cast. Esemplificative di questo ciclo furono senz’altro La vida es un Carnaval, Mi vida es cantar e La Negra Tiene Tumbao, realizzata su una base reggaeton. La decade che va dagli ultimi anni Novanta ai primi dei Duemila fu colma di riconoscimenti: numerosi premi Grammy e un Latin Grammy Awards; una stella nella Walk of Fame; la National Medal of Arts conferitale, nel 1994, dal presidente Usa Bill Clinton; diversi dottorati honoris causa ricevuti da tre delle più importanti università negli Stati Uniti (Yale, Miami e Florida International); l’intitolazione di una strada situata presso la Calle Ochio nel quartiere di Little Havana a Miami, in Florida, dal nome Celia Cruz Way.

Celia Cruz Walk of Fame
Celia Cruz

Nel dicembre 2002 Celia venne operata a New York, sottoposta a un intervento al cervello per via del tumore che l’aveva colpita. Solo sette mesi dopo morì, lasciando un’impronta nella cultura dell’America Latina, soprattutto in quella cubana. Non va dimenticato che la Reina de la Salsa fu anche voce politica, sempre in prima fila a combattere per i diritti delle persone migranti, in particolar modo quelle appartenenti al suo popolo e ai Paesi africani. Angelique Kidjo, famosa cantante beninese e sua grande estimatrice, la ricorda in questo modo: «La gente diceva che Celia non era bella, che aveva grandi labbra, e allora lei le enfatizzava ancora di più. Diceva “guardate le mie labbra, posso dipingerle di qualsiasi colore. Rosso, blu. Posso tingermi i capelli di viola”. Ha creato quel personaggio per dimostrare che puoi essere un camaleonte: non essere noioso, sii sgargiante. Di questo parla Bemba Colorà. Rosso, blu, viola? Fatelo».

Celia Cruz ai Latin Grammy Awards

Tra i suoi componimenti e album più famosi — finora mai menzionati — abbiamo: il suo primo album 100% Azúcar! The best of Celia Cruz; Sempre Vivirè, cd prodotto da Emilio Estefan; l’album The Winners; le colonne sonore a cui prestò la voce di Sometihing wild e Invasion U.S.A. Diverse anche le produzioni post mortem a lei dedicate, tra cui ricordiamo i documentari Celia Cruz: Azucar! (2003) e Celia: The Queen (2008).
Celia Cruz fu, dunque, un’icona, una autentica donna di spettacolo, una scarica di energia: il suo sorriso, le sue parrucche, i suoi abiti colorati, la sua totale dedizione alla musica, la sua unicità e il suo fascino contagioso l’hanno resa una leggenda e un modello da seguire.
Concludiamo riportando una citazione della stessa Celia, che mette in risalto il suo carisma e la sua vivace personalità: «Quando la gente mi ascolta cantare, voglio che siano felici, felici, felici. Non voglio che pensino alla mancanza di soldi, o quando a casa si litiga. Il mio messaggio è sempre felicità».

***

Articolo di Ludovica Pinna

Classe 1994. Laureata in Lettere Moderne e in Informazione, editoria, giornalismo presso L’Università Roma Tre. Nutre e coltiva un forte interesse verso varie tematiche sociali, soprattutto quelle relative agli studi di genere. Le sue passioni sono la lettura, la scrittura e l’arte in ogni sua forma. Ama anche viaggiare, in quanto fonte di crescita e apertura mentale.

Lascia un commento