Annamaria Cesarini Sforza, mosaicista

Annamaria Cesarini Sforza ha avuto una vita lunga — è morta nel 2017 a 96 anni — e un’importante carriera professionale. Eppure, digitando il nome, il motore di ricerca la individua come “moglie di Pietro Cascella”, glissando sul suo lavoro di artista e mosaicista. Invece già all’inizio degli anni Quaranta Annamaria Cesarini Sforza, pur tra le molte difficoltà del periodo storico e gli ostacoli dovuti al suo essere donna, comincia a costruire il proprio percorso artistico.

Annamaria Cesarini Sforza, 1965-1970, Archivio fotografico Regione Lombardia

Lo fa seguendo i corsi di decorazione murale del maestro Ferruccio Ferrazzi all’Accademia di Belle Arti di Roma e frequentando gli studi d’autore di via Margutta, in particolar modo il laboratorio di arti applicate di Enrico Galassi, tra i maggiori esperti di arti musive. Gli inizi degli anni Quaranta sono un periodo difficile, in cui scegliere da che parte stare è quasi un obbligo: Annamaria non si tira indietro e, oltre all’arte, sceglie la strada della Resistenza, che le costa arresti e interrogatori a via Tasso.
Col secondo dopoguerra l’impegno artistico diventa un percorso unico di ricerca e lavoro. Ancora una volta per lei il punto di riferimento è Enrico Galassi che, nel dicembre del 1944, affitta un’ala di villa Poniatowski a Roma allestendovi il cosiddetto studio di Villa Giulia, un laboratorio di arte applicata a cui collaborano numerosi artisti della scena romana, da Consagra a Leoncillo, da De Chirico a Carrà, solo per citarne alcuni. Anche Annamaria riprende la collaborazione col maestro Galassi e spesso mette in opera i dipinti e i cartoni di altri pittori, come quelli di Gino Severini o di Massimo Campigli.

Massimo Campigli, Ritratto di signora, 1947, particolare della decorazione interna del Cinema Metropolitan di Roma, Collezione privata

Per lei il lavoro di mosaicista è «un mestiere senza tempo, un mestiere di pietra» e il mosaico «una genealogia domestica. Il maestro Galassi, che l’ha introdotta alla tecnica musiva, le ha insegnato «come far correre le tessera nel disegno; tu puoi andare incontro al segno con dei triangoli, oppure puoi girargli intorno, oppure puoi interromperti e muovere la tessere in un’altra maniera, è tutto un gioco […] un po’ come il pennello in fondo». Tra una messa in posa e l’altra, Annamaria comincia anche ad accarezzare l’idea di cimentarsi in proprie creazioni e composizioni, da quelle per i piani dei tavoli a soluzioni più “pittoriche” come i pannelli decorativi da collocare all’interno di spazi pubblici, sempre senza porre distinzioni o gerarchie tra l’esecuzione artigianale e l’ideazione artistica: «C’è modo di esprimere la propria personalità anche in un lavoro artigianale; ci vuole intuizione, se no è soltanto manovalanza».
Nel 1945 Anna Maria Cesarini Sforza sposa lo scultore Pietro Cascella che, col fratello Andrea, ha messo in piedi una bottega artigianale-artistica attiva soprattutto nel campo della ceramica policroma. Come testimonia Pietro Cascella, in una lettera del 1946 a Giò Ponti riportata da Francesca Lombardi nel suo libro Passeggiate romane. Le artiste e la città, «ora abbiamo un forno per la ceramica e uno studio per il mosaico. Tutta la nostra produzione è orientata verso una forma d’artigianato con carattere d’arte, ma al tempo stesso utile». È l’inizio di un intenso sodalizio affettivo e artistico tra Annamaria e Pietro, costellato di importanti interventi.

