Niki de Saint Phalle 

Il suo vero nome era Catherine-Marie-Agnès Fal de Saint Phalle. Definita pittrice, scultrice e regista, era nata a Neuilly-sur-Seine, nella regione dell’Ile-de-France, il 29 ottobre del 1930, dall’attrice statunitense Jeanne Jacqueline Harper e dal banchiere francese André Marie Fal de Saint Phalle. Dopo la crisi del 1929 e il crollo dei mercati finanziari, la famiglia si trasferì a New York nel 1937. 

In America Niki de Saint Phalle proseguì gli studi e molte fonti concordano nell’affermare che era una bambina ribelle con problemi che la portarono a cambiare frequentemente scuole. Molto probabilmente, quei “problemi scolastici a causa di irrequietezza” erano correlati agli abusi sessuali che aveva subito dal padre da ragazzina. Questa esperienza tragica la segnò per tutta la vita e verosimilmente si collega a gran parte della sua produzione artistica. La doppia nazionalità, francese e americana, le offrirà una vita intessuta di viaggi, di amicizie con persone di varia nazionalità e l’apprendimento di diverse lingue. La sua personalità eclettica la portò inizialmente a cimentarsi nella letteratura, in seguito iniziò a studiare recitazione aspirando alla carriera di attrice. Ebbe anche qualche esperienza come fotomodella di Vogue e Life per poi approdare al cinema. Ricordiamo la sua piece teatrale All About Me e i film Daddy e Camelia e il drago. 

Nikki de St. Phalle al Museo Stedelijk , 1967.

Si era laureata nel 1947 alla Oldfield School, nel Maryland, ma nel 1950 scappò di casa e si sposò con lo scrittore Harry Mathews. Da questa unione nacquero la figlia Laura e il figlio Philip. Nel 1952 la coppia si trasferì a Parigi e Niki de Saint Phalle si avvicinò al movimento dei Nouveaux Réalistes. Diventerà, in seguito, l’unica donna a farne parte. 
Nel 1953 fu ricoverata per un periodo in ospedale  a Nizza a causa di una forte crisi di nervi ed è proprio in questa occasione che scoprì il valore terapeutico della pittura.  Dopo il divorzio dal primo marito si risposò, nel 1971, con Jean Tinguely e la loro unione fu anche un sodalizio artistico che produsse opere grandiose ed originali come la Fontana Stravinsky di Parigi ubicata nella piazza del Centre Pompidou, la fontana di Chateau-Chinon, il Ciclope di Milly-la Foret, o il Giardino dei Tarocchi di Garavicchio (presso Capalbio) in Toscana. 

Niki de Saint Phalle, artslife

Diventò famosa nel campo artistico negli anni Sessanta grazie ai Tirs o Shooting Paintings. Erano delle performance battezzate “Fuoco a volontà” in cui l’artista o il pubblico sparavano con delle carabine a dei rilievi di gesso, posti sulla superficie di una tavola, provocando l’esplosione di sacchetti ricolmi di pittura colorata. Niki de Saint Phalle spiegava: «Il dipinto era la vittima. Chi era il dipinto? Papà? Tutti gli uomini? Uomini piccoli? Uomini alti? Uomini grassi… grandi?… O forse il dipinto era me?… Il dipinto subiva una metamorfosi che lo trasformava in un tabernacolo di morte e resurrezione. Sparavo a me stessa, alla società con le sue ingiustizie. Stavo sparando alla mia stessa violenza e alla violenza dei tempi. Sparando alla mia stessa violenza, non dovevo portarmela dentro». 

Niki de Saint Phalle, Pirodattilo su New York, 1962

Dopo questa strategia artistica molto provocatoria che comunque attirò l’attenzione su di lei, decise di creare opere dalla dimensione più intima e femminile. Cominciò a dipingere spose e donne incinte, donne i cui ruoli troviamo preponderanti nella società. 

Due anni dopo i Tirs realizzò l’installazione temporanea Hon/Elle: una enorme donna incinta multicolore progettata per il Museo di Stoccolma. Il pubblico poteva entrare in questo corpo gigantesco di plastica tramite una apertura collocata in corrispondenza della vagina. Dentro Hon si trovavano un planetario, un acquario, un cinema, una galleria d’arte e perfino un bar. Niki riempie così il corpo femminile, il mistero ancestrale buio del suo corpo: Hon, femmina e gigantessa, si impone alla città, a chi vi abita e anche al sistema dell’Arte. In questa rivisitazione pop del femminile rimane comunque una donna che «avvolge, sovrasta, domina e determina naturalmente piacere e desiderio», come scrive Martina Corgnati nel suo Artiste. Hon, come prevedibile, suscitò notevoli polemiche. 

