Clara Sereni. Via Ripetta 155  

L’ultimo libro di Clara Sereni, uscito nel 2015, è anche l’unico che sia esplicitamente autobiografico, come se la scrittrice avesse deciso di consegnarsi senza veli ai suoi lettori, in una sorta di testamento spirituale che condensa nel racconto di dieci anni di vita il senso del suo stare al mondo. 
A ripercorrerli con Sereni i dieci anni compresi tra il 1968 e il 1977 — un capitolo per ogni anno — ci sembrano davvero emblematici per l’intera generazione di uomini e donne nati intorno alla fine della seconda guerra: gli anni delle battaglie vittoriose per i diritti civili, del femminismo, dei movimenti studenteschi e operai e insieme gli anni di piombo.  

Giunti, 2015

1968: l’abbandono della casa paterna, insieme alle sue sicurezze e alle sue costrizioni, avvenuto un paio d’anni prima, si consolida nell’affitto di un piccolo appartamento sgarrupato, ma collocato nel cuore di Roma — l’indirizzo, via Ripetta 155, è così importante da dare il titolo al romanzo — in una sorta di crocevia simbolico, dove tutto accade e passa il mondo intero: «Vidi molte case, a piedi per strade e vicoli, su e giù per scale spesso maleodoranti […] Vista la cifra che potevo permettermi, le mie ambizioni erano abbastanza limitate, ma non al punto di accettare una topaia. […] Quando, in cima a quattro piani di scale a chiocciola, mi trovai davanti a uno stanzone luminoso con il soffitto a cassettoni, la scelta fu immediata. […] Non c’era nessun genere di riscaldamento, e il fornello, quando l’avessi avuto, avrebbe funzionato solo con una bombola del gas. […] Non ebbi la minima esitazione, già mi vedevo sull’elenco telefonico con accanto al mio nome quell’indirizzo, e per questo in una condizione già quasi nobiliare». 
Ma subito lo sguardo si allarga a quello che nel frattempo accade nel mondo, in un dialogo continuo tra storia personale e grande storia: «Firmai il contratto a inizio novembre, nel giorno dell’elezione di Nixon, repubblicano che cancellava ogni possibile speranza; pochi giorni dopo i colonnelli greci condannarono a morte Panagulis, socialista e poeta: tutto si teneva, il nemico era ben individuabile, sulla vittoria finale io insieme a tanti non nutrivo dubbi». 
Le sofferenze materiali conseguenti alle scarse risorse economiche non sono sottovalutate, ma come annegate in una sorta di euforia che può essere scambiata per felicità: «Il costo dell’affitto equivaleva a metà del mio stipendio […]: oltre il lavoro a tempo pieno nell’associazione dei cineasti, ogni tanto riuscivo a trovare una traduzione, una correzione di bozze, qualche volta con L’Armadio mi chiamavano per uno spettacolo e qualche lira ne usciva. Quando ero proprio a secco facevo la baby-sitter. […] Non m’importava del freddo, non m’ importava della fame… direi che ero felice, benché la parola suoni eccessiva anche a me. Ero piena di me. Poter dire “casa mia”». 
La militanza politica all’interno della sinistra internazionalista — e la contestazione del Pci è anche orgoglio di scelte autonome rispetto a quelle del padre — si coniuga con l’affermazione di quella libertà di movimento e sessuale che molte donne italiane sperimentano in quegli anni per la prima volta, accettandone i rischi: «Il futuro era un cantiere aperto, molte e grandi cose da fare. […] Sul pavimento a losanghe dormiva chi arrivava, se in possesso di un proprio sacco a pelo: stranieri soprattutto, piccioni viaggiatori di Paesi di vecchia o nuova dittatura. Perseguitati o vincitori, per i loro popoli si raccoglievano medicinali, senza mai sapere se e come sarebbero arrivati a destinazione: c’erano segreti da mantenere, c’era sempre qualcuno che non doveva sapere. E intanto ci si mischiava, si mescolavano cibi e corpi, italiani e stranieri: fare l’amore non voleva dire costruire per forza una storia, era il modo più diretto per conoscersi e sentirsi insieme». 