Annamaria Cesarini Sforza, Pietro-Cascella (al centro) e suo fratello Andrea nel loro atelier

La bottega-atelier non si trova nella Roma artistica, tra via Margutta e via del Corso, tra il Caffè Greco e il bar Rosati di piazza del Popolo: è un po’ decentrata (ma comunque a pochi passi dal Vaticano), nel quartiere popolare di Valle Aurelia, comunemente chiamata anche Valle dell’Inferno, dove sorgono numerose fornaci, un tempo attive nella produzione di tegole e mattoni per la Fabbrica di San Pietro, e fino all’inizio del Novecento utilizzate anche per produrre materiale edile per i cantieri di Roma capitale. Negli anni Cinquanta si moltiplicano le occasioni di esperienza ed espressione artistica, il più delle volte in un intreccio di attività tra coniugi difficile da districare per individuare con certezza i singoli contributi. In molti casi si tratta di opere musive per edifici architettonici pubblici ma anche per negozi o palazzine private: nel 1948 la decorazione di una parete del cinema Plaza in via del Corso e nel 1953 un mosaico per il Gran Caffè Berardo nella Galleria Colonna, entrambi andati perduti; sempre negli anni ’50 la decorazione per l’atrio del cinema Mignon, nel quartiere Salario, per l’androne di una palazzina in Viale Trastevere e per un edificio in piazza di Novella.

Mosaico nell’androne di un edificio a viale Trastevere, Roma, anni ’50

È del 1951 la commissione di una grande mosaico per la stazione Termini, opera firmata sia da Annamaria Cesarini Sforza che da Pietro Cascella e intitolata Allegoria della natura.

Mosaico Allegoria della natura, dopo il 1951, Roma, Stazione Termini, foto di Barbara Belotti
Particolare del mosaico, Roma Stazione Termini, foto di Barbara Belotti
Particolare del mosaico, Roma Stazione Termini, foto di Barbara Belotti
Particolare del mosaico, Roma Stazione Termini, foto di Barbara Belotti

Comincia un certo successo anche internazionale: opere in mosaico e ceramiche di Annamaria vengono esposte alla rassegna Italy at Work. Her Renaissance in Design Today organizzata nel 1950 inizialmente al Brooklin Museum di New York e successivamente in altri musei statunitensi.

Particolare della firma, foto di Barbara Belotti

Un’opera di quel decennio è tornata alcuni anni fa alla ribalta. Si tratta della decorazione esterna e interna del cinema America, inaugurato nel 1956 nel quartiere di Trastevere a Roma, un altro bell’esempio di felice incontro tra architettura e arti visive caratterizzato da mosaici di intenso cromatismo e forme astratto-geometriche. Alla fine del secolo scorso la decorazione musiva e l’intero stabile si sono trovati in serio pericolo a causa della dismissione del cinema e dei piani di demolizione.

Mosaico dell’atrio del cinema America, Roma, anni ’50
Mosaico esterno del cinema America, Roma, anni ’50
Annamaria Cesarini Sforza

Le vicende del cinema America e dei giovani studenti mobilitati per salvarlo hanno occupato a lungo, una decina di anni fa, le cronache dei giornali. Nel 2014 Annamaria Cesarini Sforza decide di intervenire scrivendo una lettera al ministro dei Beni Culturali di allora, Dario Franceschini, in appoggio alla presentazione della dichiarazione di interesse culturale per l’edificio presentata dall’Assessore Caudo e da Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio. Fino a quel momento i mosaici del cinema America si consideravano opera della sola Annamaria, ma per salvare la struttura la mosaicista decide che è venuto il tempo di precisare: tutta la decorazione musiva deve essere intesa come l’ennesimo lavoro a quattro mani, le sue e quelle del marito scultore Pietro Cascella. Il cinema viene salvato.

Dopo la crisi matrimoniale negli anni ‘60, Annamaria Cesarini Sforza prosegue la sua attività affiancando l’impegno nella tecnica musiva con altre forme di arte applicata, come il collage, il ricamo, gli arazzi. Ancora una volta artista-artigiana.

Qui il link alle traduzioni in inglese, spagnolo e francese

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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