Ma le figure a cui si associa più frequentemente il nome dell’artista sono le Nanas, enormi sculture femminili policrome di gusto pop che si contrappongono alle figure delle pin up. Le Nanas sono prorompenti, con seni, glutei e addomi accentuati e non corrispondono certo all’ideale erotico e sensuale dettato dalla moda o dalla pubblicità. Con le Nanas le donne si liberano dagli stereotipi e ritornano alla Grande Madre Primitiva, sottraendosi al ruolo di oggetto del desiderio e diventando soggetto. Sono, come lei ama definirle: «le donne libere, sicure di sé… che hanno conquistato il proprio potere». Le prime le realizzò intorno al 1965 ed erano create con lana, cartapesta e fili di ferro. Questi materiali furono poi sostituiti dal poliestere. Fu proprio l’inalazione delle esalazioni della sostanza che le causò gravi problemi di salute ai polmoni. 

Scrive sempre Martina Corgnati: «… all’idea maschile del potere, al dominio simbolico sull’altro come origine di ogni grandezza, Niki de Saint Phalle contrappone un’idea femminile della grandezza come condizione fisica, fertile, amichevole e nutriente. All’incombenza simbolica del potere maschile, grande in quanto oppressivo, l’artista sostituisce la gigantesca generosità del corpo femminile». Le Nanas sono sicuramente creazioni originali che indicano un nuovo linguaggio estetico e che costringono a riflettere sia sul femminile che sul femminismo. 

A metà degli anni Settanta, elaborò l’idea della creazione di un parco di sculture in un luogo da sogno dove liberare la sua fantasia creando gioia e spensieratezza nell’animo di visitatori e visitatrici. Nacque così Il Giardino dei Tarocchi, in una vasta area nei pressi di Capalbio, donata da Marella Caracciolo. È questa un’opera d’arte a cielo aperto che si ispira ai ventidue arcani maggiori dei tarocchi con grandi sculture in metallo rivestite di calcestruzzo e decorate con mosaici di specchio, ceramica e vetro. È un felice connubio tra arte e architettura immerse nella natura. La creazione del Giardino risente sicuramente degli influssi del Parco Guell di Barcellona e del Sacro Bosco di Bomarzo ma qui l’atmosfera che si percepisce visitandolo è gioiosa. Non ci sono angoli spigolosi, dominano le curve, le sculture hanno un’elevata sinuosità mentre frammenti di specchi e maioliche catturano, scompongono e restituiscono la luce del sole. Anche i colori hanno un codice simbolico e sulle stradine del Parco si trovano citazioni, pensieri, disegni e messaggi di fede e di speranza. La costruzione del Giardino dei Tarocchi è stata interamente finanziata dalla stessa autrice con una cifra di circa dieci miliardi delle vecchie lire. Per reperire questa ingente somma, Niki de Saint Phalle firmò anche un contratto per realizzare il profumo Cochran in una bottiglietta di cristallo blu che è una piccola opera d’arte: «Questo giardino era il mio sposo, il mio amore. Era tutto per me. Nessun sacrificio era troppo grande». All’interno del parco si trova la scultura dell’Imperatrice – Sfinge dove abitò l’artista durante i lavori di realizzazione che durarono ben dieci anni. 

Niki de Saint Phalle, Giardino dei Tarocchi
Una panoramica del Giardino dei Tarocchi. Foto Peter Granser. 2021 Fondazione Il Giardino Dei Tarocchi.

Alla morte del marito, nel 1991, Niki ereditò il suo patrimonio che decise di donare alla città di Basilea per costruire un museo a lui intitolato. Poco dopo lasciò definitivamente l’Europa e si trasferì in California. L’ambiente che la circondava influenzò la sua produzione artistica e fu così che iniziò a creare sculture di gabbiani, delfini, orche e foche. 

Niki de Saint Phalle collaborò anche con l’architetto svizzero Mario Botta nella realizzazione del Nohh’s Ark: un parco di sculture di animali a Gerusalemme che, diversamente da quanto raccontato nella Bibbia, abbandonano l’Arca per cercare rifugio sulla Terra. 

Oltre la sua attività artistica è giusto ricordare l’impegno nella campagna contro l’Aids con la realizzazione di un libro da lei scritto e illustrato e con la firma di un francobollo per le Poste svizzere. 

Il 21 maggio del 2022 ha cessato di vivere a San Diego all’età di settantuno anni. 

Al Museo di Arte contemporanea di Hannover si trova la maggiore collezione di questa artista la cui genialità creativa l’ha consacrata tra le più importanti protagoniste dell’Arte del Novecento.

Qui il link alle traduzioni in francese, spagnolo e inglese.

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Articolo di Ester Rizzo

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Giornalista. Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, socia Sil, collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra editore ha curato il volume Le Mille. I primati delle donne. Autrice dei saggi: Camicette Bianche , Donne Disobbedienti , Il labirinto delle perdute e i romanzi storici Le ricamatrici e Trenta giorni e 100 lire, sempre per Navarra editore.

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