1970: anche negli anni Settanta, per una donna, ottenere di ricoprire un ruolo non gregario era tutt’altro che facile, perfino nel mondo degli intellettuali di sinistra: «Cercavo una strada. Sapevo di non essere abbastanza brava a cantare, anche se mi piaceva tanto, non intendevo fare la segretaria per tutta la vita […] ora lavoravo con i cineasti collocati più a sinistra, molti erano giovani e ci dicevamo “compagni”, però sempre fino a un certo punto: la ragione che più mi rendeva apprezzabile era la velocità da dattilografa che mi veniva dallo studio del pianoforte; avevo ottenuto di essere chiamata per cognome e non per nome (un passo avanti, per una subalterna), però la linea di frattura con chi aveva in mano un mestiere la percepivo tutta. […] Copiavo a macchina i volantini ed ero abile col ciclostile: restavo comunque ai margini, fuori dal cuore pulsante».  
Dopo il lungo apprendistato delle traduzioni, necessarie per integrare lo stipendio miserrimo, si fa strada l’aspirazione a una scrittura personale e il desiderio di essere riconosciuta per sé stessa. E magari anche amata: «Scrissi un racconto di fantascienza, dopo averne letta tanta. Lo mandai a Galassia. […] Fu pubblicato nel primo numero disponibile, ma ebbi una soddisfazione moderata e nessuno stupore, di poter scrivere l’ho in qualche modo sempre saputo: mi pesava invece che Galassia la leggessimo in pochissimi, nessuno se ne accorse fra quelli di cui più cercavo l’approvazione. Volevo farmi bella soprattutto agli occhi di Citto Maselli, il primo che mi avesse riconosciuto uno status, ma per via di mio padre: io volevo essere io. Aveva attorno molte donne, apparentemente non in competizione […] tutti andavamo a letto con tutti, cercando affetto o amore o un antidoto alla solitudine o forse una briciola di potere. […] Poi entrare nel letto sontuoso di Citto toccò anche a me, e mi innamorai perdutamente. Perduta, proprio. Perché era famoso, perché aveva quindici anni più di me, perché aveva una pazienza sessuale mai incontrata né prima né dopo, perché quel letto era la scena di un film che mi aveva molto colpito?». 

1971: il suo tentativo di suicidio Clara l’aveva raccontato, appena velato da una storia di fantascienza, nel suo primo romanzo, Sigma Epsilon, che poi lei stessa aveva giudicato brutto (e perciò mai più ristampato). Ma è in Via Ripetta 155 che la scrittrice si mette a nudo, esponendo allo sguardo dei lettori debolezze e fragilità in cui tante donne possono riconoscersi: «Un giorno, due, forse tre. Niente più ragioni per alzarmi dal letto, ogni scintilla spenta dal sudore. A casa mia, da sola, e mi sentivo sola al mondo, dunque completamente libera di andarmene, nessuno si sarebbe disperato per me. Esaminai accuratamente le cose che mi tenevano attaccata alla vita, una per una, e nessuna che ne valesse lo sforzo. Rami eliminati via via e alla fine il tronco nudo basta una piccola spinta e viene giù. Niente lettera d’addio, non avevo nulla da dire a nessuno. Mi addormentai tranquilla, né affranta, né impaurita: libertà era anche finirla con una vita che non avevo capito ancora se fosse brutta o bella, ma di certo era troppo faticosa e piena di dolore. Il risveglio all’ospedale con un braccio paralizzato, la vergogna di non avercela fatta. Vennero gli amici che avevano sfondato la porta perché non rispondevo al telefono, venne l’uomo che non smettevo di amare». 

1972: Clara lavora ancora come segretaria per i circoli del cinema, che significa fare tutto quello di cui c’è bisogno, compreso girare per l’Italia per seguire cicli di proiezioni e all’occorrenza fungere da interprete. Nel frattempo: «Contavo — contavamo — i morti uno per uno, senza la lucidità di chiamarla guerra: ogni sciopero, ogni manifestazione ogni corteo e le bombe sui treni e l’agonia di Franco Segantini e l’incomprensibile strage di carabinieri a Peteano — quella non era roba nostra, della nostra parte — era difficile tenere il conto. Continuavamo ad andare in piazza ogni 12 dicembre, continuavamo a chiedere (pregare?) che luce venisse fatta almeno su quella strage, e su Pinelli. L’assassinio del commissario Calabresi lo vivemmo come un’altra storia, una storia di altri».  

Il 1973, proprio a metà del decennio, è un anno cruciale. Sul piano della storia collettiva quella guerra del Vietnam da cui erano partite le proteste che dagli Stati Uniti si erano propagate in tutto il mondo occidentale: «Con la firma degli accordi di pace la guerra in Vietnam formalmente finì: pensai che forse le raccolte di fondi e di medicinali potevano cominciare a essere meno impegnative, forse avrei avuto in giro per casa qualche perseguitato in meno da far dormire, per un pizzico di innamoramento o per forzata solidarietà. […] Forse si poteva provare a vivere senza sentirsi perennemente in colpa per tutti i diseredati, gli oppressi, i bombardati». 
Nei mesi successivi però si aprono nuovi fronti, che comportano lacerazioni non solo nel cuore della sinistra, ma anche sul piano personale: «L’assedio e il bombardamento del palazzo della Moneda, Allende morto, il colpo di Stato… pochissimi giorni dopo fu pubblicato su rinascita il saggio in cui Berlinguer, proprio alla luce degli eventi cileni, proponeva il compromesso storico […] e intanto, un pezzetto di me si preoccupava anche della guerra del Kippur, che continuava a infettare le mie contraddizioni: perché con il governo israeliano non ero d’accordo mai, ma era in quel Paese che viveva un pezzo di famiglia a cui voglio bene». 

1974: dopo la pubblicazione di un altro racconto — stavolta su Playmen — la frequentazione dell’ambiente dei cineasti che organizzano le Giornate del cinema in antitesi alla mostra ufficiale di Venezia, mette Sereni in contatto con Cesare De Laurentis e la casa editrice Marsilio. Esce finalmente Sigma Epsilon, ma all’emozione segue una grandissima delusione: nelle librerie il libro non si trova, nessuno ne parla. Ma il 1974 è anche l’anno del primo lavoro ben pagato, in occasione di un importante congresso e quello del referendum sul divorzio, vinto contro tutte le aspettative. E soprattutto quello della mostra del cinema di Pesaro dove Clara incontra Stefano, col quale nasce un rapporto diverso da tutti quelli precedenti: «Stefano, accanto a me, lo sentivo innamorato. Sulle ragioni di quel suo amore non posso pronunciarmi. Invece di lui cominciai ad amare gli occhi, lo sguardo, il sorriso, le mani. Il suo essere intellettuale ma così diverso da mio padre che usava con me cultura e politica come muraglia e arma contundente. Stefano invece la sua cultura voleva condividerla, mi si faceva insegnante senza farlo pesare troppo. Cominciò così e dopo di più. Accettando per la prima volta di cercare attraverso l’amore un compagno, addirittura un po’ più giovane di me, e non un padre».  

Due anni dopo, nel 1976, la scelta di vivere insieme nella casa di via Ripetta è sancita da una grande festa di non matrimonio: «Dentro la coppia che avevamo ufficializzato non c’era solo l’idea di poter essere diversi noi: c’era la convinzione che l’Italia potesse cambiare, anzi che fosse già cambiata e che del mutamento fosse ora possibile cogliere i frutti». 

1977: l’aria alle manifestazioni diventa sempre più irrespirabile, finché in quella indetta da Lotta Continua per un militante ucciso dalla polizia, «uno con la faccia coperta puntò a braccio teso una pistola e sparò». Una settimana di confusione, di domande senza risposta, che si conclude con la morte di Emilio Sereni, il padre della scrittrice, che sembra suggellare con la sua scomparsa la fine di un’epoca. E offre la possibilità di lasciare la casa di via Ripetta: «Stanca delle scale a chiocciola, del riscaldamento precario, degli scarafaggi, delle infinite cose che in continuazione si rompevano: pensavamo che la bohème potesse saldamente trasformarsi in politica. […] Mi aspettava una nuova casa fin dall’inizio non solo mia, mano nella mano con Stefano l’avremmo arredata e abitata. Insieme avremmo costruito un futuro diverso ma non meno appassionato, nel quale mettere in conto, chissà, persino un figlio. Tutto era pronto per un nuovo passo in avanti. Con tutte le speranze e le utopie ancora — colpevolmente — intatte. 

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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.

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